SCAFFALE LECCHESE/59: Neri e Gianna, amanti-partigiani nell'ultimo libro di Conti

Mattia Conti
Un «libro maledetto» le cui vicende raccontate sembrano per sortilegio riprodursi nuovamente in una realtà non molto dissimile. Una maledizione? O quell'inevitabile ripetersi delle vite e delle storie per cui non si inventa mai niente ed è tutto un già visto? Ce lo si chiede leggendo "Gli amanti sommersi", il nuovo libro di Mattia Conti (edizioni Solferino, quasi quattrocento pagine, euro 18,50), ormai non più giovane promessa, ma già autore avviato alla maturità.
Gli amanti del titolo sono Luigi Canali e Giuseppina Tuissi, vale a dire Neri e Gianna, i due partigiani - comasco lui, milanese lei - uccisi dai propri compagni all'indomani della Liberazione e la cui vicenda è ancora oggi una delle grandi ombre che si proiettano sulla Resistenza e sui giorni concitati della fine della Seconda mondiale: la cattura e l'uccisione del duce, il favoleggiato oro di Dongo, i documenti misteriosi...
Riassumere in poche righe la storia di Neri e Gianna è arduo tanto le storie personali sono ricche e il dipanarsi della vicenda intricato. Nel 1944, lui è il capitano Neri, non un partigiano qualsiasi ma tra i primi animatori della Resistenza comasca, comandante di una brigata partigiana alla quale Gianna, proveniente da Milano, viene assegnata come staffetta. Tra i due nasce una relazione, nonostante lui sia sposato da poco e già padre di una bambina. Vengono arrestati e torturati, lui riesce a fuggire e lei poco dopo viene liberata. Segue una scia di arresti effettuati dai fascisti. Parte della dirigenza partigiana li addebita al tradimento dei due "amanti", contro i quali viene emessa una vera e propria condanna a morte. Ai sospetti, comprensibili per le terribili contingenze di una guerra spietata e per le condizioni di clandestinità dei partigiani, si aggiungono però altri motivi: i contrasti nella gestione della battaglia resistenziale, invidie e ambizioni personali, piccole vendette. Neri e Gianna riescono comunque a destreggiarsi. Combattono fino all'ultimo giorno e sono anche in Alto Lago a firmare l'atto finale del fascismo: il 28 aprile 1945, la fucilazione di Mussolini alla quale partecipa lo stesso Neri. Mentre Gianna è impegnata a a catalogare il materiale sequestrato ai gerarchi in fuga. Il 6 maggio Neri esce di casa la mattina e scompare. Nei giorni seguenti, Gianna bussa mille porte per avere e non ottenere notizia alcuna, finché il 22 giugno viene uccisa a Cernobbio, due giorni prima di compiere 22 anni: il suo corpo viene gettato nel lago, così come vi era stato gettato quello di Neri.
Di questa pagina di storia molto si è scritto e discusso. Facendo i conti con troppe reticenze perdurate nel tempo. Due anni fa, per Mursia è uscito "Gianna e Neri: vita e morte di due partigiani comunisti" di Franco Giannantoni (pagine 645, euro 25). Se fosse possibile parlare di una versione definitiva, considerati i molti aspetti controversi che permangono e la scomparsa ormai di tutti i testimoni, quello di Giannantoni potrebbe appunto essere il libro definitivo.
La vicenda, tra l'altro si intreccia anche con la Resistenza lecchese, chiamando in causa Umberto Morandi, il comandante "Lario", l'ex ufficiale del regio esercito messo a guidare la lotta partigiana in montagna, tra il Comasco, la Valtellina, la Valsassina e la Bergamasca. E che fa parte della "mitologia" lecchese.

Però, Giannantoni ci offre un ritratto non propriamente lusinghiero di Morandi. Proprio a proposito di confessioni durante gli interrogatori e di confronti davanti agli inquisitori. Ci viene infatti descritto un Morandi («finito in carcere per il tradimento di un partigiano lecchese, il "Francio"») pronto a rivelare «alla Gnr di Lecco tutti i segreti della sua struttura militare» e tra l'altro «senza subire alcuna tortura», come si sarebbe malignato altri. E perciò beneficiando in cella di un trattamento di riguardo.
