SCAFFALE LECCHESE/25: la storia della città nelle immagini dell'architetto Cereghini
Era una maniera di indicare un percorso storico per la nostra città, seguendo tracce più artistiche che politiche. Scelta forse inevitabile, se l'autore è per professione architetto di spessore e fama, ma anche, per passione, pittore talentuoso: Mario Cereghini, nato nel 1903 e morto nel 1966. Fu l'architetto che progettò, tanto per citare un paio di opere locali, il palazzo di giustizia di Lecco e la geniale chiesa degli alpini ai Piani delle Betulle sopra Margno.
Il "percorso storico" è il libro "Immagini di Lecco nei secoli" pubblicato nel 1965 con l'editore milanese Signorelli e ristampato poi nel 1971 con la casa editrice lecchese Stefanoni, pur mantenendo la medesima veste grafica fin dalla copertina. Volume ormai di oltre mezzo secolo fa e per certi versi superato, oltre duecento pagine di fotografie in bianco e nero a dare un fascino quasi retrò, ma volume che si sfoglia ancora con piacere e interesse.
L'architetto Mario Cereghini davanti alla chiesa delle Betulle
Quanto avvenuto negli anni e nei decenni seguenti depone diversamente: molto del nostro passato è stato messo a fuoco, a quei quesiti è stata data riposta. E' pur vero che «una vera storia di Lecco» sia rimasta ancora a lungo senza compilatore: lacuna colmata soltanto negli ultimi recentissimi anni (avremo modo di parlarne).
Un omett di via Bovara
Si comincia quindi dall'aspetto geografico: «I veri protagonisti del nostro paesaggio urbano sono le montagne e il lago: all'uomo primitivo questa vasta conca circondata da monti strani e così diversi l'uno dall'altro deve essere apparsa come un incanto». Poi, il viaggio prosegue lungo il corso del tempo, destreggiandosi tra storia e leggenda, con lo sguardo rivolto a reperti conservati nei palazzi, nelle strade o nei musei, ma anche quadri che raffigurano un presente o un passato: per la leggenda del Barro, per esempio, l'immagine scelta è un quadro del 1932 di Orlando Sora.
Orlando Sora, leggenda del Barro 1932
La guida ci conduce lungo il Medioevo: i vecchi muri a secco, le bifore di San Nicolò, Azzone Visconti con il serpente di famiglia, il borgo murato, il castello, la torre.
Colle di Santo Stefano
In questa sede, non seguiremo pedissequamente l'itinerario indicato da Cereghini, lasciando che sia il lettore a fare tappa dove l'autore indica e a soffermarsi sulle singole opere, alcune delle quali appartenenti a collezioni private che a volte conservano anche affreschi "dispersi", come un Redentore proveniente dall'ex convento di San Giacomo a Castello, e altre collocate nelle nostre chiese senza che ci si faccia caso: i polittici di Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari a Maggianico o la Natività di Palma il Vecchio ad Acquate .
Alberto d'Italia sul lungolago nel 1856
Il "percorso procede per secoli, facendoci incontrare il Medeghino e Leonardo, consultare la cartografia cinquecentesca o indagare le origini dell'industria, mentre un capitolo intero è dedicato alla casa di Alessandro Manzoni al Caleotto e un altro ha per titolo "Su e giù per via Bovara e altri luoghi": una passeggiata tra portoni, balconcini, statue e i celeberrimi e simpatici "umett". Passando per l'Ottocento con il borgo che diventa finalmente città, si approda infine infine al Novecento rappresentato dal campanile di San Nicolò completato nel 1902, da una Pescarenico dipinta nel 1904 ed esposta a Venezia, dal monumento ai Caduti sul lungolago, dalle statue di Antonio Stoppani e di Mario Cermenati, dai paesaggi di Ugo Bernasconi, Raffaele De Grada e Umberto Lilloni.
Lo scomparso soffitto di via Mascari
La conclusione potrebbe apparire immodesta visto che Cereghini si autocita, trascurando colleghi suoi contemporanei che magari un piccolo tributo avrebbero meritato e dedicando le ultime immagini del volume a proprie opere. A cominciare dal piano regolatore del centro cittadino redatto nel 1937, quello che prevedeva i famosi edifici a gradoni, progetto ambizioso, controverso e travagliato: Cereghini l'aveva presentato d'accordo con il podestà Dino Cima, ma ci fu la fronda degli altri architetti e ingegneri che chiedevano un regolare concorso. Finì che non se ne fece niente (venne realizzata la sola piazza degli Affari) e ancora oggi si dibatte se si trattò di un'altra grande occasione persa per la nostra città o non invece di uno scongiurato sventramento del centro storico
Progetto piano regolatore 1937
.Chiude il trittico, proprio il palazzo di giustizia. A riportarci ai giorni nostri, quando la struttura attende interventi di ristrutturazione dopo anni caratterizzati da polemiche politiche e vicissitudini burocratiche: la costante di qualsiasi opera pubblica in cantiere nel nostro Paese.
Dario Cercek