SCAFFALE LECCHESE/53: viaggio letterario lungo le reti ferroviarie del territorio

Non c’è dubbio che in certe piccole stazioni ferroviarie, oggi, un che di malinconico ti pervade. Ormai, si tratta di edifici abbandonati, di ambienti quasi surreali. Tanto da stentare a credere che lì, davvero, un qualsiasi treno possa ancora fermare. “Impresidiati” è il termine burocratico e un po’ ipocrita. A modo loro, sono testimonianza del tempo che passa, di un mondo che è cambiato. Ce ne si fa, naturalmente, una ragione. Con qualche rimpianto.



In origine fu la Bergamo-Calolzio-Lecco, aperta nel 1863. Un collegamento non casuale: si trattava del raccordo con la Milano-Venezia che prese forma ancora sotto il governo austriaco e avrebbe dovuto essere l’ossatura del Lombardo-Veneto, ancorato così a Vienna anche per ferrovia.



Prima della Milano-Venezia, però, nel 1840, era stata inaugurata la Milano-Monza (la seconda ferrovia costruita nella Penisola) che nel 1873 sarebbe stata prolungata fino a Lecco. Vennero poi aperti nel 1888 la Lecco-Como, nel 1892 il collegamento tra Lecco e Bellano, nel 1894 il successivo tra Bellano e Colico, infine nel 1911 la Monza-Molteno. Non si fece niente, invece, di una pur ipotizzata ferrovia della Valsassina.



In questo breve e arido elenco di date si racchiude lo sviluppo delle ferrovie lecchesi che sarebbero poi rimaste inalterate per l’intero Novecento e che, a tutti gli effetti, sono quelle ancora in essere ai giorni nostri.
L’intera rete venne dunque definita nei primissimi anni dell’Unità d’Italia. Gli albori della ferrovia vedono all’opera società private: sarà agli inizi del Novecento che nasceranno le “Ferrovie dello Stato” e le linee diventeranno pubbliche.



A raccontarcene la formazione è un libro edito nel 2010 da Cattaneo Editore ma per iniziativa dell’amministrazione comunale di Olgiate Molgora: “La ferrovia Milano-Lecco, nella gran linea delle Alpi”. Scritto da Lorenzo Brusetti e Massimo Cogliati, autori di diversi studi sulla storia olgiatese, è un volume pubblicato all’indomani dell’ammodernamento della linea ferroviaria con il raddoppio dei binari, avvenuto tra la fine nel Novecento e i primi anni del Duemila: un capitolo del libro è infatti dedicato ai lavori che hanno coinvolto direttamente Olgiate. Oltre alla stretta attualità, però, il lavoro di Brusetti e Cogliati ci fornisce una storia esauriente delle ferrovie in terra lecchese.



Se la prima linea lombarda fu la Milano-Monza del 1839, «la storia delle ferrovie in Lombardia nasce con le linea ferdinandea, che avrebbe collegato Milano con Venezia». Il primo progetto risale al 1835 e fu oggetto di gran dibattito: da una parte i sostenitori della “linea delle campagne” che «avrebbe attraversato la Pianura Padana in modo diretto, senza toccare alcuna città e da essa sarebbero dipartite delle linee secondarie per Vicenza, Verona, Mantova e Brescia»; dall’altra i propugnatori della “linea delle città” che puntava appunto a toccare i grandi centri urbani lombardi e veneti. Come è ancora evidente, fu la seconda ipotesi a spuntarla: il primo tratto venne inaugurato nel 1842, l’ultimo nel 1857. Dopo di che si cominciò a pensare alla linea tra Bergamo e Lecco, «strategica in funziona del traforo alpino la cui ubicazione non era stata ancora definita».



Fu, quello, un altro di quei tornanti della Storia in cui viene deciso il destino di una comunità. Gli investitori privati che operavano nelle ferrovie «rilanciarono i progetti per i trafori alpini. I governi furono i protagonisti del dibattito per stabilire dove scavare il traforo che avrebbe attraversato le Alpi: tra questi l’Austria, la Svizzera, il Regno Sardo prima e il Regno d’Italia poi.



