SCAFFALE LECCHESE/40: ''Il Bel Paese'' dell'abate Stoppani, un successo...confinato

Un successo immediato e una fortuna durata decenni: diciamo tre quarti di secolo. Poi, pluf: non proprio scomparso perché periodicamente viene ristampato e chi ne volesse acquistar copia non faticherebbe. Scomparso no: meglio, confinato. Nelle biblioteche di studiosi e studenti: un pubblico di nicchia, ormai, per un libro che fu popolarissimo. Best-seller e pure long-seller, per adeguarci al gergo corrente.

La prima edizione del 1876 e il monumento a Stoppani del 1935

Edizione 1883


E' "Il Bel Paese", pubblicato nel 1876 dall'abate Antonio Stoppani, lecchese di piazza XX Settembre. Gloria della città, se la città avesse ancora la capacità di ricordarsi dei propri figli illustri senza correr dietro soltanto a fole manzoniane.
Della figura di Stoppani - religioso ma soprattutto scienziato, pioniere della geologia lombarda - ci sarà modo di parlare diffusamente. Qui, basti dire che nacque appunto a Lecco nel 1824 e morì a Milano nel 1891 ma volle comunque essere sepolto nel luogo natìo al quale rimase sempre legato. Per quanto da giovane, tal luogo, che città ancora non era, gli desse del matto per via di quell'andar sui monti a raccattar sassi. Destinati a essere, quei sassi, le prime tessere del complessivo mosaico della geologia lombarda non ancora esplorata seriamente.

L'abate Antonio Stoppani

Fu scienziato di spicco, quindi, con riconoscimenti internazionali. Fu docente e diresse il museo di storia naturale di Milano. Non disdegnò l'impegno politico ritrovandosi sulle barricate delle Cinque giornate: anno 1848, lo stesso in cui venne consacrato sacerdote. L'adesione alla lotta risorgimentale lo pose in acceso contrasto con i cattolici intransigenti. Tra costoro, don Davide Albertario, penna affilata e direttore del milanese "Osservatore cattolico", acerrimo avversario dello Stoppani. Il quale, stancatosi di collezionare insulti, nel febbraio 1887 presentò querela, vincendo la causa dopo regolare processo. Ciò perché non ci si dimentichi del clima politico e culturale dell'epoca: da una parte le questioni terrene della nuova Italia e dello Stato pontificio e dall'altra i dibattiti sui conflitti tra dogma e scienza con il lecchese a figurare nelle schiere degli gli illuminati, dei modernisti, dei conciliaristi.

Stoppani commenta il Bel Paese

Antonio Stoppani, però, era anche un grande divulgatore: voleva che la scienza non fosse solo materia per addetti ai lavori, ma spiegata in parole semplici anche ai profani. Non si trattava di un vacuo pontificare - altro che il «fanfarone Stoppani» come da apostrofe di Carlo Pisani Dossi - prendendosi egli stesso la briga di girar la Lombardia a tener conferenze. Non mancando certe perfide ironie su serate scientifiche affollate da interessatissimi pubblici femminili.
"Il Bel Paese" è appunto libro di divulgazione scientifica. Nella seconda parte dell'Ottocento - con l'Italia quasi fatta e gli italiani tutti da farsi - c'era un gran fermento sul fronte dalla formazione di una cultura popolare, di una coscienza unitaria., di una lingua comune, L'opera dello Stoppani rientra appunto in questo gran movimento culturale, invero senza un gran futuro, vista la considerazione italiana nei confronti della divulgazione guardata con occhio sospetto da accademici usi soprattutto a far combriccola tra loro.
Scritto inizialmente per un concorso dedicato ai "libri di lettura per il popolo", "Il Bel Paese" venne una prima volta snobbato dai giurati e una seconda volta premiato a metà, ma quando Stoppani lo dette finalmente alle stampe - anno 1876, Libreria Editrice Giacomo Agnelli di Milano - ne scaturì un subitaneo successo destinato a lunga durata.
Non sarà mica un caso che nel 1906, passati già trent'anni dalla prima edizione e con l'autore sepolto da quindici, l'industriale caseario Egidio Galbani decise di chiamare "Bel Paese" un nuovo formaggio da lanciare sul mercato; tanto per essere chiaro, oltre all'Italia geografica, impresse sull'etichetta pure il bel faccione tondo del nostro abate.

