Alto Lago: convivenza degenera in violenza, in Aula una donna racconta il suo dramma


Maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking e per completare un quadro accusatorio già pesantissimo pure estorsione. Questi i reati contestati a un cittadino marocchino, classe 1980, irrintracciabile anche per l'avvocato Peter Sironi, nominato suo difensore d'ufficio.
I fatti oggetti del procedimento si sarebbero consumati in due comuni dell'Alto Lago, sconfinando poi in terra sondriese, come da plurime denunce dell'ex compagna del magrebino. Proprio l'audizione della donna – una sua connazionale, più avanti con gli anni – ha monopolizzato l'udienza odierna  al cospetto del collegio giudicante del Tribunale di Lecco (presidente Enrico Manzi, a latere le colleghe Martina Beggio e Giulia Barazzetta).
Non senza difficoltà, anche per una questione linguistica, la signora, rispondendo alle domande poste dal Procuratore facente funzioni Cuno Tarfusser e dall'avvocato Cesare Dell'Oca, legale attraverso il quale si è costituita parte civile, ha ricapitolato i contorni di una convivenza degenerata oltre misura. Lei e l'imputato si sarebbe conosciuti nel giugno del 2017 mentre entrambi vivevano presso una struttura alberghiera. In lui avrebbe rivisto il suo defunto compagno, per una somiglianza fisica ma anche dei modi. Andati a vivere nello stesso appartamento, il nuovo fidanzato avrebbe dapprima lasciato il lavoro, poi avrebbe iniziato a fare uno smodato di droga, rendendo litigiosa la relazione, andata avanti tra alti e bassi, con più cambi anche di residenza, fino al giugno 2019 quando lui le avrebbe imposto “un rapporto sessuale molto violento” dopo averla trascinata in cantina per i capelli dinnanzi al suo diniego. “Ogni volta che ti chiamo devi essere qui” le avrebbe detto prima di abusare di lei. Già qualche tempo prima, durante il Ramadan, una sera il giovanotto, presentatosi a casa “tutto fatto” dopo aver venduto il televisore per acquistare dello stupefacente, avrebbe usato violenza sulla persona offesa, in camera da letto, alla presenza nell'altra stanza, della figlia di lei. “Battevo contro il muro ma c'era mia figlia di la e per non farmi capire ho buttato giù”. Non è andata così a giugno. Se dopo l'episodio della cantina, come se nulla fosse, la donna aveva trovato la forza di andare a Milano ad un concerto con la ragazza, il giorno successivo, dopo ulteriori maltrattamenti da parte del compagno si sarebbe presentata ai Carabinieri per denunciarlo, venendo poi instradata verso il pronto soccorso.
In un'ulteriore strascico della vicenda, la marocchina sarebbe stata tampinata di messaggi minatori da parte del 41enne, arrivato – parrebbe – anche ad appostarsi dinnanzi al suo posto di lavoro con una bottiglia di acido tra le mani. “Faccio male a te e a tua figlia. Non mi interessa la galera” le avrebbe detto, arrivando a ottenere (sotto pressione) 600 euro per restituirle le chiavi di casa salvo poi costringerla comunque per diversi mesi a spostarsi a vivere altrove in cerca di pace, ritrovandosi a pagare l'affitto pur avendo un appartamento suo.
Riaggiusto il capo d'imputazione correggendo un errore in una data, come fatto emergere dall'avvocato Sironi con le sue contestazioni, il processo è stato aggiornato al prossimo 27 gennaio per il completamento dell'istruttoria.
A.M.
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