SCAFFALE LECCHESE/30: il Risorgimento in... 'città'. Due libri tra Quarantotto e 1859

La promozione di Lecco al rango di città, avvenuta il 9 luglio 1859, si deve – come si sa – a meriti risorgimentali, per il contributo dato alla lotta per la liberazione della Lombardia dal dominio austriaco.
Una prima volta, fu il Governo provvisorio milanese, insediatosi dopo le Cinque giornate, a elevare Lecco a città (22 giugno 1848), ma fu esperienza breve: con il ritorno degli asburgici, infatti, nemmeno due mesi dopo il provvedimento venne revocato (18 agosto).
Il moto risorgimentale italiano è storia lunga e articolata, le cui radici sono più o meno lontane nel tempo e il compimento addirittura in dubbio secondo le differenti valutazioni (o passioni) di ciascun ricercatore.
Per i lecchesi, le date significative sono il 1848 e il 1859, gli anni della prima e della seconda guerra di indipendenza, per le quali due libri raccontano i risvolti lecchesi (di là dagli studi ospitati da riviste storiche e giornali locali).

Cominciamo con “Il ‘Quarantotto’ a Lecco” stampato dalla Tipo-litografia Grassi per iniziativa dell’amministrazione comunale in occasione del centenario. Si trattava della prima amministrazione eletta dopo la Liberazione dal nazifascismo. Sindaco era Giuseppe Mauri, ma l’uscita del volume, alla fine di luglio 1948, sarebbe stata salutata dal commissario prefettizio, stanti le dimissioni dello stesso Mauri, socialista, all’indomani delle elezioni politiche del 18 aprile che videro il trionfo democristiano.
“Il ‘Quarantotto’ a Lecco” è sostanzialmente una corposa raccolta di documenti (che fa seguito peraltro alla pubblicazione dei bollettini ufficiali del Comitato lecchese risalente al 1937) a coprire il periodo dal 18 marzo al 14 agosto 1848. La prefazione è di Cesare Giardini, scrittore e giornalista che nel 1958 pubblicherà una propria storia del Risorgimento. Si tratta di documenti che possono anche apparire pedanti ma che sono ricchi di dettagli interessanti anche per i comuni lettori, fatto salvo il dover a volte districarsi nel linguaggio burocratico dell’epoca. Le indicazioni di Giardini, però, aiutano la lettura.
Si comincia con il rapporto di un tal sergente Colombo della guarnigione austriaca di stanza a Lecco: alle 3 antimeridiane del 19 marzo scrive ai superiori di come la giornata appena conclusasi sia stata caratterizzata da festose manifestazioni di piazza. Attribuite dal militare alla notizia che «Sua Maestà si è graziosamente degnato di accordare l’abbolizione della censura».
In realtà, il tripudio era per le barricate milanesi. Sembra che una lettera privata avesse già portato a Lecco la notizia della rivolta di Vienna. Poi, a segnalare che a Milano si stesse facendo altrettanto, pare sia stato il mancato arrivo della diligenza giornaliera (seppure qualche altra “indiscrezione” sarà poi circolata).

I lecchesi istituirono un Comitato civico che nel giro di due giorni prese le chiavi del borgo: convinse la guarnigione alla resa e inviò poi gruppi di volontari a dar man forte ai rivoltosi milanesi. Nelle settimane successive, altri volontari si distribuirono sui vari fronti: tra gli altri, Luciano Manara uscito da Milano all’inseguimento degli austriaci in fuga diretti verso il Quadrilatero (morirà l’anno seguente in difesa della Repubblica romana).
Tra gli episodi di rilievo, il preventivato e poi abortito piano per far saltare le gallerie lungo la strada a lago che scendeva dallo Stelvio (teatro di una lunga e sanguinosa battaglia), realizzata proprio dagli austriaci tra il 1823 e il 1834 per collegare Vienna ai possedimenti lombardi.  
Curiosa, tra le carte di quei mesi, anche la lettera che un lecchese, il dottor Giuseppe Pini, scrisse il 10 maggio al Ministero della guerra (italiano), ricordando l’impegno tra i volontari irredentisti dei propri sette figli. Memoria utile a testimoniare l’orientamento patriottico della propria famiglia, nel momento in cui si veniva a chiedere di non incarcerare due soldati austriaci della guarnigione lecchese in quel momento “prigionieri” proprio del dottor Pini «dove s’adoprano quasi immedesimati nella famiglia stessa» sottolineando (da buon lecchese) che il ministero risparmierebbe le spese di sostentamento. Comunque promettendo che «non lascerei di far loro conoscere quanto valga un libero italiano se mai ardissero di qualche cosa che fosse contro la sicurezza ed ai provvedimenti per l’italica libertà».
La guerra d’indipendenza ebbe una fine  ingloriosa, l’Austria riprese il controllo della Lombardia e per molti insorti non vi fu che la strada della fuga in attesa di tempi di migliori. Per esempio, gli imprenditori lecchesi Giuseppe Arrigoni e Giuseppe Badoni che ripararono in Svizzera.

