SCAFFALE LECCHESE/27: la città e la sua storia, di fatto... ancora tutta da raccontare
Nel 1965, l’architetto Mario Cereghini, presentando il suo “Immagini di Lecco nei secoli” (ne abbiamo parlato QUI), rilevava come non fosse ancora stata pubblicata una vera e propria di storia di Lecco. Cosa ben strana, effettivamente, in una città dove pure non sono mancate ricerche storiche di pregio. E molti altri anni, da quel rilievo, sono dovuti trascorrere. Paradossalmente, avevano più “memoria” la Brianza e la Valsassina che non la città, la cui ricostruzione storica era affidata a frammenti sparsi su diversi giornali e libri dedicati a qualche aspetto particolare: lo sviluppo dell’industria, per esempio, su cui molto è stato scritto.
Nell’Ottocento, invero, qualcosa si era tentato. Pensiamo, per esempio, a “Lecco e il suo territorio”, una “memoria” - così definita dallo stesso autore - di Andrea Luigi Apostolo, impiegato del tribunale di Lecco e quindi di passaggio in città, solito descrivere le località in cui si trasferiva per lavoro. Il libro, stampato nel 1855 dalla Tipografia Corti, è soprattutto una miscellanea di notizie con un invito a fare meglio. Spiegava infatti l’Apostolo: «Io desidero che i miei deboli concetti valgano ad animare qualche bravo Lecchese ad occuparsi più diffusamente di una compita illustrazione di questo bel paese. Lecco merita, io dico, da qualcuno de’ suoi una propria monografia».
Non da meno i “Cenni storici delle città di Lecco e Barra” pubblicato nel 1884 da Giovanni Pozzi con l’editore lecchese “Vincenzo Andreotti detto Busall” (ristampato più volte: l’ultima edizione è quella anastatica del 1998 da parte dell’editrice Atesa di Bologna). «Come tutte le città italiane – scriveva Pozzi - anche la nostra passò attraverso un turbinìo di fatti ora fu schiava, ora libera, e non poca prepotenza talfiata si riversò sovr’essa al punto che vandalicamente Lecco fu data in preda alle fiamme, rasa al suolo, e fu allora che i fratelli uccisero i fratelli. Sopportò assedi di lunga durata, fame, sete, tormenti e pestilenze: e qui si svolsero processi strani, superstiziosi; qui si sparsero torrenti di sangue e in mezzo a questa ridda infernale e continua d’armi e d’armati, i nostri padri mostrarono costantemente amore al proprio suolo, carattere forte e tendenza alla vera indipendenza».
Opere, però, ormai superate, non soltanto per gli approfondimenti delle ricerche successive, ma anche per la loro stessa struttura: carrellate da eruditi e noiosi elenchi che andavano per la maggiore all’epoca: preziosi forse per i ricercatori, più ostici per il lettore comune. Al quale, alla fin fine, poco rimane di quelle letture.
Si aggiungono poi alcune “Guide” nelle quali era pur possibile raccogliere qualche brano storico. Da parte sua, Angelo Borghi ricorda anche un progetto di Mario Cermenati che non andò però mai in porto.
L’assenza di una storia complessiva di Lecco è quindi perdurata.
E’ nel 1975, stampato dalla Litografia Beretta, che esce un opuscoletto di una trentina di pagine firmate da Angelo Borghi e Aroldo Benini (con la copertina disegnata da Angelo “Baldo” Gattinoni): “Appunti sulla storia di Lecco”. Sostanzialmente è una traccia dalla preistoria alla fine dell’Ottocento offerta a studenti e studiosi interessati a mettere mano a un’opera più corposa. Premettono infatti gli autori: «Come per un’altra importante iniziativa di quasi trent’anni or sono, “il raro e frammentario ordito di questa fugace rassegna attende ed augura un lecchese che sappia tesservi nobilmente la trama. Una storia compiuta di Lecco è ancora da scrivere. Sarebbe opera da conferir decoro alla città. Lecco ha dignità e titoli per meritarla”».
