Calolzio, Agnoletto: se la Lombardia fosse Stato per morti Covid sarebbe 2^ al mondo

Con la capacità oratoria che gli è propria, ha riportato la platea (piuttosto nutrita per essere un incontro organizzato all'interno di un circolo) dritta dritta ai giorni più drammatici della pandemia quando anche negli ospedali lombardi si è dovuto scegliere a chi assegnare i pochi posti disponibili nei reparti di emergenza e chi lasciare fuori.
Vittorio Agnoletto è intervenuto ieri sera all'Arci Spazio Condiviso di Calolzio, nell'ambito del dibattito “La nostra salute non è in vendita” promosso in concomitanza dell'avvio della discussione in Aula sulla riforma della Legge 23 voluta dall'ex governatore Roberto Maroni.


Vittorio Agnoletto

Introdotto da Corrado Conti, lanciando poi a sua volta il contributo di Dante Goffetti (Membro del tavolo della salute di Bergamo), il medico, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Coronavirus, ha articolato il proprio discorso in tre momenti, concatenati tra loro ovviamente, visto il tema comune. Un iniziale rilancio della Petizione Europea Diritto alla Cura – Nessun profitto sulla pandemia; un lungo excursus sulla fallimentare gestione dell'emergenza pandemica in Lombardia ed infine l'elencazione dei punti di debolezza di quella che nel disegno a firma Fontana-Moratti dovrebbe essere la nuova articolazione della sanità regionale.
Quanto al primo, chiaro l'obiettivo: ottenere la sospensione dei brevetti su vaccini e trattamenti anticovid perchè siano alla portata anche di chi non se li può permettere. Una richiesta che dovrebbe mettere d'accordo tutti – a suo giudizio – perché, anche tralasciando questioni di “giustizia”, il buonsenso della proposta potrebbe essere rintracciato anche solo in un mero discorso di autotutela. Se il virus continuerà a riprodursi nei Paesi sottosviluppati che non hanno accesso ai sieri, tornerà a minacciare anche chi oggi ne dispone con varianti contro le quali non sarà garantita l'efficacia dei vaccini già in uso.



“Come è possibile che la Regione che si vanta di avere il miglior sistema sanitario abbia fallito completamente nella gestione dell'emergenza?” questa la domanda con cui si è arrivati poi a parlare di Lombardia. “Fosse stata una nazione indipendente, come la voleva Bossi, uno Stato a sé rispetto al resto del Paese, sarebbe al secondo posto al mondo come numero di morti per Covid. Verrebbe solo dopo il Perù che ha una sanità che ve la raccomando!” la prima considerazione piatta piatta su cui costruire poi un attacco a muso duro al peso riconosciuto al privato. Se su un bilancio da 23 milioni, la sanità in Lombardia ne assorbe 18, il 40% della cifra sul piatto va alle strutture private accreditate “che si comportano come qualunque azienda che punta al profitto. La prevenzione dunque è una loro antagonista perché se lavora bene porta via il malato e quindi il business” l'assioma di partenza dell'esponente di Medicina Democratica. Ma non solo. Dovendo guadagnare il privato si accredita dove si lucra. E non è certo su attività come il pronto soccorso o l'emergenza. “Una situazione che si aggrava se chi gestisce la sanità pubblica lavora sugli obiettivi di quella privata: si crea un cortocircuito disastroso”.
"Io credo – ha aggiunto poi Agnoletto - che la pandemia ci obblighi a rimettere in discussione il paradigma della medicina degli ultimi 50 anni in Occidente”, una medicina che – ha detto - si è sviluppata con due scopi: aumentare l'aspettativa di vita e migliorare la qualità degli over 65 puntando sull'individualizzazione della cura e l'alta specializzazione. Una “medicina che segna il passo davanti alla pandemia che ha bisogno di altro per essere contrastata”.
In altre parole, mentre si studiano farmaci antitumorali avanzati, in venti mesi di Covid abbiamo perso 1.2 anni di vita media, a livello nazionale. Un dato che ha portato il relatore a dichiarare che “non servono solo più soldi per il sistema sanitario ma anche una medicina diversa”.



Questo (anche) perché “nessun Paese al mondo può reggere una pandemia solo con le strutture ospedaliere, la medicina territoriale è il frangiflutto” ha proseguito, servendosi dell'immagine della spiaggia minacciata dal montare della marea. Un frangiflutto “picconato” dalla Lombardia. Prima ma anche durante lo tsunami Covid, trattato accumulando errori su errori, a cominciare dal non aver preso in considerazione la segnalazione, arrivata a novembre 2019, di un numero consistente di polmoniti interstiziali diagnosticate a Brescia. “Se Regione si fosse mossa non dico a dicembre ma a gennaio avremmo avuto prima i tamponi, guadagnando 35 giorni che in una gara con il virus sono tanti”. Citati poi il piano pandemico non aggiornato, il mancato studio epidemiologico dopo l'emergere dei primi casi, l'aver “completamente abbandonato a loro stessi” i medici di base, l'aver inizialmente rifiutato la disponibilità di giovani camici bianchi per le USCA instradando di fatto tutti indistintamente verso i pronto soccorsi - “diventati posti di infezione” - per poi intasare gli ospedali - il cui numero è stato ridotto negli anni chiudendo i presidi più piccoli o periferici - arrivando infine alla delibera con cui gli infetti sono stati inseriti nelle Rsa, con le conseguenze che conosciamo.
Il tutto, permettendo, ha sostenuto Agnoletto, ancora una volta al privato di guadagnare, tantissimo, mentre tutto il pubblico gestiva esclusivamente il Covid (e l'emergenza).
E siamo all'oggi. Con la Legge 23 da riscrivere dopo il periodo di sperimentazione concesso per un solo lustro non ottemperando alla Legge quadro nazionale e la Moratti pronta “a far pagare gli interventi al Governo, nella direzione che vuole lei”, sfruttando a piacimento i soldi in arrivo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Nette le critiche mosse da Agnoletto alla riforma: “Le case della salute e gli ospedali di comunità possono essere gestite sotto le vesti del pubblico dal privato”; “non sono previsti investimenti per capire quali sono i bisogni della popolazione”; “per il combinato disposto tra le decisione della Regione e il PNRR, i fondi arriveranno per le strutture e le tecnologie ma di personale non se parla”. Tutto ciò mentre quasi un milione di lombardi è potenzialmente senza medico di base, viste le tante caselle bianche in ogni ATS.
A.M.
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