In viaggio a tempo indeterminato/170: tutto merito delle arance

Sbuccio l'arancia più morbida che io abbia mai tenuto in mano.
Mi basta staccare un pezzetto di buccia arancione perché esca moltissimo succo.
"Il signor Manuel Salvador Ramon aveva ragione, queste arance sono ancora acerbe" penso tra me e me mentre mi faccio coraggio e ne addento un pezzetto.
Un sapore aspro mi fa storcere la bocca, come stessi mangiando un limone.
Certo prendere un'arancia direttamente dalla pianta "fuori stagione" non è stata una grande idea.
In compenso, veder ridere di gusto quell'anziano signore per la mia strana smorfia, mi ha ripagato del saporaccio che ho ora in bocca.
Il signor Manuel Salvador Ramon ha 82 anni, un sorriso che emana dolcezza, come quello di un nonno mentre guarda i suoi nipoti.
Ha passato tutta la sua vita in un piccolissimo paesino tra i monti, i cactus e il deserto.
Lo incontriamo nel giardino dietro la chiesa della Mision de San Francisco Javier De Viggé-Baiundo dove dà una mano con le piante e a intrattenere i visitatori.
Lo so, in questa zona del Messico i nomi corti tipo Luca o Gina non si usano molto.
"Mi sono fatto togliere un nome, voi potete chiamarmi solo Manuel Salvador!" ci racconta.
"Quando mia madre era incinta aveva promesso a San Manuel di darmi il suo nome se fossi nato sano. Il problema è stato che anche le mie nonne hanno fatto lo stesso fioretto ma con altri due santi e così, alla fine, mi sono ritrovato con tre nomi."



All'ombra di una pianta di ulivo secolare, mentre assaggiamo un sorso del dolcissimo vino che producono nella zona, il signor Manuel (sì, gli ho tolto anche il secondo nome) ci racconta che qui, in mezzo al nulla, si vive molto bene.
Si mangiano la frutta e la verdura locali, non c'è traffico e pochissimo rumore se non quello degli asini che ragliano.
"Io andavo a Loreto in asino quando ero ragazzo. Portavo la frutta e la verdura e le barattavo con altre merci che qui non abbiamo. Poi in città ci andavo anche per ballare e per conoscere le fidanzate!" sorride.
Guardo Paolo, ci sorridiamo.
"Eh quanto tempo ci voleva per arrivare in asino fino a là?" chiedo.
"Tutto il giorno! Lungo la strada ci fermavamo continuamente perché tutti ci offrivano qualcosa da mangiare. Era un'altra epoca, adesso non è più come allora."
Loreto... Loreto è la cittadina da cui siamo partiti noi questa mattina.
Dista 30 km e ci abbiamo messo più o meno un'ora, sia per la "non-velocità" con cui guida Paolo sia per tutte le soste che abbiamo fatto per ammirare il paesaggio.
Adesso spostarsi è diventato semplice e sulla strada asfaltata di persone che cavalcavano un asino non ne abbiamo incontrare.
Mi sono immaginata per un attimo cosa volesse dire attraversare quelle montagne, le salite, la polvere, le spine dei cactus e il sole forte che splende in un cielo azzurro che sembra dipinto.
Mi sembrava di ascoltare il rumore degli zoccoli dell'asino che lentamente procede sul sentiero, il fruscio del vento, il suono delle risate di chi accoglie un giovane viandante.



Mentre ascoltavo le parole del signor Manuel, sentivo l'odore della stufa a legna a casa di mia nonna.
Un profumo che per me sa di passato, di infanzia, di polenta la domenica, di piedi appoggiati alla parete della stufa finché non scottava troppo.
Mi sono persa e per un attimo me ne sono andata via da lì, da quella chiesetta, da quelle piante di arance.
E negli occhi del signor Manuel ho rivisto quelli di mio nonno che aveva fatto la guerra ma non mi aveva mai raccontato nulla perché faceva troppo male.
Mi sembrava di riascoltare mia nonna quando mi parlava del lavoro in filanda e io da bambina non sapevo nemmeno cosa fosse una filanda, figuriamoci immaginarmi che ci andava in bicicletta.
Ho risentito le note di "mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar..." me la cantava ogni tanto e io, seduta sul divano, pensavo che con 100 lire un volo per New York non te lo compri.
"I miei genitori hanno vissuto 102 e 113 anni. Sarà stato merito delle arance acerbe!" dice sorridendo il signor Manuel.
E ritorno bruscamente ad oggi, al Messico, a Paolo che mi picchietta nella spalla e mi sussurra "dopo me la mangio anch'io un'arancia!".

VIDEO


Quell'incontro, dietro quella chiesetta, mi ha fatto risentire forte la distanza dalle persone che amo.
Perché questa meravigliosa vita che io e Paolo stiamo vivendo da più di tre anni, ha solo una controindicazione: ci porta a stare lontano dalla nostra famiglia e dai nostri amici.
Ma la distanza, per fortuna, è solo fisica, perché l'amore non si misura nei km che ci separano.
Angela e Paolo
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