Poretti (con i suoi ricordi in corsia) e Sansa inaugurano il 2° Lecco Film Fest. C'è tanta 'donna' ma anche tanta pandemia

All’insegna delle parole del Papa («Ciò che fa bello il mondo») è partita la seconda edizione del Lecco Film Fest, promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo - con il prevosto don Davide Milani quale animatore - e da Confindustria Lecco. Ed è ancora la donna – ciò che, appunto, fa bello il mondo - al centro dell’attenzione dell’iniziativa che terrà banco in città in questo fine settimana suddividendosi tra diverse sedi.

In piazza XX Settembre, all’ombra del Palazzo delle Paure, l’inaugurazione che, dopo il momento ufficiale,  ha visto protagonisti prima Giacomo Poretti e poi Maya Sansa, intervistati rispettivamente da Donatella Negri (giornalista Rai) e da Valerio Sammarco (critico della rivista “Il cinematografo”).
Poretti è conosciuto al grande pubblico per la stagione legata al trio comico “Aldo, Giovanni e Giacomo”, ma è attore a tutto tondo, per quanto non abbia rinunciato a offrire al pubblico lecchese gag e battute, ricordando i suoi passaggi lariani quando, bambino, andava con la famiglia da Legnano a Bellano a trovare una zia suora: «Ci si fermava sempre in questa piazza per il cappuccino e la brioche. E per me bambino, quello sì faceva bello il mondo».

Anche se, perché davvero ci si impegni, «servirebbe un po’ di ragionamento. In questo periodo ragioniamo troppo di pancia, ma affidarci solo alla pancia, all’istinto, ci fa sbagliare». Il periodo di pandemia, del resto, ha convinto Poretti a rivedere un monologo teatrale che aveva scritto ricordando i suoi undici anni di lavoro all’interno di un ospedale: entrato come ausiliario nel 1974, ne è uscito come caposala nel 1985, proprio per dedicarsi alla recitazione. Ma quegli undici anni sono stati fondamentali – ha detto – per l’incontro con le persone, i sentimenti, le debolezze degli ammalati, seguendo i consigli di suor Aurelia: «Devi curare tutti i malati come fossero tuoi migliori amici, ma non devi affezionarti a loro come fossero i tuoi migliori amici, altrimenti soffri tutti giorni». Occorre dunque avere cura e attenzione per i malati «che ti chiedono qualcosa in più» di un semplice accudimento, ma nello stesso tempo riuscire a mantenere un distacco che non deve diventare cinismo. Proprio di questo parla il suo monologo “Chiedimi se sono di turno” che sta diventando anche un libro e che è stato l’appendice teatrale che ha caratterizzato la serata inaugurale del Lecco Film Fest.

L’attrice Maya Sansa ha invece parlato soprattutto dei film interpretati, del suo lavoro di attrice, della scuola a Londra, dell’incontro con il regista Marco Bellocchio. L’intervista in piazza è cominciata dai due film che saranno presentati nel prossimo festival di Venezia, curiosamente “collegati”: uno, “Il paradiso del pavone” della regista italiana Laura Bispuri si svolge in una sola giornata e racconta di un pranzo di famiglia; «in cui succedono delle cose» l’altro, “Ma nuit” della belga Atoinette Boulat si svolge invece in una notte ed è la notte di due adolescenti e di una serie di incontri. Ma si è parlato anche delle donne dell’ombra, delle combattenti curde contro Daesh «che hanno lottato prima perché donne o soprattutto perché donne», film della francese Carolyn Forest che ha visto Maya Sansa vestire i panni proprio di una combattente curda. E poi tanto Bellocchio con una serie di aneddotti (il primo casting della carriera rimandato perché non aveva i soldi per pagarsi l’aereo da Londra, col rischio di perdere la parte) e di lezioni («Ci dice sempre: “Per favore, sbagliate”. Perché nell’attimo dell’errore e dello smarrimento può uscire quel momento di verità che è una sorpresa per il regista»). Si è parlato naturalmente anche di pandemia, dei problemi per il mondo dello spettacolo in generale e di quello del cinema in particolare «che aveva un grande desiderio di riprendere a lavorare e infatti da maggio sono stati girati non pochi film».
Infine, a parte una scarna citazione, la cornice organizzativa del festival ha sconsigliato l’argomento delicato del film “La bella addormentata” sempre di Bellocchio. Racconta, come si ricorderà, la vicenda di Eluana Englaro, la ragazza lecchese rimasta in coma per anni, dopo un incidente stradale, e il cui padre Beppino ha condotto una strenua battaglia perché la figlia fosse staccata dalle macchine che la tenevano in vita, adempiendo così a un desiderio espresso dalla giovane. Un dramma che si è consumato a poche centinaia di metri dal palco del festival per concludersi poi a Udine.

Prima dell’incontro con i due attori, arrivati anch’essi in motoscafo e approdati sul lungolago per poi raggiungere piazza XX Settembre, si era svolta la cerimonia di apertura ufficiale con l’intervento del prevosto don Davide Milani, del presidente di Confindustria Lorenzo Riva, di quello della Camera di commercio Marco Galimberti, dell’amministratore delegato di Egea-Energie (sponsor principale della manifestazione) Pierpaolo Carini, del consigliere regionale Antonello Formenti, della vicesindaco Simona Piazza e della giornalista Tiziana Ferrario, un punto di riferimento per la manifestazione lecchese.
 Al centro degli interventi, la questione femminile per la quale il nostro Paese deve fare  ancora molta strada. «Ognuno deve fare la propria parte– ha detto Ferrario – e non voltare la testa dall’altra parte. Nei casi di molestie, ma non solo. Ognuno si metta una mano sulla coscienza: anche gli imprenditori che pagano le donne meno degli uomini».

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La donna ancora in primo piano, dunque, così come nella prima edizione. Ma l’evolversi della pandemia ha portato alla ribalta anche altri temi – le parole di don Milani – come quello della cura per le persone e quello delle giovani generazioni, temi per i quali il festival spera di lasciare qualcosa per il futuro».
Gli ospiti sono inoltre stati invitati ad apporre su un tabellone una frase o una parola relative al tema del festival. Il tabellone sarà poi donato a una scuola.
D.C.
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