SCAFFALE LECCHESE/33: si torna a fine '800 con ''L'uomo delle parole incrociate''

Inventore, lo fu. La pensata? Un gioco: incrociare le parole, verticali e orizzontali. Ma fu avventura breve. Perduta. Altri, di là da un oceano, anni dopo e nemmeno poi tanti, avrebbero avuto analoga idea, destinata – quella sì - a essere perfezionata e a dare vita ai cruciverba che ancora oggi sono il più frequentato gioco enigmistico.

Giuseppe Airoldi


Più che inventore, precursore, allora. Incompreso o sfortunato, a Giuseppe Airoldi, lecchese di Castello, va comunque riconosciuto quanto gli spetta: essere il creatore del primo gioco di parole crociate conosciuto (comparso sul “Secolo illustrato” del 14 settembre 1890). Incompreso o sfortunato, morì in solitudine ad appena 53 anni nel 1914 e la sua figura fu sostanzialmente dimenticata, nonostante periodici tentativi di restituirle dignità.

Il primissiomo gioco come apparve sul ''Secolo illustrato''


A dare volto e corpo a una sorta di carneade, per quanto avvolto da un alone di leggenda, è stato il giornalista Giorgio Spreafico: nel 2018 ha pubblicato per Teka Edizioni “L’uomo delle parole incrociate” (336 pagine, 15 euro), libro di grande spessore storico, libro lecchese, lecchesissimo, tanti sono i richiami all’anima della città.

Il volume mette a fuoco, in particolare, una decina di anni della vita di Airoldi: dal 1881 al 1891. E’ un romanzo, naturalmente. Che lascia quindi spazio a licenze. Ma la scrittura svela un’accuratissima ricerca storica, archivistica e non solo.

Giorgio Spreafico


In breve. Guseppe Airoldi era un impiegato comunale. Del Comune di Lecco che amministrava il borgo e poco altro più, Pescarenico per esempio; quelli che oggi sono i rioni allora erano municipalità autonome (Castello, Acquate, eccetera, eccetera).

Nel 1881, Airoldi aveva vent’anni e Lecco contava 8200 abitanti. Il giovane impiegato coltivava ambizioni giornalistiche e per un certo periodo collaborò con “Il Resegone”, il nascente settimanale dei cattolici lecchesi sulle barricate contro i liberali al governo. Settimanale durato oltre un secolo, ma che ormai già fa parte della Lecco perduta: fondato nel 1882, cessò le pubblicazioni nel 2007. Primo direttore fu don Giuseppe Cavanna, non propriamente un illuminato. Però gli anni erano poi quelli: il “non expedit” è del 1868 e la “presa” di Roma del 1870...

«Religione a base e fondamento di tutto»: così Giuseppe Corti (stampatore del giornale, ma in realtà qualcosa di più) avrebbe detto al giovane collaboratore. «In realtà - chiosa Spreafico – non è che Airoldi avesse esattamente posto quel principio a cardine della propria vita; l’aveva piuttosto fatto suo fratello Camillo scegliendo la via del sacerdozio, circostanza in virtù della quale non si sarebbe potuto dire che la famiglia non avesse dato luminosa testimonianza di tenere nel dovuto conto Nostro Signore.  Forse anche per questo il giovane impiegato municipale non era sfiorato dal benché minimo sospetto di commettere peccato di lesa maestà pontificia allorquando, cadendo i discorsi sul potere temporale perduto dal Papa, cedeva al gusto per i motti di spirito». Arrivata la proposta di collaborazione, Airoldi «aveva risposto sì d’acchito. In fondo non gli era stato chiesto di farsi crociato, ma solo d’occuparsi della cronaca e d’un piccolo spazio dilettevole, la qual cosa per lui si traduceva nell’occasione ghiotta, anzi ghiottissima, di coltivare giusto gli orticelli più amati». Fu esperienza di pochi mesi perché dalle colonne del “Resegone” partivano bordate mica da ridere contro quell’amministrazione comunale che gli assicurava il salario: preferì dunque sfilarsi da una più che incomoda posizione.

La copertina del libro ''Parole incrociate'' di Spreafico. Sotto il risvolto con la foto di Airoldi


Giorgio Spreafico ci descrive Airoldi come un tipo con la testa perennemente in aria, a inseguire quei giochi di parole ispirati da qualsiasi coincidenza: che fosse un volo di rondine o il riposo d’un gabbiano, osservati da una panchetta sul lungolago prima di recarsi al lavoro, così come pennellato nelle prime pagine del libro.

In quei dieci anni, si industriava per mettere insieme un gruppo di “enigmofili” in città e addirittura fondare nel 1884 un proprio giornale a diffusione nazionale: “La Palestra enigmistica”. Il gruppo non andò oltre le buone intenzioni e la “Palestra” ebbe breve vita per colpa di abbonati dal braccino corto: opportuna e oculata cessione della testata gli risparmiò l’onta da debitore insolvente.

Anni dopo, appunto, le parole incrociate. O, meglio, verticali e orizzontali: verticali come le montagne, orizzontali come il lago. Insomma, il paesaggio lecchese.

