'Lecco città dei Promessi Sposi': lingua, dialetto e musica con un poliedrico Van de Sfroos

Lingua e dialetto, Dante rapper e Foscolo dark, i personaggi universali dei Promessi sposi e la Lucia donna forte come forti sono la monaca di Monza e Perpetua: due ore a ritmo sostenuto nella serata con Davide Bernasconi, nome d’arte Van De Sfroos, nell’ambito del festival “Lecco città dei Promessi Sposi”.


Dario Canossi e  Davide Van de Sfroos sul palco


Ieri sera, Cenacolo francescano gremito per l’incontro con il celebre artista lariano che si è presentato in vesti plurime: del cantante e dell’autore, certo, ma anche dell’attore interpretando don Abbondio, i Bravi e la perpetua in un quadretto esilarante, intercalando riflessioni con battute, ragionamenti con canzoni, serio con faceto. Un dialogo decisamente scoppiettante quello di Van De Sfroos con Dario Canossi, l’anima del gruppo musicale dei Luf. Ai quali si è unito nel finale anche Angapiemage Galiano Persico, musicista a fianco di entrambi da lunga data.


Mauro Rossetto



Il tema dato era quello di un confronto tra lingua italiana e dialetto, pensando al Manzoni che avrebbe dovuto far parlare i propri personaggi in lombardo e ha scelto invece l’italiano perché il suo fosse un romanzo nazionale, e sciacquando i panni in Arno ha fondato il nostro idioma moderno. E guardando all’esperienza cantautoriale di Van De Sfroos che all’inverso ha scelto il dialetto per molte delle sue canzoni e che si è sbizzarrito nello spiegare il proprio percorso culturale e linguistico «perché dobbiamo essere forti per mantenere quello che è stato». E se da un lato non è il caso che si insegni il dialetto a scuola, dall’altro non era forse anche sbagliato chiedere ai genitori, come si faceva un tempo, di non parlarlo in casa per evitare che i figli riempissero i tempi di strafalcioni.


E’ stata una dissertazione serrata, nel corso della quale ha evocato storie di immigrazione e di emigrazione, ha parlato della santa Rosalia venerata in Alto Lario dove il dialetto può a volte assumere addirittura accenti siciliani, delle mille sfaccettature del vernacolo per arrivare all’etimologia della parola “magutt” che potrebbe derivare da “magister ut supra” nelle abbreviazioni incise sulle pietre del Duomo di Milano: «Me l’hanno raccontata così e speriamo che non sia una balla». Versione peraltro contemplata dai vocabolari di dialetto. Tutto per sottolineare la necessità di ricordare.


L'evento pomeridiano a Villa Manzoni



Paola Italia

Nel pomeriggio a Villa Manzoni si era invece parlato, con la filologa Paola Italia, il già conservatore dei musei lecchesi Gianluigi Daccò e l’attuale direttore Mauro Rossetto, del “misterioso manoscritto” conservato proprio nel polo manzoniano del Caleotto. Fu acquistato nel 1988 in una libreria antiquaria dallo stesso Daccò quale prova che il contenuto dei “Promessi sposi” circolasse già prima della pubblicazione (avvenuta, si ricorderà, una prima volta tra 1825 e 1827 e in edizione definitiva nel 1840). Il “manoscritto misterioso” contiene appunto il riassunto della vicenda raccontata dal Manzoni così come appariva nella prima minuta scritta tra 1821 e 1823 e che sarebbe stata pubblicata, dopo un lungo e attento lavoro filologico, soltanto nel Novecento con il titolo di Fermo e Lucia. Quando, invece, Manzoni già quella prima bozza l’aveva intitolata “Gli sposi promessi”, come incontrovertibilmente certifica proprio il manoscritto di Villa Manzoni.



I ragazzi dell'Enaip


La conferenza è stata inframmezzata da una pausa gastronomica, durante la quale è stata servita una cioccolata e un caffè preparati (quasi) come ai tempi del Manzoni accompagnati da pasticcini a cura dei ragazzi del Centro di formazione professionale Enaip.
D.C.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.