Omicidio di Temù: tutti gli indizi contro di Silvia, Paola e Mirto. Un testimone oculare avrebbe riconosciuto il calolziese

Mirto Milani
Come Laura Ziliani sia stata uccisa ancora non è stato chiarito. Ma facendo propria la ricostruzione degli inquirenti coordinati dal sostituto procuratore Caty Bressanelli, il Gip del Tribunale di Brescia Alessandra Sabatucci sembra non avere dubbi: alla 55enne, ex vigilessa proprio a Temù ma da qualche anno impiegata presso il Comune di Roncadelle, nella notte tra il 7 e l'8 maggio, giorno in cui è stata poi denunciata la sua sparizione, è stato somministrato del bromazepam, composto benzodiazepinico avente azione ansiolitica e ipnoinduttrice, in una quantitativo non letale ma "potenzialmente idoneo a comprometterne le capacità di difesa rispetto ad insulti lesivi esterni". A stordirla prima di assassinarla e farne sparire poi il cadavere sarebbero state, in concorso tra loro, due delle sue tre figlie, Silvia (classe 1994) e Paola (classe 2002) Zani e il fidanzato della maggiore, il calolziese Mirto Milani arrivato - in fase di indagini - a raccontare agli inquirenti di avere una relazione ritenuta "illegale" con entrambe per giustificare la consegna ai Carabinieri di un cellulare "nuovo" invece del dispositivo in uso nel periodo antecedente la sparizione della "suocera", che avrebbe - a suo dire - contenuto le prove imbarazzanti di tale legame a tre.
Economiche le motivazioni dell'omicidio: al terzetto viene addebitato l'interesse “a sostituirsi alla Ziliani nell'amministrazione del suo vasto patrimonio immobiliare, al fine anche di risolvere i rispettivi problemi economici e di rientrare dell'esborso di 40.000 euro che la donna avrebbe imposto alle ragazze per mettere a reddito alcuni appartamenti”.
E' quanto esplicitato nero su bianco dall'ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere datata 23 settembre. In quattro mesi di indagini, la Procura di Brescia ritiene di aver costruito un quadro accusatorio solido, in toto sposato dal GIP che, sulla base dei gravi indizi di colpevolezza emersi, ha disposto l'incarcerazione dei tre indagati, tutti assistiti dall'avvocato lecchese Elena Invernizzi e dalla collega bergamasca Maria Pia Longaretti. In 38 pagine emerge la supposta premeditazione dell'omicidio, "che ha permesso agli indagati di celare per lungo tempo la morte della donna e di depistare le indagini a loro carico", con tanto di prodromo individuato in una cena durante la quale sarebbe stata “avvelenata” con un tisana tanto da patire poi un malore, come attestato dal nuovo compagno e da una amica.
Laura Ziliani
Risaltano anche gli elementi raccolti da chi ha curato, con certosina pazienza senza anticipare i tempi, l'inchiesta per smentire le versioni rese dalle due ragazze e dal 27enne lecchese circa l'ultima volta che avrebbero visto Laura, a loro dire uscita attorno alle 7 da casa senza più farvi ritorno, dopo aver fatto colazione e scambiato qualche parola con loro. Ad insinuare dubbi sulla genuinità delle parole del terzetto anche il dettaglio stesso dell'orario: cosa ci facevano tutti già svegli di prima mattina se, a detta della vicina di casa e della nonna, le due Zani erano solite dormire fino a tardi? E perché la madre avrebbe dovuto indossare, per uscire per una camminata, i jeans, capo d'abbigliamento mai visto portare, durante le escursioni che era solita fare, dal suo nuovo compagno? Ma ad attestare che l'ex vigilessa quella mattina non sarebbe nemmeno scesa dal letto parrebbe essere stato il suo cellulare, rinvenuto nel vano cantina dell'abitazione, zona priva di ricezione, incastrato in una panca, sottoposto a consulenza informatica: l'ultima interazione con l'apparecchio – che a detta di figlie e “genero” Laura stava consultando prima di chiudersi la porta alle spalle – risale alla sera prima, alle 22.24; il contapassi non ha registrato movimenti se non tra le 8 e le 8.20 quando però lo smartphone avrebbe dovuto già giacere dimenticato dove è stato trovato;  si sarebbe poi agganciato anche alla rete internet che non prende però nel locale dove è stato scoperto...
Maldestro, sarebbe stato poi anche il tentativo di depistare le ricerche facendo ritrovare le scarpe e i pantaloni della vittima. La tecnologia avrebbe permesso infatti, tra captazioni e incroci di telecamere, di collocare proprio i tre indagati – tutti insieme o Milani in coppia con la fidanzata – nei punti in cui le calzature e i jeans sono stati poi notati da passanti. Addirittura, per la seconda delle due Salomon indicate dalle figlie come appartenenti alla madre, un testimone oculare avrebbe visto e poi riconosciuto Mirto e “una delle due Zani”, osservando da lontano il loro armeggiare sospetto con un binocolo. Il giovanotto – cresciuto a Olginate prima di spostarsi a Calolzio e ora formalmente residente a Roncola San Bernardo –  si sarebbe addentrato in una macchia di vegetazione nei pressi del canneto, ricongiungendosi poi con la donna che lo attendeva sulla strada, notata chinarsi come per raccogliere qualcosa – che in realtà non c'era – al passaggio di una macchina, probabilmente per evitare di essere vista in viso dal conducente.
Certo, il quadro tracciato dalla Procura non è ancora completo. Non si sa nemmeno come la Ziliani è stata uccisa e dove il suo corpo è rimasto fino a domenica 8 agosto. Ma per il Gip il disegno è chiaro. E per Silvia, Paola e Mirto si sono spalancate da oggi le porte del carcere.
A.M.
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