Seduto ai tavolini del Caffè Svizzero e immaginando una funicolare a sferragliare su per il Monte Barro, il 14 settembre 1890 Giuseppe Airoldi mordeva il freno, con “Il secolo illustrato” tra le mani, in attesa che arrivasse il collega ma anche prossimo cognato Francesco Zamperini, ragioniere capo in municipio, grande animatore della vita culturale cittadina, pure giornalista ed enigmista (fuor d’ufficialità si firmava Zasco), la cui «deliziosa» sorella Clotilde sarebbe stata portata all’altare da Airodi di lì a poco più di un mese: il 23 ottobre 1890. Nasceranno sei figli, ma sarà matrimonio condannato a non durare.

Intanto, però, “Il secolo illustrato”. Penultima pagina: «Trattenne quasi il fiato, rimase immobile a godersi lo spettacolo, la bocca socchiusa e i sopraccigli leggermente inarcati nell’espressione di chi pur aspettandosi qualcosa ne resti lo stesso sorpreso. Eccolo, il giuoco. Il suo giuoco. Il suo nuovo giuoco. Terza colonna. Rubrica “Per passare il tempo”, naturalmente. La riserva di caccia degli enigmofili. Sarebbe piaciuto il nuovo giuoco? Dal canto suo Airoldi di Parole Incrociate era pronto a sfornarne altre. Quanti vocaboli si sarebbero potuti inserire in un giuoco del genere? Aveva cominciato con otto, ciascuno di quattro lettere e già non era stato come bere un bicchier d’acqua. Passare a dieci di cinque lettere avrebbe significato sommare o piuttosto moltiplicare le difficoltà? E fino a che punto ci si sarebbe potuti spingere? A dodici parole? A quattordici? Già solo a immaginarla, la sfida metteva le vertigini. “Adagio Biagio”».

Non sappiamo i motivi per i quali (dopo quante uscite?), il “giuoco” si spense e non se ne parlò più.

Il primo cruciverba di Airoldi


Nel libro c’è lo spazio per un’ultima avventura di quel decennio: il giornale “La Cronaca” dove Airoldi gestiva la “Ricreazione”. Fu esperienza deludente per diverse ragioni. Le ultime righe del romanzo  tratteggiano il nostro impiegato municipale mentre,  un’imprecisata sera, cammina scorato sulla strada di casa, schiaffeggiato dal vento gelido: «Ben ti sta».

Seguendo Airoldi in quei suoi dieci anni tra i 20 e i 30 d’età, Spreafico ci  accompagna nei meandri dell’enigmistica fin ai tempi di Edipo e della Sfinge, ma  anche per le strade della Lecco di quell’epoca in cui i monumenti cittadini erano ancora pressoché tutti in circolazione. In carne e ossa: lo Stoppani (morì il 1° gennaio 1891), i Cermenati, l’Antonio Ghislanzoni. Ed è uno spaccato di storia quotidiana lecchese filtrata dalle cronache dell’epoca: il concerto alla villa di Carlo Gomes per aiutare l’asilo di Maggianico, le glorie dell’Albergo Davide, ma anche i miserabili che han la patente in regola per stendere la mano o il mercato che è antico, anzi antichissimo; le officine che van crescendo lungo Gerenzone e fiumicelle. E il brulicar di popolo: persone che monumenti non sarebbero diventate ma che in quello scorcio di Ottocento animavano la vita sociale e le chiacchiere al caffè in piazza.

A solleticare la vena dell’appassionato e a intervallare il racconto si susseguono giochi, sciarade, rebus e altre diavolerie da enigmisti.

Coronamento dell’opera,infine, un’appendice di approfondimenti che da sola vale un tomo a sé. A cominciare dalla storia di queste benedette parole incrociate, in origine certamente differenti da quelle che pratichiamo oggi: il “prototipo” dimenticato di Airoldi nel 1890, l’idea di un inglese emigrato in America nel 1913 e l’arrivo in Italia del “giuoco” nel 1925: un successo imperituro. Per continuare con una serie di note su eventi, avvenimenti, giornali e luoghi che fanno da cornice alla vicenda. Soprattutto, le biografie dei personaggi che incontriamo sulle strade di una Lecco che tanto diversa era da oggi. Di lui, di Giuseppe Airoldi, vengono ricostruite fortune e sfortune della vita vivente e di quella postuma; i torti, l’oblio: «In qualche modo – scrive Spreafico –il geniale impiegato è stato risarcito quando nel 1960 il concittadino Angelo Zappa lo ha rivelato autore del primo gioco di Parole incrociate e, nei due anni seguenti, lo ha messo al centro di una serie di iniziative.

La lapide a Palazzo Belgiojoso

Per un altro mezzo secolo, però, Airoldi è tornato nell’ombra persino nella sua città. A occuparsi di lui – in poche righe nel 1975 -  solo il libro “Piccolo mondo antico lecchese” dell’avvocato Arnaldo Ruggiero. E non per illustrarne i meriti, ma per accennare a suoi errori nella tenuta dei registri in municipio, oltre che per ironizzare sull’enigmistica come origine di distrazioni alle quali avevano dovuto rimediare i pronunciamenti del Tribunale. Solo nel 2009 (e grazie in particolare all’appassionato impegno di Armando Sala), Lecco è tornata ad accendere le luci su Giuseppe Airoldi con un convegno dell’Auser. A “Giuseppe Airoldi inventore delle parole incrociate” è intitolata dal dicembre 1983 una strada di Como. Il pioniere dimenticato del gioco enigmistico più famoso del mondo è sepolto al Cimitero Monumentale di Lecco. L’ossario che ne raccoglie i resti si trova sotto il Famedio».

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Dario Cercek
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