In viaggio a tempo indeterminato/177: Città del Messico

Apro gli occhi e per i primi secondi cerco di capire dove sono.
Mi capita praticamente ad ogni risveglio da quando viviamo in macchina.
E’ sempre una scoperta nuova perché difficilmente mi ricordo dove avevamo parcheggiato la sera prima.
Stamattina, però, mi sono serviti meno istanti del solito.
Un forte odore di salsedine e il rumore delle onde mi hanno subito ricordato che eravamo su una spiaggia, a pochi passi dal mare.
Paolo, accanto a me, stava stranamente dormendo ancora. In genere è lui che mi sveglia pieno di un’energia che io neanche dopo un litro di caffè posso immaginarmi di avere.
Guardo per un po’ il mare e il sole tiepido che sta sbucando dal finestrino destro della macchina.
Poi prendo il telefono, tolgo la modalità aereo.
Iniziano ad arrivare una serie di messaggi: “Tutto ok?” “Come state?” “State bene?”
Non capisco.
Apro Instagram e anche lì ci sono vari messaggi sempre con la stessa domanda.
Sveglio Paolo. “Pa’ deve essere successo qualcosa qui in Messico.”
“Cosa? Chi? Dove?” mi risponde lui ancora assonnato.
Apro le news e scopro il motivo di quei messaggi.
“Stiamo bene, non siamo a Città del Messico.” Rispondo subito a tutti.
E poi mi metto a leggere.
Martedì alle 22:30 un ponte della metropolitana di Città del Messico è crollato, causando 23 morti e molti feriti.
L’immagine dell’articolo è davvero esplicativa. La guardo per qualche minuto e mi trasportato lì, in quella città.



Siamo passati lì vicino proprio qualche giorno fa e dovevamo decidere se visitarla di nuovo o saltarla e proseguire verso sud.
Ci eravamo informati su dove parcheggiare per la notte e leggendo online, molti utenti mettevano in guardia sulla difficoltà a circolare in città con una targa straniera.
A Città del Messico o CDMX per usare un acronimo come piace fare ai messicani, le targhe estere non possono circolare dal lunedì al venerdì dalle 5 alle 11 e mai il sabato.
Insomma, sarebbe stato complicato per noi.
Così, a malincuore, abbiamo deciso di saltare la capitale e dirigerci verso le montagne prima di arrivare a sud.
Città del Messico è una delle città più belle che abbiamo mai visto nel nostro viaggio.
Ha un fascino davvero unico.
La Ciudad si muove al ritmo frenetico e vivace della musica latina che si balla per le strade.
Immense piazze fanno da contrasto a strade strette e trafficate.
Il frastuono dei mercati, il profumo di carne cotta alla piastra, i venditori che urlano per attirare l’attenzione.
Città del Messico l’abbiamo conosciuta così, con le sue contraddizioni e le sue meraviglie.
E ce ne siamo innamorati, come spesso ci è successo con i luoghi che non mettono filtri e che si mostrano per quello che sono.
“Macchè New York o Parigi, quando voglio respirare cultura vera e rinnovare le energie intellettive, vado a Città del Messico” diceva Pino Cacucci.
E non potremmo essere più d’accordo.
E’ una città che non ti lascia indifferente e che ti invoglia ad esplorarla e scoprirla.
Pochi sanno che è il secondo agglomerato urbano più grande del mondo, nonché l’ottava città in termini di ricchezza.



E’ il centro economico e il cuore del Paese e vedere l’immagine di quel ponte crollato è stato come trovarsi davanti a una ferita aperta.
Ricordo perfettamente quando lo scorso anno avevamo preso la metro.
Era sera tardi ed eravamo arrivati in città accompagnati da due ragazzi con il servizio di carsharing che, in quella zona del Paese, era più economico degli autobus.
Le volte in cui abbiamo preso la metro negli ultimi anni in viaggio, le posso contare davvero sulle dita di una mano.
Quella a Città del Messico me la ricordo perfettamente.
Sarà perché l’idea di prendere la metro, la sera, in una città che ha la nomea di non essere proprio sicurissima, mi aveva preoccupato.
Sarà perché il nome della stazione di partenza era “Camarones” (gamberetti) e subito io e Paolo ci eravamo messi a ridere pensando che fosse un nome assurdo in una città che si trova a centinaia di km dal mare.
Ma la realtà è che quel viaggio in metro me lo ricordo così bene per le persone che c’erano a bordo di quel treno.
Erano tutte stranamente colorate, sorridenti e allegre.
Nonostante stessero tornando dal lavoro, fosse sera, si dovesse stare in piedi.
In quell’istante avevo ripensato a quando, a Milano, prendevo la metro per raggiungere l’ufficio, oppure quando a Tokyo ci eravamo imbattuti nei pendolari.
In nessuno dei due casi la gente era così colorata e mi trasmetteva quell’immotivata serenità che provavo durante quel viaggio.
E ogni volta che cambiavamo treno, la sensazione era la stessa.
La percepivo nelle chiacchiere vivaci di due signori seduti uno accanto all’altro.
Nel sorriso benevolo della signora che ci guardava muoverci goffi con gli zaini sulle spalle.
Nelle ragazze che parlavano e scherzavano tra loro, come se l’assordante rumore del treno non potesse disturbarle.
Svegliarmi con quella foto, questa mattina, mi ha riportato in un istante a quel viaggio in metro.
E mi sono arrabbiata perché certe cose non dovrebbero mai succedere.
E mi sono intristita perché davanti a una tragedia non ci sono parole che possano servire.
E mi sono innervosita perché il Messico è un Paese meraviglioso con delle ombre che spaventano.
E alla fine ho guardato il mare e mi sono resa conto che questa è ormai la nostra seconda casa.
Angela e Paolo
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