In un primo momento la Svizzera puntò sul passo del Lucomagno. L’idea era così promettente che fin dal 1853 il Governo federale stanziò dei fondi per la costruzione.» Nel 1855 spuntarono anche le ipotesi del San Gottardo e soprattutto dello Spluga: in questo caso, significava che da Lecco sarebbe passata la linea ferroviaria di collegamento tra Nord Europa e Mediterraneo (e il mondo: di lì a poco si sarebbe cominciato a scavare il Canale di Suez, aperto poi nel 1869). Fu proprio in quella prospettiva che tra il 1857 e il 1857 venne ideata la linea Monza-Lecco «come via internazionale per collegare Milano a Coira e Monaco.»



Nella scelta pesarono ragioni economiche, politiche e militari: «L’opzione Spluga era supportata anche da ingegneri e intellettuali come Carlo Cattaneo. (…) Un altro ingegnere favorevole fu Angelo Ponzetti» secondo il quale «la ferrovia dello Spluga avrebbe unito i porti lacustri del Lario. Inoltre, si trattava della via alpina più breve, pur congiungendo un gran numero di città di pianura e di valli locali. Il suo tunnel era più facile da scavare essendo corto e dotato di ottime strade postali di appoggio. (…) Anche l’ingegnere Ernesto Bianchi era favorevole allo Spluga, raggiungibile con una linea ferroviaria via Bergamo-Lecco-Colico. Purtroppo, secondo diversi autori, per raggiungere lo Spluga sarebbe stato necessario percorrere il territorio lariano che è caratterizzato, soprattutto verso Lecco, da montagne elevate che scendono a picco nel lago. Per ovviare a questo problema, che a quei tempi era di difficilissima soluzione, fu proposto di istituire un trasporto lacustre da Como a Chiavenna per mezzo di navigli con a bordo i vagoni ferroviari. Ernesto Bianchi invece propose una linea ferroviaria Lecco- Colico (progetto gennaio 1861) che avrebbe previsto tre sole stazioni (Mandello, Fiumelatte-Varenna, Bellano) e che avrebbe costituito una sorta di linea economica veloce in grado in poche ore di far giungere le merci svizzere a Milano». Alla fine, però, la Svizzera propese per il San Gottardo: i lavori iniziarono nel 1872 e finirono nel 1882.



Addio Spluga, dunque. Se ne sarebbe tornati a parlare oltre un secolo dopo. Fu infatti negli anni Ottanta del Novecento che tornò in auge l’idea del traforo ferroviario. Nacque un comitato promotore, l’italiana Regione Lombardia e lo svizzero Cantone dei Grigioni sostenevano il progetto: si tennero convegni, si strinsero patti d’amicizia transfrontalieri, venne addirittura collocata una simbolica prima pietra al Passo dello Spluga con tanto di una cerimonia ufficiale, bandiere e fanfara. Ma fu febbre passeggera. Nel giro di poco il progetto tornò nell’oblio: di quel fervore rimane un corposo volume edito dal Comitato: “Lo Spluga, un passo per l’Europa” (il colophon manca della data di pubblicazione, ma il catalogo della biblioteca Pozzoli ipotizza un 1989).



L’accantonamento del traforo dello Spluga non fermò comunque la costruzione delle prospettate linee ferroviarie. Se tra Lecco e la Brianza soddisfece soprattutto i bisogni dell’industria e quindi sul trasporto delle merci (si realizzarono grandi scali, nel 1906 quello di Lecco, e diramazioni verso le grosse fabbriche), tra Lecco e Colico (e quindi verso Chiavenna e Sondrio) rispose invece alle esigenze del turismo nascente.



Ne scriveva Antonello Negri nel volume “Archeologia industriale” pubblicato nel 1983 dal Touring club italiano: «Colpisce, in queste piccole stazioni la cura dei dettagli, nell’ambito di un design complessivo che con estrema pulizia propone una sorta di industrializzazione dei consueti modelli rinascimentali senza rinunciare al tocco dell’“arte”: ce lo ricordano, in primo luogo, le cornici intagliate di terracotta attorno a tutte le porte e finestre e a coronamento delle lesene di spigolo nei modelli più grandi.



