Le donne secondo Alessandro (Barbero)

Stefano Motta
Caro Alessandro,
nei miei ormai molti anni di insegnamento - giacché io e lei facciamo grosso modo lo stesso impopolare mestiere, che è quello del professore – ho imparato poche ma limpide cose:
- a non fare battute sul calcio in aula (che altrimenti perdo per metà lezione metà dell’uditorio, impegnato nel terzo tempo della partita);
- a non fare battute sui meridionali, nemmeno quando spiego le varianti diatopiche della lingua italiana. Avevo iniziato a farle sui bergamaschi ma poi ho smesso. Ormai tiro sempre in ballo la pronuncia meneghina della mia povera nonna, che da lassù scrolla la testa ma non può twittarmi contro;
- a non salutare qualche collega o qualche alunno alzando vistosamente il braccio, nemmeno se costui mi accenna dall’altro capo del corridoio. Sia mai che venga preso come un gesto apologetico di un ignobile ventennio;
- a non leggere “Robinson Crusoe” o “Cuore di tenebra”, ma nemmeno “Pianto antico” di Carducci, mica che quel “sei ne la terra negra” mi crei problemi;
- soprattutto a non addentrarmi in alcun modo in considerazioni di genere. Anzi, nel dubbio, fare il contrario: inneggiare a Camilla, a Bradamante, a Clorinda, a Lady Oscar. Vorrei anche citare Giaele, ma da manzonista qual sono mi riaffiora istintivo il verso di “Marzo 1821” che la nomina come “maschia” e allora mi taccio.
Il non essere diventato un personaggio mediatico così famoso come lei, il non aver mai del tutto perso il contatto con l’aula, coi miei studenti, coi loro sguardi, il desiderio continuo di insegnare al liceo, nonostante il successo dei miei libri mi consentirebbe di starmene a casa in panciolle, mi hanno insegnato a non pronunciare mai frasi che decontestualizzate possono voler dire tutto e il contrario di tutto.
È ancora l’amico Alessandro, quell’altro, il Manzoni, a ricordarci che “le parole fanno un effetto in bocca e un altro negli orecchi”.
E allora la sua domanda, di lei lei Alessandro, perché di una domanda si tratta, non di una affermazione, ha suscitato una canea di critiche: "Rischio di dire una cosa impopolare – ha detto a Silvia Francia su La Stampa https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2021/10/21/news/le-donne-secondo-barbero-sono-insicure-e-poco-spavalde-cosi-hanno-meno-successo-1.40833395 – ma vale la pena chiedersi se non ci siano differenze strutturali tra uomo e donna che rendono a quest'ultima più difficile avere successo".
“Le donne – dice ancora – sono insicure e poco spavalde, così hanno meno successo”.
E tutti si sono fermati lì. Pochissimi leggono l’intera intervista, e apprezzano l’esortazione finale: “Basterà allenare ancora qualche generazione di giovani consapevoli e la situazione cambierà".
In futuro, caro prof, quando le venisse l’esordio “Rischio di dire una cosa impopolare…”, lo prenda come un campanello d’allarme e si fermi lì.
Noi uomini di lettere e di accademia, anche se divenuti ormai popolari sui media, rimaniamo affezionati alla finezza delle parole, ai sillogismi, alle provocazioni cólte che non sentenziano ma disturbano, per generare il dibattito.
Tutte cose che un bravo maieuta fa con i propri allievi ma che è impossibile nel mondo dei social.
E poi lasci stare le donne. Che altrimenti le scateno contro anche “la modestia un po’ guerriera” di Lucia: che dopo la sfilza di “ho imparato” di Renzo al cap. XXXVIII dei “Promessi Sposi” lo zittisce, lo rimprovera, e ha lei l’ultima parola.
Tanto per far capire chi comanda davvero. Secondo Alessandro (quell'altro, il Manzo).
Stefano Motta
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