SCAFFALE LECCHESE/27: la città e la sua storia, di fatto... ancora tutta da raccontare
Nel 1965, l’architetto Mario Cereghini, presentando il suo “Immagini di Lecco nei secoli” (ne abbiamo parlato QUI), rilevava come non fosse ancora stata pubblicata una vera e propria di storia di Lecco. Cosa ben strana, effettivamente, in una città dove pure non sono mancate ricerche storiche di pregio. E molti altri anni, da quel rilievo, sono dovuti trascorrere. Paradossalmente, avevano più “memoria” la Brianza e la Valsassina che non la città, la cui ricostruzione storica era affidata a frammenti sparsi su diversi giornali e libri dedicati a qualche aspetto particolare: lo sviluppo dell’industria, per esempio, su cui molto è stato scritto.
Opere, però, ormai superate, non soltanto per gli approfondimenti delle ricerche successive, ma anche per la loro stessa struttura: carrellate da eruditi e noiosi elenchi che andavano per la maggiore all’epoca: preziosi forse per i ricercatori, più ostici per il lettore comune. Al quale, alla fin fine, poco rimane di quelle letture.
Si aggiungono poi alcune “Guide” nelle quali era pur possibile raccogliere qualche brano storico. Da parte sua, Angelo Borghi ricorda anche un progetto di Mario Cermenati che non andò però mai in porto.
L’assenza di una storia complessiva di Lecco è quindi perdurata.
Non va inoltre dimenticato che Benini, scomparso nel 2007, ha tra i suoi meriti quello di avere dato vita nel 1978 alla rivista storica “Archivi di Lecco”, da oltre trent’anni fonte importante per la conoscenza della storia del nostro territorio. Ma la stessa rivista “Archivi” non si lancia nell’impresa di una vera e propria organica Storia lecchese.
E’ a cavallo del millennio, durante l’amministrazione comunale a guida di Lorenzo Bodega, che il Comune stesso sembra intenzionato a finanziare la pubblicazione di uno studio sistematico: si susseguono idee un po’ troppo ambiziose e come destinate all’inevitabile naufragio, ma soprattutto il progetto appare impossibile per lo smaccato patrocinio politico che non può lasciare dovute libertà d’indagine e lettura a uno storico.
«Una storia di Lecco non è mai stata scritta – spiega in premessa lo stesso Daccò - La storiografia medievale del contado di Milano, di cui la nostra città faceva parte, si è sempre disinteressata delle forme di organizzazione delle comunità, delle vicende politiche ed economiche dei centri minori come Lecco; in fondo, quando si parlava della storia del contado milanese lo si faceva soltanto per valutarne i riflessi sulla vita politica e istituzionali della metropoli, vizio comune della ricerca italiana». Inoltre, «nel XVIII e XIX secolo, se si esclude Giuseppe Arrigoni, è mancata per il nostro territorio la lunga e meritoria fatica degli eruditi locali che, per le altre città lombarde, hanno realizzato un’enorme mole di lavoro».
Il libro di Daccò arriva fino alla fine del Novecento. L’ultimo episodio spunto di riflessione sull’evoluzione della citta è «una mattina ventosa del 1995» quando «spontaneamente, parecchie centinaia di persone si radunarono in via Amendola per assistere all’abbattimento del grande serbatoio, l’unico elemento rimasto in piedi dell’Acciaieria del Caleotto a Lecco. Venivano a vederlo morire».
Curiosamente – pensiamo – gli “Appunti” di Borghi e Benini risalenti a quarant’anni prima si concludevano quando invece l’acciaieria, per un secolo simbolo della città, veniva edificata: anno 1896.
E arriviamo a oggi, con l’iniziativa assunta dall’Associazione degli ex alunni del liceo “Manzoni” di Lecco, il liceo classico, che ha affidato ad Angelo Borghi l’incarico di redigere una nuova storia del nostro territorio che, in fase di elaborazione, è andata facendosi sempre più ponderosa: «Man mano che l’opera cresceva – introduce il presidente dell’associazione, Glauco Cogliati - ci si è resi conto, che per renderla compiuta, essa avrebbe assunto connotati inizialmente impensabili quanto a contenuti e dimensioni. Si è quindi ritenuto opportuno dividerla in più parti».
