Maggi Catene: per gli omessi versamenti il patron condannato a 2 anni e 2 mesi. Disposta la confisca di 1.8 milioni di euro

 

La sede della Maggi Catene a Olginate
Il 15 settembre scorso, rassegnando le proprie conclusioni, il viceprocuratore onorario Caterina Scarselli, in rappresentanza della pubblica accusa, aveva chiesto la condanna di Giuseppe Maggi - classe 1936, ex patron della Maggi Group di Olginate, società celebre anche fuori i confini provinciali per la produzione e commercializzazione di catene, in particolare per auto da neve - la condanna a 8 mesi di reclusione in riferimento all'omesso versamento di ritenute per 2.4 milioni di euro, cifra spalmata su quattro differenti annualità. Quest'oggi dando lettura del dispositivo della sentenza, il giudice - in ruolo monocratico - Nora Lisa Passoni ha irrogato nei confronti dell'anziano industriale, presente personalmente in Aula, una pena complessiva pari a ben 2 anni e 2 mesi per tutti gli anni d'imposta in contestazione ad eccezione del primo (il 2014) disponendo altresì la confisca per equivalente di 1.8 milioni di euro.
Assolto invece, come già da suggerimento della Procura il figlio Corrado, a giudizio per il medesimo reato ma limitatamente all'ultima annualità essendo divenuto amministratore delegato dell'impresa di famiglia soltanto nell'aprile 2017, "costretto", per utilizzare il termine fatto proprio dal vpo nella sua requisitoria, dai problemi di salute accorsi al padre e dalla situazione stessa dall'azienda arrivata ad avere quale unica carta da giocarsi quella del concordato preventivo. "Si è trovato a mettere il naso - scusatemi l'espressione poco tecnica - nell'amministrazione solo quando la frittata era stata fatta", aveva asserito la dottoressa Scarselli, con il difensore - l'avvocato Ruggero Panzeri, comune ad entrambi gli imputati - pronto a sua volta a rimarcare come l'ultimo adempimento fiscale non rispettato sia antecedente alla nomina di Corrado ad A.U. della Maggi, carica tra l'altro assunta in un momento in cui, come riferito nel corso dell'istruttoria dai commercialisti introdotti quali testi a discarico, anche per i tecnici che si stavano occupando della redazione della proposta concorsuale sarebbe risultato complicato rendersi conto dell'effettivo debito erariale maturato dalla società, poi del tutto naufragata nel 2019 con la dichiarazione di fallimento.
Ben diversa, invece, la posizione "del signor Pino", come Giuseppe Maggi era chiamato in azienda, avendo, come ammesso rendendo esame, scelto deliberatamente di "lasciare indietro" l'Erario per più annualità (in favore del puntuale pagamento dei dipendenti), non introducendo nel tempo correttivi o adottando quelle decisioni che avrebbero evitato il ripetersi del reato, come il portare i libri in Tribunale. Non sposato, del resto il concetto di "forza maggiore" introdotto dalla difesa, con la pronuncia di una sentenza ben più pesante della proposta di condanna avanzata dal Vpo.

 

A.M.
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