Il Bel Paese Galbani

Nonostante sia stato a lungo una delle opere più lette d'Italia (addirittura la terza, dopo "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni e "Cuore" di Edmondo De Amicis), destino vorrà poi che gli italiani dimenticassero il libro e ricordassero il formaggio, per di più confondendo lo Stoppani con Cristoforo Colombo. Quel formaggio esiste ancora, ma l'effigie dello Stoppani è stata ormai cassata, venti e passa anni fa. Senza peraltro alcuna sanguinosa ferita agli orgogli da campanile delle nostre contrade. Di quella storica etichetta rimane solo la riproduzione del celebre artista Maurizio Cattelan che nel 1994 la trasformò in un tappeto (e ciascuno vi veda ciò che crede).
"Il bel paese" è concetto che risale anche a Dante («là dove il sì suona») ma soprattutto a Petrarca («Ch'Appennin parte, e'l mar circonda e l'Alpe») secondo l'ispirazione dello Stoppani che pose a esergo il verso del poeta aretino. Il bel Paese da far conoscere proprio nella sua bellezza naturale e nelle sue varietà di paesaggio. Spiegando i misteri di quella straordinaria bellezza e di quelle incredibili varietà.

Maurizio Cattelan, Il Bel Paese

L'autore scelse di articolare il suo racconto in una serie di serate in cui egli stesso, nei panni di uno zio, si intrattiene con famigliari e una schiera di nipotini tra i quali c'è anche una vispissima Maria che sarebbe niente meno che Maria Montessori, a sua volta nel pantheon della genialità italica per l'ideazione di un rivoluzionario metodo di insegnamento. Lo scienziato lecchese molto influì sulla formazione della giovanissima nipote (6 anni nell'anno di uscita del "Bel paese", 22 alla morte dello zio Antonio).
Nella prima edizione c'erano 29 serate, ma successivamente ne sono state aggiunte altre cinque (e contemplate, per esempio, nella versione della casa editrice lecchese "Guido Stefanoni" che nel 1991 ristampò anastaticamente l'edizione Agnelli del 1883). Ancora: sei tra lettere e aggiunte hanno ulteriormente arricchito la raccolta (queste sono contenute nella ponderosa edizione del 1974 stampata dal lecchese Ettore Bartolozzi e riedita nel 1983.

Edizione Bartolozzi e il fascicolo del 1977 dell'associazione Bovara

Nel 1977, inoltre, l'Associazione Bovara pubblicò un fascicoletto con la riproduzione anastatica delle pagine dedicate alla Lecco (serata 33: l'incendio del San Martino) e contenute nell'edizione 1908 dell'editore Cogliati di Milano «con note di eminenti scienziati italiani» tra i quali Mario Cermenati.
Nella sua introduzione, Antonio Stoppani si rivolge «agli istitutori», sapendo benissimo, a proposito di letteratura popolare, «che il mondo fisico non desterà mai quell'interesse che desta il mondo morale. Un libro che abbia per oggetto le cognizioni del mondo fisico non caverà una lagrima, non farà perdere un minuto di sonno. Tutti gl'incanti della natura non valgono un affetto: tutta la scienza non vale un atto generoso».