Leggiamo il passaggio relativo al riconoscimento di Neri da parte di Lario. I due, Canali e Morandi, si trovano nel carcere delle Brigate Nere a Como ed «era giunta l'ora di un nuovo confronto [per Neri], quello con il badogliano "colonnello Lario". Il luogo lo stesso, l'Ufficio politico all'ultimo piano della federazione fascista. Poteva essere la svolta decisiva. "Sapete chi è questo signore?", aveva domandato il tenente della Brigata Nera Enrico Mariani rivolgendosi al ‘colonnello Lario' nella sua giacca a vento color champagne. "Eh... sì, è Neri" aveva annuito il comandante del Raggruppamento Garibaldi, avvampando in volto. "Gli risposi con un sorriso di compatimento", commenterà Neri nel suo memoriale. Poi aveva aggiunto: "Egli confermò che io ero Neri non solo ai suoi occhi ma anche a quelli degli altri membri del Comando, ripeté più volte che egli aveva esposto tutto ben chiaramente nel suo documento. Si atteggiò inoltre a vittima dei comunisti". »
Da parte sua, nel processo del 1951 proprio per la scomparsa dei due partigiani, Morandi avrebbe fornito una versione opposta.: «Fui chiamato improvvisamente e nell'entrare nella sala della Federazione fascista di Como c'era Neri, seduto a sinistra davanti al tavolo in piena luce, mentre chi interrogava era nell'ombra. Al mio apparire scattò sull'attenti: "buona sera comandante", disse. Sdegno e reazione furono tutt'uno in me e risposi: "sì Neri, come per dire, sì sono io il comandante».
Anche tutto questo diventa materia per la storia di Conti.

In realtà, "Gli amanti sommersi" non è un romanzo storico, non intende fornire una nuova versione delle vicende di Luigi-Neri e Giuseppina-Gianna, bensì ricordarli attraverso Marzio e Giovanna, i nomi dei coprotagonisti raccontati dallo scrittore lecchese. Vicende che si dipanano ottant'anni dopo, vale a dire negli anni Trenta del secolo che stiamo vivendo. Fra una decina d'anni, dunque. Ma non si tratta di fantascienza né di distopia: il periodo, del resto, sta troppo dietro l'angolo. Più semplicemente, si dipinge un possibile sviluppo della storia di questi anni. E non è rassicurante.
Il periodo descritto da Conti è quello di una nuova dittatura italiana da parte di una "Trinità" che controlla e dirige la popolazione attraverso internet e i social. Bandita la carta, ogni comunicazione può essere solo tecnologica e pertanto più facilmente controllabile. Già sappiamo quanto oggi nella nostra vita sia spiato dai marchingegni informatici: i motori di ricerca, le nuvolette, la posta elettronica, la messaggistica. Non è difficile intuire che fra una decina di anni la raffinatezza tecnologica avrà raggiunto capacità di sorveglianza incredibili. Il clima politico è quello del patriottismo sfrenato, per adesso lo chiamiamo sovranismo.
E' appena passata una pandemia (l'emergenza covid ha colto di sorpresa l'autore mentre già era all'opera e gli ha fornito uno spunto in più: «La Trinità aveva ottenuto più del settanta per cento dei voti promettendo un'Italia nuova e sovrana. L'uscita dalla Ue festeggiata come il Capodanno. L'emergenza sanitaria aveva consentito ai tre leder di sospendere la democrazia parlamentare a data da destinarsi»). Il capro espiatorio è la comunità cinese nei confronti della quale viene avviata una vera e propria pulizia etnica.
