Introbio: la 'neurofibromatosi' affrontata day by day da mamma Rebecca

Elisa e mamma Rebecca
“La mia bambina era stata dimessa come sana in uno degli ospedali di Genova dove abitavamo all’epoca. Era piena di macchie, mi sono detta: ‘quante voglie!’. Ero contenta, mi piacevano. Quando abbiamo fatto la seconda visita con la pediatra della mutua - l’unica disponibile nel quartiere - abbiamo scoperto della patologia. Ha girato e rigirato la mia bambina, all’epoca ancora neonata, scrutando le macchie e lì ha capito”. Quando chiediamo a Rebecca Alberani – che ora vive a Introbio - come ha scoperto della patologia di sua figlia Elisa, un aspetto invocato più volte nel racconto è stato il caso. Il caso, sì, perché per caso la pediatra che per prima ha diagnosticato la neurofibromatosi alla sua bambina faceva parte di un’equipe medica di malattie rare. Ed è proprio perché altre famiglie non si debbano affidare al caso per poter avere una diagnosi precoce che da due anni Rebecca ha deciso di cominciare a raccontarsi sui social, divenendo un punto di riferimento anche per altre persone che condividono storie simili.
“È una malattia che solitamente esplode con la pubertà, molte famiglie la diagnosticano in quel periodo. La mia bambina fa riabilitazione da quando aveva 3 anni, di fatto entriamo ed usciamo dai centri riabilitativi”. E questo è sicuramente un bene dal punto di vista prettamente medico, perché la riabilitazione è un aspetto fondamentale nel tentativo di arginare gli effetti della patologia, sebbene dalla neurofibromatosi non si possa guarire, per lo meno per ora.
“Mia figlia non conduce una vita come gli altri bambini, entra ed esce dai centri riabilitativi, perché la malattia provoca tumori che colpiscono tra gli altri l’encefalo e i nervi, ma anche potenzialmente problemi cardiovascolari, disturbi comportamentali o deficit cognitivi”.
 Potenzialmente, perché la malattia non si manifesta sempre o dal principio - ci sono persone che possono conviverci per anni senza sapere della patologia - né si presenta in modo uguale in tutti: “Non puoi sapere se il tuo bambino ha una forma grave o lieve, non puoi sapere se un tumore è benigno o si può trasformare in maligno, vivi nell’incertezza. Quando entriamo in ospedale per i ricoveri non sappiamo mai con che diagnosi usciremo e anche quando lo sappiamo, magari è un mezzo sospiro di sollievo”. Mezzo, perché “va bene adesso ma non puoi mai sapere se tra un mese sarà lo stesso”, perché la malattia può mutare, aggravarsi, può provocare un tumore che magari non si riesce a prendere in tempo. Di fatto l’imponderabilità è parte integrante del decorso di questa malattia, ma la chiave di volta attraverso cui Rebecca l’affronta è quella di fare un passo alla volta: “Ci sono tante famiglie che non riescono a dormire la notte. Noi viviamo tranquillamente: non cerco di fare più cose possibili pensando che un giorno Elisa non ci sarà più. Anch’io ho paura, certo, però credo che l’approccio faccia tantissimo. Se ci si prospetta in una quotidianità serena i bambini ci emulano”.
Un approccio che Rebecca, con il suo account di oltre 45 mila followers, cerca di diffondere anche ad altre famiglie, oltre che sensibilizzare le persone raccontandosi, raccontando la sua quotidianità, e dando spazio ad un’associazione che tanto l’ha supportata in questi anni: “La neurofibromatosi è una malattia incurabile, però c’è una ricerca attiva e da anni sostengo l’associazione Linfa, che aiuta i pazienti anche sotto forma di supporto alle famiglie. Ci ha salvato”.

Non solo, la ricerca procede tant’è che è stato scoperto “un farmaco che per adesso è solo per i bambini e riduce la prolificazione di questi tumori, per il momento solo sperimentale. Ma questo ti fa capire che ci sono dei passi avanti e questa è la mia speranza, perché anche se Elisa è serena nonostante tutto, i ricoveri la tormentano e non voglio che questo tormento ci sia per tutta la vita”.
A.A.
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