Non va inoltre dimenticato che Benini, scomparso nel 2007, ha tra i suoi meriti quello di avere dato vita nel 1978 alla rivista storica “Archivi di Lecco”, da oltre trent’anni fonte importante per la conoscenza della storia del nostro territorio. Ma la stessa rivista “Archivi” non si lancia nell’impresa di una vera e propria organica Storia lecchese.
E’ a cavallo del millennio, durante l’amministrazione comunale a guida di Lorenzo Bodega, che il Comune stesso sembra intenzionato a finanziare la pubblicazione di uno studio sistematico: si susseguono idee un po’ troppo ambiziose e come destinate all’inevitabile naufragio, ma soprattutto il progetto appare impossibile per lo smaccato patrocinio politico che non può lasciare dovute libertà d’indagine e lettura a uno storico.
La “svolta” è datata 2014: Gianluigi Daccò, il direttore dei musei civici da poco in pensione, dà alle stampe quella che a tutti gli effetti può essere considerata la prima vera storia lecchese: “Una storia di Lecco. Dall’età del Bronzo al mondo globale” (214 pagine, esaurita la versione cartacea, ma reperibile in e-book), pubblicato da Cinquesensi, la casa editrice con sede a Lucca ma creata dalla bellanese Sara Vitali.
«Una storia di Lecco non è mai stata scritta – spiega in premessa lo stesso Daccò - La storiografia medievale del contado di Milano, di cui la nostra città faceva parte, si è sempre disinteressata delle forme di organizzazione delle comunità, delle vicende politiche ed economiche dei centri minori come Lecco; in fondo, quando si parlava della storia del contado milanese lo si faceva soltanto per valutarne i riflessi sulla vita politica e istituzionali della metropoli, vizio comune della ricerca italiana». Inoltre, «nel XVIII e XIX secolo, se si esclude Giuseppe Arrigoni, è mancata per il nostro territorio la lunga e meritoria fatica degli eruditi locali che, per le altre città lombarde, hanno realizzato un’enorme mole di lavoro».
Il libro di Daccò arriva fino alla fine del Novecento. L’ultimo episodio spunto di riflessione sull’evoluzione della citta è «una mattina ventosa del 1995» quando «spontaneamente, parecchie centinaia di persone si radunarono in via Amendola per assistere all’abbattimento del grande serbatoio, l’unico elemento rimasto in piedi dell’Acciaieria del Caleotto a Lecco. Venivano a vederlo morire».
Curiosamente – pensiamo – gli “Appunti” di Borghi e Benini risalenti a quarant’anni prima si concludevano quando invece l’acciaieria, per un secolo simbolo della città, veniva edificata: anno 1896.
E arriviamo a oggi, con l’iniziativa assunta dall’Associazione degli ex alunni del liceo “Manzoni” di Lecco, il liceo classico, che ha affidato ad Angelo Borghi l’incarico di redigere una nuova storia del nostro territorio che, in fase di elaborazione, è andata facendosi sempre più ponderosa: «Man mano che l’opera cresceva – introduce il presidente dell’associazione, Glauco Cogliati - ci si è resi conto, che per renderla compiuta, essa avrebbe assunto connotati inizialmente impensabili quanto a contenuti e dimensioni. Si è quindi ritenuto opportuno dividerla in più parti».
“Lecco e la sua storia”, il titolo dell’opera articolata in tre tomi. Nel settembre 2019 è uscito dalla “Cattaneo Paolo Grafiche” il primo volume (“Dalle origini al dominio visconteo”, 494 pagine). Dovrebbe essere imminente la pubblicazione del secondo.
