In viaggio a tempo indeterminato/172: tutto in una stretta di mano

Seri.
Fino a qualche giorno fa a questa parola associavo solo due cose completamente diverse tra loro.
Da un lato “facciamo i seri”, espressione che a me e Paolo non è mai calzata molto a pennello.
Dall’altro quella parola mi fa pensare a mia mamma che chiama mia sorella “Seriii” la mattina quando da bambine ci svegliavamo tardi.
Anzi, a dir la verità, la associo a Paolo che imita la voce di mia mamma che chiama mia sorella Serena. Insomma, una matriosca di ricordi.
Da qualche giorno a questa parte, però, la parola Seri si è colorata di un ulteriore significato.
I Seri, infatti, sono una tribù indigena che vive nello Stato messicano del Sonora.
Ma facciamo un passo indietro, non tanto lungo da farmi tornare ai pranzi della domenica con Paolo che imita mia mamma, ma che mi riporta a qualche giorno fa.
Eravamo in Baja California, tranquilli e beati, tra cactus, balene e spiagge.
“E’ ora di continuare verso Sud. Abbiamo solo tre mesi di visto rimasti e se vogliamo arrivare in Guatemala dobbiamo muoverci.” mi dice Paolo rompendo l’idillio.
In quel momento, con la cartina in mano del Messico, ci siamo messi a studiare l’itinerario migliore per capire dove andare e soprattutto cosa visitare.
Il nord di questo enorme Paese non gode di una bella fama.
Leggendo le news, scontri armati tra narcotrafficanti e polizia sembrano essere all’ordine del giorno.
“E noi dovremmo passare di lì? E magari dormire anche in macchina?” dico a Paolo preoccupata.
“Cerchiamo di studiare il meglio possibile l’itinerario, viaggiamo solo di giorno e ci fermiamo nei centri abitati. Non ci succederà nulla, vedrai! I cartelli messicani non sono interessati a due turisti.” mi dice lui con la sua solita aria tranquilla.

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Ci mettiamo a cercare il percorso migliore per dirigerci verso sud e spulciando il web, mi imbatto in  un nome familiare “Seri”.
Mi perdo a leggere e scopro che i Seri sono un’antica tribù indigena che oggi conta circa mille persone che vivono tutte nella zona di Punta Chueca.
Guardo sulla mappa.
“Pa’, dobbiamo assolutamente passare da Punta Chueca nello Stato di Sonora. Sembra un posto pazzesco.” Gli dico emozionata, senza più pensare al discorso sui narcos che avevamo appena fatto.
“Ma Sonora come il gruppo musicale anni ‘90?!? Andiamoci.” Mi risponde lui.
“Quello si scriveva con l’h! Però proprio lì abita una tribù tostissima. Pensa che sono tra i pochi indios a essere riusciti a non farsi evangelizzare dai colonizzatori spagnoli.
Hanno mantenuto le loro tradizioni e cercano di conservarle nonostante il tempo.”
“Bellissimo! Hai scovato un’altra delle solite stranezze di cui andiamo alla ricerca sempre! Brava Anghela!”
E così eccoci qualche giorno dopo, alla scoperta di come vive oggi questa tribù.



Appena arriviamo al villaggio, a colpirci è la vicinanza con l’Isola Tiburon.
E’ l’isola più grande del Messico e a dividerla dalla terra ferma c’è solo uno stretto canale chiamato “El Infernillo” per quanto è complicato da attraversare.
Un tempo i Seri vivevano su quell’isola. Erano nomadi, cacciatori e pescatori.
Vivevano a strettissimo contatto con la natura, seguendone il ritmo e curandosi solo con erbe e rimedi naturali.
Poi l’isola è diventata un parco nazionale e i Seri sono stati costretti a spostarsi di fronte, sulla terra ferma.
“Vado a fare qualche video alla spiaggia” mi dice Paolo.
Io resto vicino alla macchina a godermi un po’ del silenzio e della calma di quel piccolo villaggio.
Poco dopo mi si avvicina una signora.
E’ piccola e minuta.
Mi squadra un po’ e poi mi si avvicina per parlarmi.
“Da dove vieni?”
“Italia” rispondo.
“Ah è molto lontano! Io abito nella casa laggiù” mi dice indicando una casa di mattoni con il tetto di lamiera.
“Mio padre si chiama Toro Canelo. E’ un artista e canta canzoni tradizionali.”
“E’ della tribù Seri?” Le chiedo curiosa.
“Sì, noi siamo Comcaac.”
E’ vero, penso tra me e me. Seri è il nome con cui li hanno chiamati i conquistadores spagnoli.
Il loro vero nome è Comcaac e tra di loro parlano un dialetto complicatissimo fatto di suoni strani.
E a proposito di nomi “Come si chiama?” le chiedo.
“Luisa!” mi risponde lei.
Luisa come mia zia, penso immediatamente.
La prima persona della tribù che si chiama come mia sorella, ha il nome di mia zia. Se non è un segno questo!
Le stringo la piccola mano e quel momento si riempie della gioia e dell’emozione di quell’incontro.

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Quando eravamo in Asia e incontravamo persone del posto la lingua diversa diventava spesso un grosso limite.
Ora che siamo in questa parte di mondo, il nostro spagnolo traballante ci sta permettendo di comunicare con realtà lontanissime da noi.
E ogni incontro diventa ancora più emozionante e più intenso.
Due mondi che in quell’istante si incontrano e si scoprono più simili di quanto sembrasse.

Una poesia Comcaac recita:

Ziix quih hanxö yeen iicp hac iic moca, quih spaho xah, isquiisax xah, sahíi xah, ziix quih speque xah, isoj isahpxazl xah, sahzíp xah, catxo ha.
Ziix spaii ca quih tatxo ma, iquiisax com isax quihiih ca cöquisil iha.
Mihiisax com hacx inscmahoitot aha.

C'è così tanto da venire, da vedere, da vivere, da sentire.
C'è così tanto amore da dare, da condividere, da abbracciare, da baciare.
Ci sono così tanti sogni da realizzare, sognare, creare.
C'è così tanto di male. Ma così tanto, molto di più di bene.
E la vita è così breve.
Che non dovrebbe essere sprecata.

- Alfonso Romero -
Angela e Paolo
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