Si intitola invece “Lecco e Lecchesi nel 1859” il libro scritto dai coniugi Edmondo Martini e Adele Sirolli, avvocati, deceduti lui nel 2009 e lei nel novembre dell’anno scorso. Per un periodo, Sirolli fu anche direttrice della biblioteca civica cittadina.
Anche questo libro fu stampato dalla Tipo-litografica Grassi su iniziativa del Comune – allora guidato dal sindaco Angelo Bonaiti - in occasione delle celebrazioni per il centenario della seconda guerra di indipendenza, quella che consegnò la Lombardia ai Savoia.
Si tratta di un’opera pure centrata su documenti d’epoca, tra cui molte lettere: «Abbiamo inteso riferire alcuni avvenimenti dell’anno 1859 – anticipano i curatori -  così come li videro e li vissero i Lecchesi di cent’anni fa».
La raccolta è ordinata per capitoli e di facile consultazione, oltre a essere corredata di numerose fotografie.
La seconda guerra d’indipendenza si svolse dal 29 aprile all’11 luglio 1859. Tra i protagonisti vi furono i Cacciatori delle Alpi comandati da Giuseppe Garibaldi che dal Piemonte penetrarono in Lombardia, furono accolti da una Varese già in rivolta (23 maggio) e poi si diressero verso Como, presa dopo lo scontro campale con gli austriaci a San Fermo (27 maggio) diventato poi San Fermo della Battaglia.

Stampa commemorativa della battaglia di San Fermo

Lecco insorse spontaneamente. Quando una compagnia garibaldina arrivò sulle sponde lecchesi, il borgo aveva già inalberato il tricolore: «Lecco ha fatto il suo movimento disarmò la gendarmeria e la guardia di Finanza - recita il dispaccio ufficiale del 29 maggio ore 3 antimeridiane - Il Tenente di gendarmeria coi gendarmi e con gli impiegati dell’Ufficio telegrafico locale furono questa sera alle ore 11 pomeridiane inviati a Bellano sotto scorta per la consegna alla competente autorità sarda».
«L’insurrezione di Lecco – scrivono Martini e Sirolli – fu un magnifico esempio di generoso coraggio. Fu un moto spontaneo ed incoercibile a cui non fu estranea la massa popolare. I giornali francesi diedero ampio risalto all’evento. Lecco era la seconda città lombarda (la prima era stata Varese) a insorgere spontaneamente».

La targa a Garibaldi all'ex Croce di Malta

Seguirono poi momenti convulsi, Lecco fu ripresa dagli austriaci e rioccupata definitivamente dai “Cacciatori” il 6 giugno, quando Giuseppe Garibaldi vi arrivò ma senza pernottarvi (come invece sta impresso nel marmo della targa affissa nel 1909 sul muro del fu albergo Croce di Malta): «alla sera riprese immediatamente la strada incamminandosi verso la terra bergamasca dopo aver provveduto a far fortificare “con lavori di terra e di fascine” Chiuso, ove lasciò un presidio armato. Tutte le testimonianze sono concordi nell’affermare che il passaggio di Garibaldi a Lecco fu caratterizzato da manifestazioni eccezionali di entusiasmo e gioia» come attesta anche la lettera di Giuseppina Zamperini al fratello Teoderico, del quale vengono presentate pagine di un corposo epistolario.

La statua di Garibaldi nella piazza lecchese a lui dedicata

La storia registra poi la battaglia di Magenta dove – raccontano Martini e Sirolli – una ditta lecchese ebbe ruolo da protagonista. Si tratta della Badoni: su ordine austriaco avrebbe dovuto distruggere il ponte di Boffalora, ma i lavori procedettero con una lentezza non proprio fortuita.

L'imbarcadero di Lecco - Gaetano Gariboldi, 1841

Garibaldi passò nuovamente da Lecco, ma senza fermarsi, il 9 giugno e una terza volta il 26 giugno, questa volta sì alloggiando all’albergo Croce di Malta. All’indomani, «coi piroscafi, i Cacciatori delle Alpi raggiunsero Colico ove incominciarono la marcia verso la Valtellina».
Due giorni prima, il 24 giugno, si era svolta la battaglia di Solferino e San Martino tra gli eserciti austriaci e franco-sardo che fu una carneficina sconvolgente per l’epoca. Scosse terribilmente anche lo svizzero Henry Dumont che decise di fondare la Croce Rossa.

I fratelli Torri Tarelli e sotto la targa alla Maddalena

In quella battaglia – ci ricordano i nostri narratori – combatterono tre dei cinque fratelli Torri Tarelli, i «fratelli Cairoli lecchesi» come lì definì il poeta Giovanni Bertacchi. Ai fratelli (Giovanni, Carlo, Tommaso, Giuseppe e Battista, ricordati oggi da una targa sulla casa paterna alla Maddalena) si dedica molto spazio, ricostruendo la vita e il ruolo di ciascuno nelle lotte indipendentiste.
Oltre ai fratelli Torri Tarelli, sono decine i lecchesi che parteciparono alle imprese di quei mesi e qualcuno non tornò a casa: il libro ne riporta l’elenco.



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Dario Cercek
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