Nell’Ottocento, invero, qualcosa si era tentato. Pensiamo, per esempio, a “Lecco e il suo territorio”, una “memoria” - così definita dallo stesso autore - di Andrea Luigi Apostolo, impiegato del tribunale di Lecco e quindi di passaggio in città, solito descrivere le località in cui si trasferiva per lavoro. Il libro, stampato nel 1855 dalla Tipografia Corti, è soprattutto una miscellanea di notizie con un invito a fare meglio. Spiegava infatti l’Apostolo: «Io desidero che i miei deboli concetti valgano ad animare qualche bravo Lecchese ad occuparsi più diffusamente di una compita illustrazione di questo bel paese. Lecco merita, io dico, da qualcuno de’ suoi una propria monografia».
Non da meno i “Cenni storici delle città di Lecco e Barra” pubblicato nel 1884 da Giovanni Pozzi con l’editore lecchese “Vincenzo Andreotti detto Busall” (ristampato più volte: l’ultima edizione è quella anastatica del 1998 da parte dell’editrice Atesa di Bologna). «Come tutte le città italiane – scriveva Pozzi - anche la nostra passò attraverso un turbinìo di fatti ora fu schiava, ora libera, e non poca prepotenza talfiata si riversò sovr’essa al punto che vandalicamente Lecco fu data in preda alle fiamme, rasa al suolo, e fu allora che i fratelli uccisero i fratelli. Sopportò assedi di lunga durata, fame, sete, tormenti e pestilenze: e qui si svolsero processi strani, superstiziosi; qui si sparsero torrenti di sangue e in mezzo a questa ridda infernale e continua d’armi e d’armati, i nostri padri mostrarono costantemente amore al proprio suolo, carattere forte e tendenza alla vera indipendenza».
Opere, però, ormai superate, non soltanto per gli approfondimenti delle ricerche successive, ma anche per la loro stessa struttura: carrellate da eruditi e noiosi elenchi che andavano per la maggiore all’epoca: preziosi forse per i ricercatori, più ostici per il lettore comune. Al quale, alla fin fine, poco rimane di quelle letture.
Si aggiungono poi alcune “Guide” nelle quali era pur possibile raccogliere qualche brano storico. Da parte sua, Angelo Borghi ricorda anche un progetto di Mario Cermenati che non andò però mai in porto.
L’assenza di una storia complessiva di Lecco è quindi perdurata.
E’ nel 1975, stampato dalla Litografia Beretta, che esce un opuscoletto di una trentina di pagine firmate da Angelo Borghi e Aroldo Benini (con la copertina disegnata da Angelo “Baldo” Gattinoni): “Appunti sulla storia di Lecco”. Sostanzialmente è una traccia dalla preistoria alla fine dell’Ottocento offerta a studenti e studiosi interessati a mettere mano a un’opera più corposa. Premettono infatti gli autori: «Come per un’altra importante iniziativa di quasi trent’anni or sono, “il raro e frammentario ordito di questa fugace rassegna attende ed augura un lecchese che sappia tesservi nobilmente la trama. Una storia compiuta di Lecco è ancora da scrivere. Sarebbe opera da conferir decoro alla città. Lecco ha dignità e titoli per meritarla”».
Non va inoltre dimenticato che Benini, scomparso nel 2007, ha tra i suoi meriti quello di avere dato vita nel 1978 alla rivista storica “Archivi di Lecco”, da oltre trent’anni fonte importante per la conoscenza della storia del nostro territorio. Ma la stessa rivista “Archivi” non si lancia nell’impresa di una vera e propria organica Storia lecchese.
E’ a cavallo del millennio, durante l’amministrazione comunale a guida di Lorenzo Bodega, che il Comune stesso sembra intenzionato a finanziare la pubblicazione di uno studio sistematico: si susseguono idee un po’ troppo ambiziose e come destinate all’inevitabile naufragio, ma soprattutto il progetto appare impossibile per lo smaccato patrocinio politico che non può lasciare dovute libertà d’indagine e lettura a uno storico.
