In viaggio a tempo indeterminato/174: le rivelazioni del selvaggio west

“Il domani spera che noi si abbia imparato qualcosa dallo ieri.”
Frase di per sé molto bella.
Ma che meriterebbe un’ambientazione particolare.
Un deserto, ma non uno qualunque, uno di quelli con la sabbia che il vento solleva creando dei tornado.
Sullo sfondo le pareti rocciose di una montagna completamente spoglia.
E il cielo di un azzurro intenso che sembra siano passati anni dall’ultima volta che una nuvola l’ha velato.
E poi il silenzio, un silenzio quasi assordante, come se tutto fosse immobile, cristallizzato nel tempo.
Ad un tratto il rumore degli zoccoli di un cavallo.
Un cavaliere errante appare all’orizzonte. Una pistola sul fianco, un cappello in testa.
Un balzo per scendere dal suo destriero, con le mani sul fianco si avvicina fiero alla porta del saloon.
Le porte cigolano, il vociare degli altri clienti si interrompe quando lo vedono entrare.
Pochi gesti, un piatto di fagioli sul tavolo.
L’attenzione di tutti è su questo forestiero arrivato da lontano a interrompere la calma del paesino in mezzo al deserto.
Alza lo sguardo da quel piatto fumante “Il domani spera che noi si abbia imparato qualcosa dallo ieri” recita con voce tonante.
Sguardi di intesa, i boccali di birra alzati, le risate che fanno cadere la tensione.



Ok, forse mi sono immedesimata un po’ troppo nella parte.
Ma stare nel ranch di John Wayne, l’autore della frase all’inizio, mi ha fatto un certo effetto.
Non che io sia mai stata una grande ammiratrice dei film western, anzi.
Ogni volta che mio papà ne guardava uno in TV, non riuscivo ad appassionarmi.
Il solito cavaliere errante che vaga di città in città, pronto a fare duelli con la pistola per salvare la donzella o per combattere contro i nemici, in genere gli indios del posto.
Le uniche cose che mi sono sempre piaciute dei film western sono i paesaggi e quegli edifici di legno scricchiolanti.
Il saloon, la bottega che vende riso e patate, la chiesetta che è anche scuola, il maniscalco, la clinica del dottore…
Sì, lo ammetto, sono cresciuta guardando “La Signora del West” e le sue avventure tra rimedi naturali indiani e uomini dal fucile facile.
Ah, se solo avessi avuto una gonna lunga e vaporosa quando camminavo tra le scenografie di quei film.

VIDEO


A parte gli scherzi, ci siamo divertiti molto io e Paolo a fingerci attori di film western su questi vecchi set cinematografici a nord della città di Durango.
Ma il personaggio migliore era sicuramente il signore che si occupava dei cavalli.
Baffo bianco, sombrero, cinturone e stivali da cowboy (o da Ligabue, come li chiama Paolo).
Sembrava davvero uscito dal selvaggio west, se non fosse stato per la sua gentilezza e per il fatto che non aveva nessuna pistola a portata di mano.
Insomma, come si sarà capito, ci siamo infilati in un’altra delle nostre folli avventure.
Perché mai e poi mai ci saremmo aspettati di finire ad accamparci in un posto simile e di svegliarci guardando lo stesso scenario del mitico John Wayne.



Un’avventura che mi ha insegnato molto e mi ha aperto gli occhi su una grandissima verità che mai e poi mai avevo considerato.
La canzone degli 883 “Nord Sud Ovest Est” è ambientata in Messico!!
Lo so, è una verità scioccante e a me sono serviti più di 20 anni, aver inserito la canzone nella playlist che ascoltavamo in viaggio e finire sul ranch di John Wayne, per rendermene conto!

Vedo una cantina che
Mi potrà toglier sete e polvere
Uh oh uh oh uh oh
Lancio qualche peso al cantinero
Che non parla mai
Accanto a me c'è un gringo, uno straniero
Mi chiede "Man, dove vai?
"”
Angela e Paolo
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