SCAFFALE LECCHESE/71: la storia della città negli anni attraverso le vecchie stampe

C'è un sant'Ambrogio redivivo a guidare l'ambasciata milanese portatrice di una supplica rivolta a Francesco I, re di Francia dal 1515 al 1547, affinché finanziasse il progetto per rendere navigabile il fiume Adda tra Lecco e il canale della Martesana. L'episodio è immortalato in una stampa risalente al 1520. Supplica, peraltro, è parola più che acconcia, considerato che i questuanti se ne stanno inginocchiati davanti al sovrano. Per parte sua, il santo milanese non si può certo fare scrupolo alcuno e infatti se ne sta eretto al centro della scena, sovrastando di una bella spanna tutti gli altri: troneggia, insomma.
E' un'allegoria, naturalmente e il vescovo Ambrogio in questo caso è solamente il simbolo di Milano: si tratta di un'illustrazione contenuta in un libro di Carolus Pagnanus (Carlo Pagnano, all'italiana) del quale è conosciuta soprattutto la dettagliatissima mappa del fiume Adda contenuta nello stesso libro, dedicato a quel progetto di navigabilità la cui realizzazione partì proprio in quel 1520 per completarsi però soltanto due secoli dopo.


In questo caso, a noi interessa il paesaggio riprodotto alle spalle dei personaggi: forse un po' immaginario, vuole rappresentare Lecco con il suo ponte sull'Adda, monti irreali e torri eccessive che stavano comunque a testimoniare l'importanza militare del luogo. Tale scorcio viene ritenuto dagli esperti la prima raffigurazione a stampa di Lecco. Quando la pittura ancora non indugiava sulle "vedute" e la fotografia di là da venire.


Ormai, le stampe su Lecco hanno avuto una catalogazione certosina, per quanto naturalmente in qualche sperduto recesso possano sonnecchiare scorci e mappe ancora sconosciuti. Del resto - commentano gli addetti ai lavori - «dopo avere studiato e consultato tutte le fonti possibili, dopo avere spulciato collezioni pubbliche e private, ci è capitato di scoprire un'incisione «sconosciuta a tutti i repertori. Ma questo non può che essere un ulteriore stimolo a ripartire da dove siamo arrivati».
A offrire una panoramica pressoché esaustiva sono stati due volumi usciti nel 2000. Data simbolica anche se certamente casuale, ma ci piace pensare che il passaggio del millennio sia stata l'occasione per mettere un punto fermo. Nel 2000 veniva pubblicato "Lecco di carta" di Donato Perego, Melania Riva e Diana Perego, i gestori di quella "Stamperia" rimasta aperta in via Bovara per trent'anni e che alla fine del 2019 ha chiuso la bottega per trasferirsi in internet. E nello stesso anno usciva dalla Casa editrice Stefanoni anche "Il paesaggio di Lecco nelle antiche stampe" curato da Angelo Borghi e Gianfranco Scotti, ricercatori storici che a Lecco non hanno bisogno di presentazioni, Se il volume della "Stamperia" si avvale di un apparato didascalico più corposo e quello di Stefanoni ha note più stringate privilegiandosi una veste grafica più elegante, il patrimonio di immagini è sostanzialmente il medesimo.

 

I precursori lecchesi di questa ricerca furono però Mario Cereghini (architetto di punta della prima metà del Novecento lecchese, del quale in questa sede ci siamo già occupati a proposito di una sua sorta di storia di Lecco attraverso le immagini CLICCA QUI) e di Pino Tocchetti (giornalista di spessore, direttore di più di un giornale tra Lecco e Como): nel 1939 pubblicarono con la Tipo-litografia Fratelli Grassi "Vecchie stampe di Lecco", volume in soli trecento esemplari: un'opera - leggiamo in "Lecco di carta" - che «è un passo fondamentale ed i due autori, sia pure non esenti da errori ed imprecisioni, realizzano il primo tentativo di organizzare e leggere in modo razionale lo sviluppo della città attraverso le sue immagini a stampa» e se «la conoscenza delle opere è ancora piuttosto parziale e le incisioni catalogate sono meno della metà di quelle esistenti» vi sono comunque «quasi tutte le stampe più importanti».