La “svolta” è datata 2014: Gianluigi Daccò, il direttore dei musei civici da poco in pensione, dà alle stampe quella che a tutti gli effetti può essere considerata la prima vera storia lecchese: “Una storia di Lecco. Dall’età del Bronzo al mondo globale” (214 pagine, esaurita la versione cartacea, ma reperibile in e-book), pubblicato da Cinquesensi, la casa editrice con sede a Lucca ma creata dalla bellanese Sara Vitali.
«Una storia di Lecco non è mai stata scritta – spiega in premessa lo stesso Daccò - La storiografia medievale del contado di Milano, di cui la nostra città faceva parte, si è sempre disinteressata delle forme di organizzazione delle comunità, delle vicende politiche ed economiche dei centri minori come Lecco; in fondo, quando si parlava della storia del contado milanese lo si faceva soltanto per valutarne i riflessi sulla vita politica e istituzionali della metropoli, vizio comune della ricerca italiana». Inoltre, «nel XVIII e XIX secolo, se si esclude Giuseppe Arrigoni, è mancata per il nostro territorio la lunga e meritoria fatica degli eruditi locali che, per le altre città lombarde, hanno realizzato un’enorme mole di lavoro».
Il libro di Daccò arriva fino alla fine del Novecento. L’ultimo episodio spunto di riflessione sull’evoluzione della citta è «una mattina ventosa del 1995» quando «spontaneamente, parecchie centinaia di persone si radunarono in via Amendola per assistere all’abbattimento del grande serbatoio, l’unico elemento rimasto in piedi dell’Acciaieria del Caleotto a Lecco. Venivano a vederlo morire».
Curiosamente – pensiamo – gli “Appunti” di Borghi e Benini risalenti a quarant’anni prima si concludevano quando invece l’acciaieria, per un secolo simbolo della città, veniva edificata: anno 1896.
E arriviamo a oggi, con l’iniziativa assunta dall’Associazione degli ex alunni del liceo “Manzoni” di Lecco, il liceo classico, che ha affidato ad Angelo Borghi l’incarico di redigere una nuova storia del nostro territorio che, in fase di elaborazione, è andata facendosi sempre più ponderosa: «Man mano che l’opera cresceva – introduce il presidente dell’associazione, Glauco Cogliati - ci si è resi conto, che per renderla compiuta, essa avrebbe assunto connotati inizialmente impensabili quanto a contenuti e dimensioni. Si è quindi ritenuto opportuno dividerla in più parti».
“Lecco e la sua storia”, il titolo dell’opera articolata in tre tomi. Nel settembre 2019 è uscito dalla “Cattaneo Paolo Grafiche” il primo volume (“Dalle origini al dominio visconteo”, 494 pagine). Dovrebbe essere imminente la pubblicazione del secondo.
«L’operazione di tentare la ricostruzione della vicenda storica di una città e del suo intorno – premette Borghi - è condizionata da numerosi fattori e inevitabilmente discutibile. Oggi pensiamo a Lecco come alla città che si è istituzionalmente forata fra il 1923 e il 1928, quando comuni diversi erano stati unificati in quella che si diceva “la grande Lecco”. Le ragioni di allora, sostanzialmente politiche, conoscevano in verità diversi elementi di unità ed insieme alcuni elementi di disomogeneità. Malgrado l’intensa urbanizzazione della conca, si mantengono in alcune aree individualità marcate che distanziano dal centro cittadino». L’autore conclude: «Si tenterà quindi di ripercorrere i tempi, utilizzando la quantità di informazioni sparse in molti studi, quanto rimasto della fisionomia degli abitati e nei diversi archivi. Un tentativo ovviamente modesto, rispetto a quanto si intravede, discutibile nelle interpretazioni, speranzoso nell’orientare le generazioni moderne a conoscere per decidere un futuro del territorio, ancora incerto e sicuramente ricco di insidie».
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Dario Cercek