SCAFFALE LECCHESE/58: le polemiche portan a rileggere 'La Sud del McKinley' di Cassin

Un po’ surreale e forse pretestuosa, la polemica estiva di quest’anno in città riguarda l’anniversario della conquista del McKinley da parte di una spedizione alpinistica tutta lecchese nell’anno 1961. Anniversario nemmeno tondo, quindi, trattandosi di un sessantesimo. E comunque, è stato “celebrato” a Valmadrera (QUI)  anziché a Lecco: apriti cielo. La polemica tira in ballo anche il capocordata di quell’impresa, Riccardo Cassin, mito dell’alpinismo mondiale, allora poco più che cinquantenne, ma dai lecchesi già considerato il “grande vecchio della montagna”, morto centenario nel 2009: s’era detto che gli si sarebbe intitolato l’ostello della gioventù finalmente in procinto di riaprire i battenti dopo anni. Ora, però, il Comune sembra averci ripensato: riapriti cielo. Oltretutto, chissà poi perché proprio l’ostello – ci vien da riflettere - e non invece altro che meglio si attagli al personaggio. Magari l’Osservatorio della montagna di Palazzo delle paure.

Polemiche a parte, l’occasione è buona per rileggere l’epica del McKinley, nome peraltro scomparso dalle carte geografiche moderne: dal 2015, il monte è tornato a chiamarsi Denali, come lo chiamavano le popolazioni native.
L’impresa lecchese, la scalata della parete Sud con la vetta raggiunta il il 19 luglio 1961, venne raccontata dallo stesso Cassin in un libro uscito quattro anni dopo. Stampato a Milano, si trattava comunque un’iniziativa editoriale della sezione lecchese del Cai.
«Le pagine che ho scritto non hanno nessuna pretesa letteraria» premetteva Cassin al racconto che semplicemente era il proprio diario, annotato giorno per giorno durante quasi tre mesi, tra l’11 giugno il 1° settembe. Un periodo che in queste pagine sembra essere sospeso in una bolla temporale. Non essendo, il racconto di Cassin, scandito da giorni precisi. Per la verità, non ci fosse “Alaska ‘61” in un sottotitolo, non ci sarebbe nemmeno la data dell’impresa: deve essersi persa tra una bozza e l’altra: qualcuno si sarà distratto. In fondo, erano già trascorsi tre o quattro anni dalla spedizione esaurientemente documentata da un filmato uscito già nel 1961 (assemblando le riprese effettuate dallo stesso Cassin).
Della spedizione facevano parte altri cinque alpinisti tra i 27 e i 33 anni d’età: giovani per quanto con un curriculum di tutto rispetto.

Cassin e Zucchi con pesanti carichi verso il Campo I

Ricordava Cassin, ancora in premessa, che l’idea di una spedizione in Alaska era stata avanzata per la prima volta «dal compianto Ghiglione» che sarà poi Piero Ghiglione, ingegnere e alpinista piemontese, morto in incidente stradale nel 1960 all’età di 77 anni. Idea che poi «Carlo Mauri portò a Lecco e mi propose di parteciparvi. Ma purtroppo, nella fase preparatoria, Mauri subì un incidente sciistico che lo costrinse a una lunga convalescenza, precludendogli ogni possibilità di partecipare alla spedizione. Ormai a Lecco e in seno al Club Alpino Italiano se ne era parlato ufficialmente e pertanto, pur comprendendo il parere di coloro che avrebbero voluto rimandare tutto all’anno dopo non era più possibile tornare indietro. L’obiettivo vero e proprio non era stato ancora fisato. Solo più tardi, il dottor [Bradford] Washburn, direttore del Museo delle scienze di Boston e profondo conoscitore del McKinley, ci suggerì la “Parete Sud” magnifica ed inviolata. Venuto a conoscenza di una spedizione francese che puntava al nostro stesso obiettivo convinsi i dirigenti del Cai Lecco ad affrettare una definitiva decisione».
Questa la genesi della spedizione “Città di Lecco” alla conquista della montagna più alta del Nord America (6.194 metri).
Il diario, dunque. Che ci consente di seguire passo passo i nostri “ragazzi” che volano a New York, di per sé una bella scossa per dei lecchesi dei tempi: «Nei quattro giorni che siamo rimasti nella città abbiamo vagato un po’ dappertutto. New York è veramente grandiosa, ma per il nostro gusto semplice è troppo caotica e snervante. Malgrado le difficoltà della lingua ci siamo fatti capire abbastanza facilmente. Qui c’è un numero notevole di italiani che ormai ha dimenticato la nostra lingua o si esprime con incomprensibili forme del dialetto siciliano.»
Poi, in Alaska, gelido e quasi disabitato nella stagione in cui il sole non tramonta (e ciò permetterà ai nostri alpinisti di restare in parete a volte anche per ore e ore): la città di Ankhorage e la piccola località di Talkeetna, l’incontro con gli abitanti, le contraddizioni: «Le due razze, gli indiani e gli eschimesi, vanno purtroppo scomparendo: forse il fatto è che la civilizzazione ha fatto loro più male che bene (…) In fondo la civiltà moderna può trarre dal suolo dell’Alaska ogni ben di Dio, ed è anche giusto che ricompensi indiani ed esquimesi con i suoi prodotti, forse anche senza buonsenso fornendo alcool e tabacco in eccessiva quantità».

