In viaggio a tempo indeterminato/171: quando arriva la notte

Una scogliera, delle case abbandonate, una fattoria con mucche e asini, un deserto di sale.
Che cosa hanno in comune?
Apparentemente niente, se non fosse per il fatto di essere state tra le location d'eccezione delle nostre notti messicane.
Da quando viaggiamo e viviamo in macchina, l'elenco dei posti strani dove abbiamo dormito si è decisamente allungato.
La penisola della Baja California da sola, ci ha permesso di dormire in luoghi così assurdi che a volte mi è capitato di svegliarmi la mattina, alle prime luci dell'alba, guardare fuori dal lunotto e chiedermi "ma ci siamo davvero accampati qui?".
E più passano i giorni più mi rendo conto che, in qualche strano modo, il paesaggio che c'è fuori dalla macchina quando chiudiamo le portiere e ci mettiamo sotto le coperte, influenza il mio sonno.



Nel deserto, ad esempio, mi addormentavo sempre dopo aver guardato le stelle, un'infinità di stelle.
Io e Paolo stavamo a fissarle, indicando quelle che ci sembravano costellazioni e inventandoci nomi assurdi come "costellazione della fetta di pizza", "carretto dei gelati", "orsacchiotto di peluche".
Il cielo scuro, nessuna luce all'orizzonte e un silenzio così assordante da risuonare nella testa, erano la mia ninna nanna preferita.
E in quella quiete assoluta, mi sono accorta che non facevo sogni, o meglio non ne ricordavo nemmeno uno.
Come se la mia testa non avesse bisogno di andare lontano o di rimandarmi a immagini e pensieri.
Il deserto placava tutto e io dormivo beatamente e profondamente come una bambina.
E quando la mattina, uscendo dalla macchina, ci trovavamo circondati da impronte di coyote che la notte erano passati a salutarci, "mamma mia, ma quanto abbiamo dormito pesante?!?" diventava il nostro buongiorno.



Tutt'altra storia le notti a picco sul mare.
Niente silenzio, ma un incessante rumore di onde che si infrangono sulla roccia.
Le scogliere per me hanno sempre avuto un fascino selvaggio, fin dalla prima volta che ne ho vista una in Scozia.
Il mare sembra arrabbiarsi così tanto con la terra da volersene portare via un pezzetto.
Il vento a far dondolare la macchina come fosse una culla.
La salsedine che si attacca al vetro del finestrino.
Ci chiudevamo in macchina appena dopo il tramonto, prima che l'ultima luce sparisse del tutto.
E la Carmencita diventava il nostro riparo da quel vento incessante che permetteva a dei gabbiani grandi come acquile, di volare senza nemmeno sbattere le ali.
La notte poi, il dondolio e il rumore, mi facevano sentire come la passeggera di una barca che veleggia in mezzo al mare.
Io non ho un rapporto buonissimo con l'acqua, data la mia paura di nuotare in mare aperto.
E così, nel cuore della notte, mi capitava di svegliarmi magari per una folata di vento più forte delle altre, pensare "dove sarà il salvagente?" aprire gli occhi, sentire Paolo russare, guardare fuori e ricordarmi che era  solo una notte a bordo di Carmencita.
Ok, detta così può sembrare una notte da incubo.
La realtà è che i sogni che facevo a pochi passi dal mare erano sempre movimentati ma molto allegri.
Sognavo di correre su una spiaggia con i piedi che affondavano nella sabbia bianchissima, di essere invitata come ballerina in una trasmissione TV dove tutti parlavano una strana lingua, di volare con un elicottero sopra delle montagne appuntite (per quel sogno credo che la colpa fosse della combo russare di Paolo + vento).

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Ma i sogni più strani li ho fatti quando ci siamo accampati tra le case abbandonate e distrutte dall'uragano.
Un luogo che sembrerebbe inquietante, se non fosse per la spettacolare vista sul Mare di Cortez.
Ci siamo tornati due volte in quel posto che è stato un po' il nostro battesimo per quanto riguarda il campeggio selvaggio.
La prima volta, appena entrati in Baja California, non ricordo cosa avessi sognato. So solo che la mattina dopo mi ero svegliata all'alba e vedendo sorgere il sole all'orizzonte, avevo pensato "questa è magia!".
Quando ci siamo tornati questa seconda volta, avevo un po' paura di rimanere delusa.
Dopo tutti quei mesi tra deserto, mare blu e  paesaggi da togliere il fiato, avevo paura che quel rifugio tra gli scheletri delle case, non avrebbe più avuto lo stesso effetto su di me.
Ma mi sbagliavo.
Quando quella sera, sotto le coperte, ho guardato fuori dal vetro e ho visto la luna specchiarsi nell'acqua, ho risentito quella magia.
Mi sono sognata di svegliarmi in una casa, piccola, accogliente e con una vista meravigliosa sul mare.
Un grande divano rosso in salotto, i quadri con i paesaggi alle pareti, il pavimento di legno che dolcemente scricchiolava.
Paolo era in cucina e dal profumo che sentivo, penso stesse preparando una torta.
Io mi avvicinavo a lui, lo abbracciavo e lui "sei pronta che partiamo?"
La mia faccia stupita "ma come partiamo? e la torta? la casa?"
"Guarda che mi basta girare la chiave e possiamo partire e andare dove vuoi! La nostra casa viene con noi!"
"Ma non rischiamo che il tetto voli via nel viaggio?"
E su quella domanda mi sono svegliata.
Mi sono guardata intorno e la nostra casa l'ho vista.
Paolo non era in cucina, ma rannicchiato sotti la coperta accanto a me e nessun profumo di torta nell'aria.
Ma non mi mancava niente.
La vista meravigliosa c'era e lo stesso calore e amore che avevo provato nel sogno erano lì, dentro quella macchina rossa.
E quella notte ho dormito serenamente e mi sono sentita sicura e protetta, proprio come fossi dentro una bellissima casa accogliente.

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Non so se la colpa sia del paesaggio che c'è fuori o dai pensieri che ci sono dentro.
Quello che so per certo è che quando ogni mattina mi risveglio in un luogo nuovo il mio sogno diventa realtà.
Angela e Paolo
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