Abolita la carta («non abbiamo bruciato i libri, li abbiamo digitalizzati») a istigare la canea è una propaganda massiccia che si diffonde attraverso i social e plasma emozioni e pensieri della popolazione, pronta a partecipare alle crociate contro i "buonisti" (l'abbiamo già sentita, o no?): «Ora gli esseri umani valevano uguale, smaterializzati nell'etere. Laureati, analfabeti, conservatori, progressisti, le loro opinioni avevano lo stesso peso: inconsistente. (...) Avevano imparato da Google a tracciare risate, spostamenti, emozioni degli utenti per tradurli in dati che potessero prevedere il loro comportamento. Di più: agire sugli individui conducendoli entro argini già segnati. Requiem per il libero arbitrio. Per questo Sante andava tanto fiero del suo Social Unico. Un agglomerato di cittadini avatar con pari diritti e dignità, branchi di vite in ostaggio sotto l'occhio muto del mandriano, spalancato nelle loro stanze».
E c'è anche un "manifesto genetista", «un'accozzaglia di teorie razziste e antiscientifiche che cercano nella genetica una conferma della superiorità caucasica» come del resto pensa l'estensore, Glauco, un medico che per molte pagine del libro avrà un ruolo non marginale.

A opporsi alla dittatura ci sono i "dinosauri", quelli che non si rassegnano al cambiamento, quelli che ancora usano la carta. Sono un'organizzazione clandestina ribelle che lotta, anche armi in pugno, per abbattere la dittatura. Dell'organizzazione fanno parte, arrivatici per percorsi differenti, Marzio e Giovanna. Che intanto si dilettano a tradurre la storia degli amanti sommersi: la traducono in esperanto, la lingua coniata nella seconda metà dell'Ottocento per essere universale e superare quindi tutte le lingue nazionali con il loro bagaglio di confini e nazionalismi dei quali già si presagivano i macelli che avrebbero provocato nel Novecento. Di là dalle considerazioni sulle fortune di questa lingua artificiale che, nonostante qualche riconoscimento ufficiale, rimane ancora oggi una sorta di esercizio dilettevole, c'è che Luigi Canali allo studio dell'esperanto si era dedicato per un periodo della sua vita, prima di essere chiamato a militare e inviato nella guerra d'Africa.
Traducendo il libro, Marzio e Giovanna si accorgono che il loro percorso finisce con il rassomigliare in maniera impressionante a quello di Neri e Gianna: gli arresti, l'accusa di tradimento, altri tradimenti, lo spaesamento: «Gianna e Neri. Prima è successo a loro, adesso tocca a noi. Sta succedendo di nuovo».
Come detto, Conti non propone una nuova versione della vicenda dei due partigiani comunisti. S'immagina invece quelli che possono essere stati i loro pensieri, le loro emozioni, le attrazioni e gli allontanamenti, la rabbia, la paura, le incomprensioni, gli egoismi e gli slanci. Attraverso il filtro di Marzio e Giovanna, il tentativo à dunque quello di indagare sulla dimensione umana di Neri e Gianna, fino a oggi guardati con le lenti di freddi documenti storici. O attraverso le testimonianze di chi li ha conosciuti e di chi ha vissuto quegli ultimi giorni: si legga, per esempio, "Sotto l'ombra di un bel fior" di Cecco Bellosi (edizioni Milieu, 2018, 235 pagine, euro 16,90) che racconta, come da sottotitolo, del «sogno infranto della Resistenza».
L'epilogo del romanzo potrebbe essere prevedibile, conoscendo il destino di Neri e Gianna. Mattia Conti ci racconta del clima che si fa sempre più incandescente, di una guerra civile che si conclude con l'uccisione del dittatore, ma ci descrive anche un'alba che non è di speranza, bensì di un semplice capovolgimento di fronte, di una Trinità che muore e di un'altra alla fine poi non molto differente che la sostituisce con altrettanta spietatezza.
In un'atmosfera cupa, Marzio e Giovanna vanno incontro al proprio destino vivendo giornate raccontate con una scrittura incalzante, quasi fosse un delirio e che consente all'autore di arrivare a un finale evanescente. Mentre la traduzione del "libro maledetto" finisce nel lago, foglio dopo foglio, il lettore si chiede se abbia a che fare, in quell'ultimo istante, con persone o con fantasmi.
Dario Cercek
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