A proposito di sviluppo della città, a rileggerle oggi immalinconiscono un po' le parole con cui Cereghini e Tocchetti concludono la loro premessa: «Se sfogliando il libro riconoscerete che Lecco ha avuto modo di cambiare nei secoli scorsi, trarrete con noi l'auspicio che lo potrà ancor meglio cambiare in avvenire. Se la sua bellezza urbanistica edilizia sarà intonata alla incomparabile bellezza della natura che la circonda, state pur certi, avremo noi o avranno i nostri figli una città incantevole, degna d'essere annoverata nell'invidiata cerchia delle più belle città d'Italia».
Non è andata così, sappiamo: la città che oggi abbiamo sotto gli occhi è il frutto di una crescita disordinata, senza linee guida, con qualche scempio di troppo e un po' di cose perdute, una lenzuolata di cemento gettato alla carlona. E d'incantevole ha soltanto quell'«incomparabile bellezza della natura che la circonda». Almeno quella le è rimasta.

Infine, per completare la nostra piccola bibliografia, così come apprendiamo dagli stessi autori fin qui citati, non vanno dimenticate altre tappe che hanno contribuito a dare corpo a una ricerca che si ritiene essere stata aperta nel 1931 da Achille Bertartelli (proprio il Bertarelli della Raccolta conservata al Castello Sforzesco di Milano) e Paolo Arrigoni, con la pubblicazione di "Piante e vedute della Lombardia. Del 1959 è invece quella straordinaria e fondamentale antologia lariana in più volumi che è "Larius", curata da Gianfranco Miglio, il politologo comasco che deve suo malgrado la grande popolarità non agli studi ma alla militanza nella Lega lombarda di Umberto Bossi che l'avrebbe poi apostrofato con un epiteto non propriamente lusinghiero quando decise di lasciare. Infine, nel 1976 e nel 1978 uscirono prima "Como e Lecco nelle antiche stampe" e poi "Il lago di Como nelle antiche stampe", fatiche firmate da Cesare Sinistri, Chiara Margheritis, Plinio Peverelli e un lecchese trapiantato a Como: Guglielmo Invernizzi.

Sfogliare tutte queste raccolte è un viaggio affascinante nel tempo che ci mostra da un lato la Lecco com'era e dall'altro come la vedessero gli artisti. Che non seguivano solo l'estro personale ma anche le sensibilità e le mode del loro tempo, Ci sono scorci - a partire proprio dal ponte sull'Adda - che si ripetono, che diventano cliché e non a caso saranno oggetto anche della pittura quando questa volgerà lo sguardo al paesaggio reale. Icone, si usa dire oggi. Stampe che replicavano altre stampe. E varianti. Alcune apparentemente soltanto abbozzate, altre straordinariamente definite nei dettagli. I quali a volte erano magari del tutto immaginari, appartenenti a una sorte di canone "astratto" al quale gli artisti si attenevano. E a volte effetti arditi, con piani incredibilmente compressi: roba da teleobiettivo spinto, per intenderci. Come un impressionante e artificioso "Paesaggio delle Alpi Retiche" realizzata tra il 1830 e il 1840: «La parte inferiore - la didascalia del "Paesaggio" di Borghi e Scotti - raffigura realisticamente il ponte visconteo con ancora la torre d'accesso, l'isolino sull'Adda, il palazzo Recalcati di Malgrate sulla sinistra e la strada che conduce, passando fra i boschi, al borgo di Lecco di cui sono ben visibili il campanile della chiesa e la Torre Viscontea. Oltre le quinte del Moregallo e del San Martino si apre invece uno scenario del tutto ricostruito con l'indicazione di località, passi e montagne non distinguibili nella realtà nemmeno a volo d'uccello».
Al suggestivo e al pittoresco, al cosiddetto romantico e al sublime, seguono immagini più sobrie, quasi tecniche, documentariste. Agli scorci "immortali" si affiancano battaglie storiche: quella tra Austro-Russi e Francesi del 1799 e quella più antica tra Insubri e Romani. E poi addirittura la cronaca con il Setificio Dell'Oro incendiato nel 1861, il commercio e le réclame: l'albergo Croce di Malta e l'idroterapia di Maggianico, il ristorante Corona e gli opifici e i magli; i luoghi manzoniani che dopo l'uscita dei "Promessi sposi" divennero ricercatissimi, a partire da Pescarenico. E ruderi, campanili, tanta acqua, barche e barchette, il porto, monti aguzzi e incombenti, visioni a largo raggio, fabbriche, festeggiamenti e inaugurazioni come quella del monumento ad Alessandro Manzoni, qualche lavandaia, tanto pontevecchio, come detto, e nulla per il seppur secolare e rinomato mercato..
Il racconto, come detto, parte dal sant'Ambrogio del 1520. Ma ci vorrà un altro secolo perché si tornasse a raffigurare Lecco ed è a proposito di piazze militari che resta tema frequentato fino a tutto il Settecento ed è poi nell'Ottocento che si verifica la grande esplosione. E infanti ai fanno i vivi anche i pittori di quadri, ma soprattutto alla fine del secolo arriverà la fotografia destinata a cambiare la storia del vedere.