Opere, però, ormai superate, non soltanto per gli approfondimenti delle ricerche successive, ma anche per la loro stessa struttura: carrellate da eruditi e noiosi elenchi che andavano per la maggiore all’epoca: preziosi forse per i ricercatori, più ostici per il lettore comune. Al quale, alla fin fine, poco rimane di quelle letture.
Si aggiungono poi alcune “Guide” nelle quali era pur possibile raccogliere qualche brano storico. Da parte sua, Angelo Borghi ricorda anche un progetto di Mario Cermenati che non andò però mai in porto.
L’assenza di una storia complessiva di Lecco è quindi perdurata.
Non va inoltre dimenticato che Benini, scomparso nel 2007, ha tra i suoi meriti quello di avere dato vita nel 1978 alla rivista storica “Archivi di Lecco”, da oltre trent’anni fonte importante per la conoscenza della storia del nostro territorio. Ma la stessa rivista “Archivi” non si lancia nell’impresa di una vera e propria organica Storia lecchese.
E’ a cavallo del millennio, durante l’amministrazione comunale a guida di Lorenzo Bodega, che il Comune stesso sembra intenzionato a finanziare la pubblicazione di uno studio sistematico: si susseguono idee un po’ troppo ambiziose e come destinate all’inevitabile naufragio, ma soprattutto il progetto appare impossibile per lo smaccato patrocinio politico che non può lasciare dovute libertà d’indagine e lettura a uno storico.
«Una storia di Lecco non è mai stata scritta – spiega in premessa lo stesso Daccò - La storiografia medievale del contado di Milano, di cui la nostra città faceva parte, si è sempre disinteressata delle forme di organizzazione delle comunità, delle vicende politiche ed economiche dei centri minori come Lecco; in fondo, quando si parlava della storia del contado milanese lo si faceva soltanto per valutarne i riflessi sulla vita politica e istituzionali della metropoli, vizio comune della ricerca italiana». Inoltre, «nel XVIII e XIX secolo, se si esclude Giuseppe Arrigoni, è mancata per il nostro territorio la lunga e meritoria fatica degli eruditi locali che, per le altre città lombarde, hanno realizzato un’enorme mole di lavoro».
Il libro di Daccò arriva fino alla fine del Novecento. L’ultimo episodio spunto di riflessione sull’evoluzione della citta è «una mattina ventosa del 1995» quando «spontaneamente, parecchie centinaia di persone si radunarono in via Amendola per assistere all’abbattimento del grande serbatoio, l’unico elemento rimasto in piedi dell’Acciaieria del Caleotto a Lecco. Venivano a vederlo morire».
Curiosamente – pensiamo – gli “Appunti” di Borghi e Benini risalenti a quarant’anni prima si concludevano quando invece l’acciaieria, per un secolo simbolo della città, veniva edificata: anno 1896.
E arriviamo a oggi, con l’iniziativa assunta dall’Associazione degli ex alunni del liceo “Manzoni” di Lecco, il liceo classico, che ha affidato ad Angelo Borghi l’incarico di redigere una nuova storia del nostro territorio che, in fase di elaborazione, è andata facendosi sempre più ponderosa: «Man mano che l’opera cresceva – introduce il presidente dell’associazione, Glauco Cogliati - ci si è resi conto, che per renderla compiuta, essa avrebbe assunto connotati inizialmente impensabili quanto a contenuti e dimensioni. Si è quindi ritenuto opportuno dividerla in più parti».
«L’operazione di tentare la ricostruzione della vicenda storica di una città e del suo intorno – premette Borghi - è condizionata da numerosi fattori e inevitabilmente discutibile. Oggi pensiamo a Lecco come alla città che si è istituzionalmente forata fra il 1923 e il 1928, quando comuni diversi erano stati unificati in quella che si diceva “la grande Lecco”. Le ragioni di allora, sostanzialmente politiche, conoscevano in verità diversi elementi di unità ed insieme alcuni elementi di disomogeneità. Malgrado l’intensa urbanizzazione della conca, si mantengono in alcune aree individualità marcate che distanziano dal centro cittadino». L’autore conclude: «Si tenterà quindi di ripercorrere i tempi, utilizzando la quantità di informazioni sparse in molti studi, quanto rimasto della fisionomia degli abitati e nei diversi archivi. Un tentativo ovviamente modesto, rispetto a quanto si intravede, discutibile nelle interpretazioni, speranzoso nell’orientare le generazioni moderne a conoscere per decidere un futuro del territorio, ancora incerto e sicuramente ricco di insidie».
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Dario Cercek