Mandello: badante a giudizio per le somme ricevuto dalla sua assistita. Non c'è stata circonvenzione

Assolta con formula piena, perché il fatto non sussiste. Questa la decisione presa dal giudice Giulia Barazzetta nei confronti di una 61enne, di professione badante, accusata di circonvenzione d’incapace e indebito utilizzo di carte di credito nei confronti della sua assistita, una 86enne residente a Mandello. Secondo la tesi accusatoria infatti l’imputata avrebbe circuito l’anziana, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2017, facendosi intestare una polizza vita dal valore di 320mila euro e inoltre si sarebbe intascata 80mila euro oltre al prelievo di altri 50mila euro dal conto corrente della sua assistita.
Un verdetto, quello odierno, sperato e richiesto dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Roberto Bardoni, che aveva deciso di affrontare il dibattimento proprio per smontare la tesi accusatoria, arrivando nella precedente udienza, lo scorso 17 settembre, a chiedere l’assoluzione con la formula più piena. A questa tesi si era contrapposta quella della Procura, rappresentata dal Vpo Mattia Mascaro, che aveva chiesto per la badante la condanna a un anno e sei mesi, rafforzata dalla richiesta di risarcimento da parte dell’amministrazione di sostegno della 86enne, costituitasi parte civile tramite l’avvocato Gloria Agostini.
Le indagini sulla presunta circonvenzione erano scattate dopo che la stessa 86enne, una facoltosa professoressa di francese dell’Università Statale di Milano in pensione, si era recata in caserma a Mandello a denunciare la 61enne. Ma nel corso del suo esame testimoniale, reso circa un anno fa, l’ex docente aveva affermato di essere stata costretta ad andare in Caserma “accompagnata” da due lontane parenti che, per dirlo con le parole della presunta parte offesa, “evidentemente aspiravano a qualcosa”, alludendo alla sua ingente eredità. Dopo la morte del marito, avvenuta nel 2016, la badante era diventata sua amica, quasi come se fosse una figlia, tanto da chiederle di trasferirsi presso la sua abitazione. Poi l’anziana nel dicembre del 2017 era stata sottoposta, per conto della Procura di Lecco, ad una perizia psichiatrica per valutare il suo stato psichico, un accertamento svolto dal dottor Giuseppe Giunta che aveva attestato “problemi sul piano cognitivo ed una diagnosi di demenza, con una capacità di autodeterminazione molto ridotta” e una sorta di dipendenza psicologica da parte di chi si prendesse cura di lei, arrivando così a doverla mettere sotto tutela da parte di un amministratore di sostegno. Se non fosse che altre due perizie svolte da altri specialisti incaricati dalla signora a valutare le sue condizioni avrebbero smentito quanto decretato nella perizia del dott. Giunta. E proprio l’accertamento del consulente della Procura era stato oggetto dell'arringa dell'avvocato Bardoni, che si era così espresso: “o tutti i dottori che hanno avuto a che fare con la donna sono impazziti oppure l’errore è da cercare altrove”.
Sempre secondo la tesi difensiva poi, avvalorata anche dalle testimonianze raccolte nel corso del dibattimento, gli ammanchi di 80mila euro sarebbero da attribuire all’abitudine dell’anziana di avere con sé grosse somme di denaro contante, essendo solita pagare “cash” anche grosse opere di ristrutturazione. Altro discorso per i 50mila euro prelevati: sarebbe stata la stessa datrice di lavoro a commissionare l’operazione.
Questa mattina quindi, in un’udienza lampo calendarizzata solo per eventuali repliche, il giudice ha pronunciato sentenza di assoluzione con formula piena.
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