Campo di atterraggio - Il pilota Don Sheldon saluta Alippi prima di ripartire per Talkeetna

Successivamente, con il piccolo Piper di Don Sheldon che fa la spola più volte, si vola sul ghiacciaio Kahiltna Est, punto di partenza dell’arrampicata su ghiaccio e roccia. Con qualche preoccupazione: per del materiale in ritardo; per l’iniziale errore del pilota che li conduce su un versante sbagliato del ghiacciaio; per il presentarsi di tre alpinisti intenzionati ad aggregarsi alla spedizione lecchese, due dei quali si riveleranno più che altro una palla al piede e si ritireranno, il terzo abbandonerà suo malgrado per avere esaurito i giorni di ferie a disposizione.

Alippi e Canali preparano il pranzo al campo di atterraggio sul ghiacciaio Kahiltna Nord

Dopo di che, è soltanto montagna: roccia, ghiaccio, neve, tanta neve, bufere, freddo, nebbie, errori di direzione, tentativi respinti, i problemi sanitari: «Domani andremo io e Annibale che è guarito dalla infezione agli occhi, per due giorni l’ho curato con collirio e pastiglie di vitamine, mentre a Romano ho dato della pomata di penicillina e compresse di acromicina, ma preferisco che stia ancora a riposo. Non c’è un medico nella nostra spedizione e io, oltre alle altre incombenze, ho anche questa preoccupazione». Con inevitabili momenti di tensione: «Vedo qualcuno dei nostri che si avvicina: è Zucchi che mi informa di come vanno le cose lassù dicendomi che non hanno ancora stabilito il luogo adatta a sistemare il campo base. Ne ho abbastanza di dover decidere tutto da me, e dico seccamente ad Annibale se non sono stati capaci loro, in sei, di trovare il luogo adatto». Ma anche momenti “magici”: «Sono sere, queste, in cui ci vorrebbe qualcuno capace di intonare una canzone delle nostre, o che sappia raccontare qualche storia allegra, così facevano nel Baltoro, Zeni, Bonatti, Mauri e Toni Gobbi che trascinavano nei loro canti di montagna anche quelli come me che di musica non si interessano molto.»

Canali al campo base, legge le notizie da casa ai compagni

Risucchiati in quella strana dimensione fuori dal mondo, il legame con le proprie vite è rappresentato dalla corrispondenza, lettere che a turno qualcuno porta giù al ghiacciaio dove il Piper di Sheldon continua a fare la spola: «C’è Luigino che mi racconta di non aver fatto in tempo a consegnare a Sheldon le nostre lettere, ma di avere trovato però la posta lasciata da lui. Le notizie di casa fanno dimenticare, anche solo per un momento, i disagi e le difficoltà di una spedizione come la nostra, e io mi butto sulle lettere senza accorgermi di Luigino che brontola perché non mi sono ancora messo a mangiare. Anche gli altri, quando arrivano, fanno come me e dimenticano la fame nell’ansia di sapere cosa succede a casa e come vanno quelli che abbiamo lasciato.»

Rientro al campo base mentre infuria la tormenta

Ma è un attimo, perché il pensiero torna alla montagna: «Non si è mai troppo scrupolosi nel creare le condizioni che garantiscono il successo e quindi si guarda ad ogni minimo dettaglio, alla più piccola decisione come ad un problema di capitale importanza.» Soprattutto quando si arriva al momento dell’assalto finale verso la vetta: «Ognuno sa fin troppo bene che in questa sola giornata dovrà dare tutto se stesso, senza badare più a misurare le forze, non ci sarà posto per l’incertezza e le indecisioni, saremo noi soli e la montagna; il McKinley l’unico pensiero e per tutto il resto ci sarà tempo domani.»