«E il passaggio al nuovo secolo - leggiamo ancora in "Lecco di carta" - è segnato da due episodi fortunati e felici, almeno per chi riesce ad entusiasmarsi per vecchi pezzi di carta». Uno è il concorso indetto dell'editore Hoepli per l'illustrazione di una nuova edizione dei "Promessi sposi" per l'inizio del 1900 e che vede Gaetano Previati inserire «fra le immagini del romanzo una ricca serie di vedute di Lecco diligentemente disegnate dal vero». Il secondo episodio accade in Germania «dove nel 1899, la rivista tedesca "Illustrierte Zeitung" decide di raccontare e mostrare ai suoi lettori gli splendidi luoghi che si incontrano lungo il tragitto ferroviario Lecco-Sondrio, da poco completato», dimostrando così il richiamo turistico della linea (ne abbiamo parlato CLICCA QUI). «Servono naturalmente le immagini. Uno sconosciuto ma benemerito caporedattore, certamente un po' avanti negli anni, anziché mandare in Italia un giovane e baldo fotografo desideroso di fare carriera, decide di utilizzare ancora una volta la matita e l'album da disegno di un suo giovanile coetaneo, il disegnatore e pittore Joseph Nieriker, che ha settantuno anni, molta esperienza ed evidentemente ancora voglia di viaggiare». E, «data la qualità del risultato e vista anche l'età, siamo del tutto disposti anche a dimenticarci del piccolo errore che egli commette, ritraendo in primo piano e rendendo anzi protagonista della stampa il ponte ferroviario che in realtà fuori dal percorso che egli ha il compito di illustrare!». Il ponte in questione è infatti quello sull'Adda, proprio visto dal punto dal quale molti suoi predecessori riproducevano quell'altro ponte, quello che oggi chiamiamo Vecchio o Visconti. Su quel ponte ferroviario, infatti, passa la linea per Como, correndo da tutt'altra parte quella per Sondrio. Evidentemente, il buon Nieriker non deve avere resistito al richiamo della tradizione.
Il libro di Borghi e Scotti, inoltre, propone anche una sezione dedicata a disegni e acquerelli: i pochi «rintracciati finora fra quelli che si possono invece intuire numerosi, anche in considerazione degli schizzi che vennero poi usati per tracciare le belle stampe di primo Ottocento» confermano «che le prime lucide emozionalità del paesaggio siano state individuate dai pittori stranieri. Il fenomeno dei viaggiatori paesaggisti è probabilmente sul Lario ben più antico di quanto risulti per ora; sembrano infatti attribuibili agli ultimi anni del Seicento o ai primi del Settecento gli acquerelli che ritraggono Como e Lecco e vari paesi del lago stesso, evidentemente considerato luogo primigenio e privilegiato per lungo tempo e fonte della luminosità aggraziata che rendeva superbo il nostro ambiente al sentire degli artisti».
Ci sarebbero, poi, le mappe e le carte geografiche. Le quali, però, meritano uno spazio a parte. Ne parleremo.



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Dario Cercek
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