Catalogo donne single: le motivazioni della sentenza. 'Ci sono tutti i presupposti per appellarla'


A fine maggio scorso Nicola Antonio Marongelli, l'autore dell'ormai ben noto “Catalogo delle donne single di Lecco”, veniva dichiarato colpevole in primo grado dal Tribunale cittadino per i reati di trattamento illecito di dati personali (art. 167 del codice della privacy), di diffamazione (art. 595 c.p.) e sostituzione di persona (art 494 c.p.) e condannato ad un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa).
Ricordiamo che il 58enne originario di Reggio Calabria aveva nel 2017 pubblicato sul sito lulu.com un e-book contenente 1218 profili di donne lecchesi e residenti in provincia (con tanto di foto profilo, età ed in alcuni casi indirizzo di casa o luogo di lavoro), vendendolo per 7 euro (da qui il sottotitolo “Al costo di un drink”).
Il giudice onorario Maria Chiara Arrighi si era data 90 giorni di tempo per depositare in cancelleria le motivazioni della sentenza, ora pubblica.
“Il diritto alla protezione dei dati personali è un diritto fondamentale dell'individuo ai sensi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea” scrive il giudice elencando gli elementi costitutivi - provati in aula - del reato di trattamento illecito di dati. “L'imputato, non vi è dubbio avendo lui stesso confessato, ha acquisito i dati personali delle persone offese dal social network Facebook”. Dati inequivocabilmente personali, sebbene in fase di istruttoria fossero stati accertati essere obbligatoriamente pubblici per i termini di utilizzo fissati dal social network e senza dubbio prelevati senza il consenso delle titolari. Fuor di dubbio anche il dolo, secondo la dott.ssa Arrighi, che in sede di motivazione ha rivolto la propria attenzione alle persone offese: “Per il Marongelli si trattava di un business al costo di un drink. Espressione questa che enfatizza al negativo lo spregio per queste donne. Donne che valgono meno di un drink. Donne che si sono colpevolizzate pensando di essere state loro stesse la causa di quanto accaduto. Donne che si sono vergognate sul posto di lavoro e che hanno dovuto in qualche modo giusitificare quanto accaduto o far finta di nulla di fronte alle battute”.
Pienamente configurato nella condotta dell'imputato sarebbe anche il secondo capo d'imputazione – la diffamazione – indicato dal giudice come l'offesa per le donne di “essere state catalogate ed etichettate come single e poste online come tali. Perchè catalogarle se tutti potevano vedere e sapere che erano single?”. Una domanda, retorica, a cui si risponde con la semplice brama di un guadagno “con altrui danno alla dignità”.
Pacifica la consumazione del reato di sostituzione di persona, ammessa in aula dallo stesso imputato nel corso del proprio esame: aveva creato una mail falsa, spendendo il nome di un avvocato di sua conoscenza presso diversi uffici anagrafe “per acquisire certificati anagrafici di residenza e stato di famiglia”.
In sede di quantificazione della pena, inoltre, si legge di come all'imputato non sia stato possibile concedere attenuanti generiche: “in sede d'esame non ha dato prova alcuna di reale pentimento né consapevolezza del disvalore della sua condotta”.
“Fa piacere che questa sentenza si conosca e venga divulgata” ha affermato l'avvocato Marisa Maraffino, rappresentante di 8 delle donne raffigurate nel catalogo, che hanno denunciato Marongelli ed hanno voluto prendere parte al processo come parti civili. “Mi ha fatto molto piacere il fatto che il giudice abbia evidenzato in motivazione la mercificazione a cui sono state sottoposte queste donne, perchè di questo si è trattato”. La sentenza (che il legale ha voluto definire “storica”) del Tribunale di Lecco merita l'interesse non solo delle proprie assistite o delle donne, ma dell'intera collettività, che da questa sentenza può ricavare la certezza che chiunque si appropri e pubblichi online i propri dati personali venga punito. “Come ho detto nella discussione finale, se il Marongelli ne fosse uscito assolto, saremmo tornati indietro alle sentenze degli anni '60, in cui se una donna subiva una violenza non era colpa dell'uomo, ma di lei che portava la minigonna”. E invece, perlomeno a conclusione del processo di primo grado, le donne costituitesi hanno ricevuto giustizia non solo con la condanna dell'uomo, ma anche con il riconoscimento di un risarcimento danni pari a 1.000 euro ciascuna. “Ricordo quanto sia stato sofferto questo processo dalle mie assistite, ricordo il timore di denunciate e di venire in aula a testimoniare: per me è stato un privilegio difendere queste donne” ha concluso l'avvocato.
“Si tratta di una materia decisamente complicata derivante da un caso inedito. Ci sono diversi profili di diritto che non sono stati affrontati dal Tribunale, per cui ci sono tutti i presupposti per ricorrere alla Corte d'Appello” il commento invece dell'avvocato difensore di Marongelli, Stefano Pelizzari del foro di Lecco.
F.F.
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