Lecco perduta/284: quando Valmadrera era un’isola verde

Si allunga oltre il tratto terminale del Lario, di fronte a Lecco, l'attuale panoramica della “città perduta” e raggiunge la quasi confinante Valmadrera nel segno profetico di un territorio municipale sempre più vasto, come presentato dal giornalista Paolo Valsecchi, in uno studio-ricerca pubblicato nella primavera del 2018.
Sembra impossibile ai ragazzi ed ai giovani di oggi, anche a Valmadrera, che il loro paese, oggi città, abbia vissuto una multisecolare stagione agricola e rurale sin quasi a metà Novecento. E’ stato quello che volle rievocare e testimoniare la mostra della cultura e della tradizione contadina a Valmadrera, allestita nell’autunno 1997 presso il centro Fatebenefratelli. Venne organizzata dal Comune di Valmadrera, dalla Consulta per l’Agricoltura, dal Centro di Promozione Sociale, dal Centro Bovara.


Erano le stesse associazioni ed enti che venti anni prima, nell’autunno 1977, avevano organizzato la Sagra dell’Uva, ricordando il ruolo della vite e del vino nella storia locale. Era una vicenda antica se si considera che già nel 1574 Valmadrera, allora con 600 anime, aveva cantine capaci nella casa di Giacomo Bonacina, in Campogrande, fornita di vasselli per 160 brente. Sono notizie che escono da un manoscritto dello storico locale cav. Achille Dell’Oro e consegnato ad amici. Negli anni tra il 1700 ed il 1720 numerosi erano i vigneti ed i contadini che portavano l’uva al grande torchio, manovrato a leva, esistente al Fatebenefratelli.

   

L’agricoltura era ancora l’attività largamente prevalente nella seconda metà dell’Ottocento e continuava la coltivazione di uve da tavola e da vino. Comunque non solo vite e vino accompagnavano il tracciato campestre di Valmadrera: c’erano frumento, granoturco, castagne. Discreto il bestiame, con bovini, pecore, capre, ma anche equini impegnati in trasporti agricoli. Il mondo campestre di Valmadrera è passato poi per l’allevamento del baco da seta, che giunse ad annoverare 150 famiglie contadine.
   


Un’attività economica divenuta tanto importante che sul finire dell’Ottocento fece costituire una Cassa Rurale di prestiti. Fra i fondatori della Cassa, società cooperativa in nome collettivo, c’erano Giuseppe Gavazzi ed il parroco don Giuseppe Valera. C’era, quindi, un lungo passato nella mostra del ’97 che rievocava con la riproduzione di ambienti domestici e tipici della casa rurale nei primi decenni del Novecento.



Nella mostra, venne evidenziato, c’era anche la cultura contadina, oltre il lavoro e le usanze: una dimensione di sacrificio, di senso del dovere, di solidarietà, dove gesti consueti e semplici manifestavano spiritualità profonda, tensione sempre viva, sopportazione di imprevisti, virtù non sempre facili da incontrare oggi nella società contemporanea, forse smarrite fra le comodità urbane.
Insomma c’erano tanti “tesori” in una vera e propria ''isola verde''.

La documentazione fotografica è stata messa a disposizione da Massimo Cariboni, presidente dell’Associazione Amici del Sasso di Preguda.
A.B.
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