Le stesse cornici intagliate decorano i chioschi isolati delle latrine. La particolare ricercatezza formale di questa linea è probabilmente da connettere al fatto che gran parte della sua utenza, soprattutto in alcuni mesi dell’anno, è stata fin dall’origine costituita da “touristi” provenienti anche dall’estero: un fatto che imponeva un servizio di alta qualità, caratterizzato oltre che dall’impiego, accanto agli omnibus, di veloci treni diretti – la linea cominciò a funzionare con trazione elettrica fin dal 1899 – dall’uso di “materiali di lusso”».



I treni servivano località di villeggiatura di particolare rilevanza: le terme di Tartavalle che si raggiungevano da Bellano (non è un caso, dunque, il nome della stazione: appunto Bellano-Tartavalle Terme) ma anche il Grand Hotel Regoledo aperto nel 1852 e che disponeva di una propria apposita fermata lungo la linea collegata con un’ardita funicolare. L’albergo oggi è diventato una struttura sanitaria, la funicolare smantellata e la piccola stazione è un rudere. A passeggiare per i viottoli della piccola frazione di Perledo non ti immagini che quassù salisse il gran mondo: Arturo Toscanini, Gabriele D’Annunzio, re Umberto II. A ricordare quell’epoca c’è un fascicolo scritto a più mani e pubblicato nel 2014 dal Centro socio-ricreativo per anziani: “La funicolare di Regoledo. Un gioiello di ingegneria sulle rive del Lario”.



La linea Lecco-Sondrio, tra l’altro sarebbe addirittura «la prima linea elettrificata al mondo» stando al libro “Carbone bianco” della varennese Associazione Scanagatta pubblicato nel 2008 a cura di Livio De Gianbattista, Gianpaolo Brembilla e Roberto Brembilla: titolo, “Carbone bianco”, «ispirato alla pittoresca espressione coniata da un cronista dell’epoca. Ai tempi in cui la linea ferroviaria Lecco-Sondrio diventò la prima al mondo a trazione elettrica, si osservò come fosse in atto una straordinaria rivoluzione tecnologica, grazie alla quale il carbone nero – che fino ad allora aveva generato il vapore da cui erano mosse le locomotive – incominciava a essere sostituito dal “carbone bianco”: l’acqua, che facendo girare le turbine produceva elettricità per azionare le nuove motrici».



Anche Brusetti e Cogliati ritengono che la Lecco-Sondrio possa essere considerata la prima linea elettrificata al mondo, considerati i fallimenti di alcuni esperimenti precedenti in altre parti d’Europa. O del mondo, come certifica “Carbone bianco” che ricorda le iniziative del 1890 a Londra, del 1895 a Baltimora negli Usa, ma si tratta di metropolitane. Poi, la Svizzera, la Milano-Monza sulla quale non si può però svolgere un servizio regolare per il ripetersi di guasti….
E’ nel 1901 – leggiamo ancora nel libro varennese - che «che si dà inizio ai lavori di elettrificazione delle linee valtellinesi Lecco-Sondrio e Colico-Chiavenna, con un sistema innovativo (…) La centrale idroelettrica viene realizzata a Morbegno (…) Il 26 luglio 1901 iniziano le prove per la messa a punto del sistema, con l’intenzione di procedere alla sua messa in esercizio ufficiale il successivo 28 ottobre 1901. Purtroppo, pochi giorni prima dell’inaugurazione uno dei treni di prova strappa varie centinaia di metri di fili aerei nella galleria di Bellano. (…) La risistemazione degli impianti si annuncia molto lunga e onerosa: l’effettiva inaugurazione può aver luogo solo il 4 settembre 1902 per i tratti Colico-Sondrio e Colico-Chiavenna e il successivo 15 ottobre per il rimanente tratto Colico-Lecco».



“Carbone bianco” è un volume soprattutto illustrato: i disegni del progetto e circa duecento fotografie e cartoline d’epoca, con un occhio di riguardo per gli appassionati di treni e trenini. Ed è una carrellata quasi nostalgica, proprio per la tante testimonianze che in questi ultimi decenni sono andate perdendosi. Ed è un peccato che, anche in questo caso come per tante altri “monumenti” dell’archeologia industriale, non si sia pensato di preservare almeno una di quelle vecchie stazioni facendone una sorta di museo.

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Dario Cercek
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