Il busto di Stoppani davanti al rifugio Rosalba in Grigna

Tuttavia, «senza obbligarsi ad una traccia regolare, come si farebbe in un trattato, l'autore, pigliando la veste di uno zio naturalista che racconta ai nipoti, percorre da un capo all'altro "il bel paese ch'Appennin parte. E' l mar circonda e l'Alpe" descrivendone le naturali bellezze; arrestandosi ai principali fenomeni di cui cerca di rendere intelligibili la natura e le cause. Non trascura intanto, dove gliene si presenta il destro, di additare le fonti primarie dell'industria nazionale, e di eccitare il sentimento del bello e del bene».
Infine, si concentra sul concetto di vero, anche in polemica con alcune pubblicazioni letterarie dell'epoca: scrittura semplice e accattivante d'accordo, ma l'autore «ha inteso scrivere un libro strettamente scientifico, vale a dire rigorosamente vero. Il verisimile ne è affatto escluso. (...) L'autore crede d'insistere su questo punto della fedeltà al vero, perché ne ha fatto il dogma fondamentale della sua professione di scrittore».
«Se queste pagine - la conclusione - avranno la fortuna, pur troppo rara, di uscire dalle mura delle scuole di città, per diffondersi nelle campagne, in seno alle Alpi, nelle montagne dell'Appennino, al piede del Vesuvio e dell'Erna, insegneranno agli abitanti di quelle contrade ad apprezzare un po' meglio sé stessi e le bellezze e i favori d'ogni genere, di cui la natura, ministra di Dio, non fu avara nella diverse provincie d'Italia».
L'agilità del libro sta anche nel fatto che ciascuna "serata" può essere letta indipendentemente dalle altre. E la lettura è un piacere per la scrittura piana: davvero, quanto avrebbe da insegnare il "nostro" a certi professori d'oggi, autori di tomi inavvicinabili.
«Era precisamente il giovedì dopo S. Martino dell'anno di grazia 1871, ed era anche la prima sera di convegno. Ve li trovai tutti, bambini, mamme, babbi, oltre un gruppo di conoscenti grandi e piccoli. Non vi dico, per modestia, la festa che mi hanno fatta, e specialmente il chiasso, lo squittire dei bambini, i quali pensarono tosto ch'io avrei loro raccontato, come faceva talora nell'anno precedente, una bella storiella». Così si legge nella prima serata, dopo un paio di pagine dedicate al ritorno dalla campagna alla citta: «L'Ognissanti - l'incipit -, il dì dei Morti, S. Carlo, S. Martino sono tutti sinonimi per que' cittadini, che hanno la buona sorte di rifarsi in campagna delle fatiche sostenute, o che dovevano sostenere in città. Tutti insieme quei nomi descrivono un certo breve periodo di tempo, oltre i quali i villeggianti vogliano o non vogliano, debbono aver lasciata la vita eccezionale per la normale, la poetica per la prosastica, la varia per l'uniforme, insomma la vita libera e lieta della campagna per la vita schiava ed uggiosa della città».