Attacco del primo canalone, dopo aver superato la crepaccia terminale

Le parole di Cassin ci fanno rivivere l’ultimo “strappo”: «Gigi che sta attraversando una piccola crisi, forse per l’eccessivo sforzo sostenuto prima, mi prega di rallentare un po’m la marcia, Jack invece vorrebbe proseguire ancora più in fretta perché sente freddo ai piedi, ma ormai la vetta è vicina e la certezza della vittoria fa dimenticare a tutti, per un momento, la stanchezza e il freddo glaciale. Alle 23, dopo diciassette ore di salita, tutti insieme raggiungiamo la cima del McKinley. Ci abbracciamo commossi prima ancora di esprimere con poche parole confuse la grande gioia di questo momento, poi vedo i ragazzi tirar fuori dai sacchi le bandierine italiana, americana, alaskana e quella di Lecco, che legate assieme piantiamo con un chiodo nel ghiaccio a testimonianza del nostro arrivo quassù; ma i ragazzi mi hanno voluto fare una sorpresa e lasciamo qui sul McKinley anche un crocefisso e una statuetta di S. Nicolò, patrono della città di Lecco. Prima di scendere tento di scattare qualche fotografia, ma per la visibilità troppo scarsa dubito che possano riuscire. Il freddo adesso è davvero al limite della sopportazione e non ci fermiamo oltre.»

Trasporto di Canali con una rudimentale slitta dal campo base al campo di atterraggio
dove sarà prelevato dall'aereo di Don Sheldon per essere trasportato all'ospedale di Anchorage

Ma la discesa si fa drammatica: Canali rischia il congelamento dei piedi, non riesce più a calzare gli scarponi e Alippi gli cede «con molta generosità le sue scarpe di renna: lui scenderà fino al secondo campo, dove potrà trovarne un altro paio, infilando tre o quattro paia di calze e delle soprascarpe di tela». Anche Airoldi e Perego cominciano ad avere qualche problema e lo stesso Cassin perde i ramponi e viene travolto da una slavina «che mi sbatte contro un muro di ghiaccio opprimendomi. Ricordo di avere avuto in quel momento la sensazione di essere spacciato».

Alla fine, però, tutti riescono ad arrivare a valle, magari con una slitta improvvisata per trascinare Canali che non riesce più a camminare, per quattro dei sei ci sarà qualche giorno d’ospedale, ma torneranno tutti interi in Italia, non prima di avere ricevuto le chiavi della città dal sindaco di Anchorage e di far visita a un missionario che fa scuola ai ragazzi «quasi come succede nei nostro oratori di campagna, ma anche a Kotzbue i bambini sono come in tutte le parti del mondo, hanno poca voglia di studiare e di andare a scuola. Il padre si lamenta che non ci può fare niente, lui, se i genitori si disinteressano dell’educazione dei figli, a loro non importa che vadano a scuola o alla chiesa per la dottrina. Nessuno più crede ancora nei maghi o nelle streghe, ma gli adulti e i vecchi sono apatici, vivono alla giornata e basta. Andando per le strade di Kotzbue il padre mi mostrava i simboli invadenti della civiltà americana che tocca ormai anche queste regioni alte dell’Alaska. Con le case sono arrivate anche le sigarette, le bottiglie di whisky, i film di Hollywood e la gomma da masticare; tutti quanti qui bevono e fumano abbondantemente».
Sulla strada del ritorno sarebbero dovuti passare per Washington, ricevuti alla Casa Bianca dal presidente Jhon Fitzgerald Kennedy che, alla notizia della conquista della vetta, aveva inviato un telegramma di felicitazioni a Cassin. «Poi, a causa di eventi internazionali tra cui i fatti di Berlino, sono state annullate tutte le udienze». I “fatti di Berlino” sono la costruzione del Muro che cominciava proprio nei giorni in cui gli alpinisti lecchesi erano impegnati sul McKinley e che avrebbe diviso la città tedesca per quasi trent’anni.
E, infine, «il 1° settembre rimetto piede a Lecco. Ora l’avventura del McKinley è proprio finita.»

Dario Cercek
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