Casa Stoppani

Eccola, qui, la leggerezza del racconto di Antonio Stoppani. Un parlare anche per immagini e stati d'animo, senza astrusità o paroloni, e a volte un lieve divagare a interrompere un'eventuale monotonia.
In quella prima serata, il nostro "zio" parla del suo soggiorno nelle Alpi Carniche che «non si sentirebbero mai nominare dagli Italiani che non siano i loro stessi abitatori. Eppure vi so dire che sono il non plus ultra per chi sa apprezzare le alpine bellezze». E poi avanti: Agordo e le sue miniere. E avanti ancora: ogni giovedì una serata, ogni serata una tappa di questo viaggio nel "Bel paese": i laghi, il mare, le foreste, i fiumi, le sorgenti, le montagne, i ghiacciai, la flora, le caverne della Valle Imagna e la Cornabusa, l'alpinismo e gli alpinisti (non dimentichiamo che nel 1874 venne eletto primo presidente, carica più onorifica che operativa, della sezione lecchese del Cai); tanto su Vesuvio ed Etna (scrisse anche un libro apposito per spiegare i misteri dei i vulcani). E i marmi di Carrara e anche il petrolio che, conosciuto fin dall'antichità, «come prodotto naturale n'è pieno il mondo», il gas di Salsomaggiore...
Le pagine lecchesi: rinomate sono quelle dedicate all'incendio del San Martino, «un monte fantastico, vedete; tutto una rupe, nuda, aspra, angolosa, degna di campeggiare in un'epopea di giganti» con il "Profilo di Napoleone" ad affacciarsi nel lago e "l'occhio di Polifermo" a sorvegliare la città. La descrizione è minuziosa: «Non la finirei più, quando parlo de' miei monti. Quanto al San Martino, so di un celebre paesista solito dire ch'è la più bella montagna del mondo». Lo racconta, tutto ciò, la serata in cui rientra a Milano dopo averla disertata qualche giorno per evitarne le intemperanze carnevalesche con il rifugiarsi nella più tranquilla Lecco, ornai diventata davvero città, come abbiamo letto. Una serata in cui i nipoti lo accolgono "infuriati": il «signor zio» è in ritardo. Ma «per colpa del vapore» e cioè del treno (già allora, insomma....).
E quindi il racconto del vasto incendio scoppiato il 6 marzo1878: «Uscendo osservai la vetta del San Martino che pareva un vulcano in eruzione» e chissà che non venga da qui quella leggenda circolata per un po' e che le nuove generazioni sembrano avere dimenticato, secondo la quale il San Martino sarebbe un vulcano spento, a rincarare una sorta di maledizione per una parete che incute timore e che ogni tanto scarica sassi (come nel 1969 quando ci furono sette morti).
Quell'incendio divampò per tre giorni: «Aveva un'estensione di quattro o cinque chilometri almeno. Che sinistra impressione! Io lo stavo guardando in silenzio, e ne seguivo coll'occhio stupefatto i formidabili progressi. Il vento urlava forte; qua, là, questo, quel punto della montagna si vedeva ad un tratto accendersi e fiammeggiare. Sembrava che il fuoco procedesse a salti, a capitomboli, su, giù, come un forsennato. Si spegneva a destra, si riappiccicava a sinistra, moriva sulla sommità della rupe, rinasceva al piede. Ogni vetta era una fiaccola, e cordoni di fiamma delineavano, in mezzo alle tenebre, le valli e i piani inclinati, che l'incendio andava via via guadagnando. Come si vedeva il fuoco arrampicarsi ardito, rabbioso, sulle rupi più verticali. Si cominciava a temer qualcosa di grave».

Il sepolcro

Anche nelle ulteriori aggiunte, ci sono riferimenti lecchesi. Si parla delle "marmitte dei giganti a Spirola" località oggi ricordata solo dal nome di una via e che un tempo si estendeva sul lungolago piò meno tra il Brick e la Malpensata. Quando Stoppani ne parlò, quelle marmitte erano state appena scoperte durante i lavori della nuova ferrovia da Lecco verso la Valtellina, nella zona del Poggio di Santo Stefano che lo "zio" dipinge contrapposto alla rupe di Paré (o colle di San Dionigi), due massi erratici che sono «per dir così, le due colonne d'Ercole: sono Scilla e Cariddi, tra cui deve passare che discende pel lago da Mandello a Lecco».
E ancora, la Cascata della Troggia a Introbio che lo Stoppani andò a "esplorare" in compagnia del fratello nel 1889 lungo un sentiero non del tutto rassicurante «ma che gli Introbiesi dovrebbero pensare a rendere più umano, imparando dagli Svizzeri a far migliaja e, se occorre, milioni di lire, da cose che a loro non costano nulla». Auspicio, questo, che sappiamo essere rimasto inascoltato, visto che lo si sente ripetere ancora oggi. Nel frattempo, il turismo o la villeggiatura hanno cambiato aspetto più di una volta.
Dario Cercek
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