SCAFFALE LECCHESE/24: sorvolo della Brianza in mongolfiera con Santucci, Cima e... 'ol Picch'

«Dovevano essere poche pagine, buttate giù per commentare una raccolta di disegni “brianzoli” del pittore Camillo Cima. Voleva essere un semplice omaggio che Luigi Santucci, genero devoto dell’artista, intendeva offrire al suocero già nonagenario, prima della sua inevitabile scomparsa». Così, Guglielmo Zucconi introduceva nel 1981 “Brianza in mongolfiera”, il diario di un viaggio singolare nei cieli briantei, romanzo uscito quell’anno (“Brianza e altri amori”) dall’editore Rusconi.
Nel 1981, quando intraprende il singolar viaggio, lo scrittore milanese, “milanesissimo”, era – diciamo così – nel mezzo del cammin della sua carriera letteraria. Nato nel 1918, già aveva pubblicato quel capolavoro indiscusso che è “Il velocifero”, ma – per quanto riguarda i nostri luoghi lariani - anche la surreale danza macabra del “Mandragolo” bellagino.

Luigi Santucci

“Brianza in mongolfiera”, quindi, prende forma per caso e si trasforma in un’autentica dichiarazione d’amore per la Brianza. Un amore un po’ malinconico, ma non ancora disperato per quanto lo scrittore si sia scelto un compagno di viaggio del tutto particolare, secondo cui questa terra «l’è tütta de sbatt via. Bisugnaria dagh foeuc…».
Quel romanzo di ormai quarant’anni fa torna ora nelle librerie grazie alla Meravigli Edizioni, casa specializzata in pubblicazioni milanesi (184 pagine, 15 euro). Lo scritto di Santucci è corredato proprio dai disegni del suocero Camillo Cima che ne furono appunto la scintilla: Oriano, Cernusco, Bosisio, Lasnigo, Monza, Civate, Imbersago e altri luoghi, complessivamente una cinquantina di scorci.

La copertina del 1981 e quella del 2020

Il viaggio, si sarà capito, è il sorvolo della Brianza a bordo della mongolfiera “Teodolinda” da parte del narratore e del suo curioso personaggio: “ol Picch”, quasi un folletto, uso a travestirsi in mille modi per sfuggire ai “Barbarussa”, uno che sembra esserci sempre stato, aver vissuto tutti i tempi, scrigno di segreti e pettegolezzi brianzoli, mitragliere di bestemmie, osservante di una religione imprecisata, forse rimasta ai tempi dell’arianesimo e come unica autorità davvero riconosciuta il San Miro, che i popolani ormai dissacrano tra prosciutti e polente di plastica, in una sagra a uso e consumo della televisione. Insomma, il Picch altro non sarebbe che lo spirito del luogo, l’anima della Brianza.
I due, il narratore e un Picch travestito da spaventapasseri, fanno conoscenza a Montevecchia, dove «all’ex osteria (ora ristorante) dell’(ex!ex!) Carlambroeus» ci dan dentro mica male, a bottiglie. Ed è nei vapori del “pincianell” che il nostro folletto si lascia prendere la mano: «L’hann fada foeura, l’hann mazzada. Purscèj farabütt che Dio i stramaledissa tücc… Va’, ’me l’hann cunsciada. ’Na rüera… L’acqua di noster lagh la fa schivi, i pess hinn mort denter, l’aria prest l’ha gh’ha pü un zicc de ussigen. Hann faa i cundumìni, hann faa i risturant, duve gh’era i bej cassìn e i bej crott…E te mazzen in süi strad, e la nott anca se te vett minga foeura te vegnen a mazzà in cà. O Teodolinda, duve ta set? O Gesù Crist, turna in la tua Brianza…». E giù una bestemmia, prima dell’irrompere nel locale di un gruppo di giovani all’assalto del juke-box (c’erano ancora) che si mette a sparare una musica rock che scuote il Picch: «Hinn lur…. O Maria Santa, stanott me mazzen».
I due decidono così di andare alla ricerca di una Brianza perduta, sorvolandola perché si vede meglio il paesaggio e nel contempo si vede peggio il traffico.

Il Mausoleo Visconti a Cassago e il loggiato di Cernusco

Recuperata la vecchia mongolfiera nella soffitta di una cascina di Tornago che per lo scrittore deve rappresentare qualcosa di personalmente memorabile, prende il via l’insolita crociera. Che è un volare tra storia e leggenda, senza particolare rotta se non il ghiribizzo. E infatti non è una guida, quella che compone Santucci, ma una sorta di poesia. Si respira il rimpianto di una Brianza perduta o che va perdendosi. Ed era una quarantina d’anni fa: Santucci non c’è più da una ventina (è morto nel 1999) e il paesaggio gli apparirebbe oggi probabilmente ancora più struggente, perduto quel suo verde particolare, «quella tinta pampineo-cilestra per cui certi architetti arredatori milanesi, proponendo d’aggiungere su una parete troppo squallida qualche tralcio di glicine o di vite del Canadà, usano la scherzosa metonimia “mettiamoci un po’ di Brianza”».
Lo sguardo nei nostri “sorvolatori” spazia tra le varie Brianze, quella lecchese e quella comasca nonché quella allora ancora tutta milanese che comprende anche Monza, secondo i confini imprecisati di questa plaga (un fazzoletto di terra – leggiamo - la cui superficie in pochi secoli si è decuplicata).

Il santuario di Montevecchia e il disegno "ritorno dai campi"

Spostandosi tra le nubi cangianti e di volta in volta somiglianti a femminelle vergini e pudibonde, a culle, a fiaschi, a vecchi parroci di campagna, a formaggelle soffici e a buon mercato, la mongolfiera sfila sopra ville, castelli, colli, fiumi, rogge, laghi, sulla gaddiana Brianza “pastrufraziana”, ma anche sulle fabbriche e sulle ciminiere dei “cumenda”, sulle strade intasate dai «turisti dello scappamento aperto e dei “vuoti” di Coca cola», sui casermoni.  
Sfila sul mausoleo Visconti di Cassago, un tempo abitato da un fantasma «alto tre metri e con occhi fosforescenti», sopra la casa dell’abate Giuseppe Parini a Bosisio («Un menaturrun…Quell là el s’è faa pret per intascò ol lascito de la sua zia»), sopra i colli di Galbiate per il celeberrimo eco della Brianza (gridando a turno, ma ol Picch si divertiva «con estemporanee puttanate, oscene confidenze sulla Brianza cochon, espressioni di cui non capivo il senso ma che intuivo turpiloqui»), sopra i luoghi degli amori brianzoli (di Vincenzo Monti, di Ugo Foscolo, dello Stendhal) compresi quelli dalla Giulia Beccaria che a Canzo incontrava il suo Giovanni Verri, mentre al piccolo Alessandro Manzoni toccava aspettare immalinconito: quale lavacro di questi peccati materni e di altri suoi («Te’l savarett anca tì ch’el gh’ha faa fa un fioeu a una serva scià de Brianza») «aveva poi sentito il bisogno di blindar di verginità pudori e rossori (e frigidità, come gli è stato rinfacciato) la sua brianzola d’inchiostro», la Lucia Mondella.

Madonna del Bosco a Imbersago e l'Adda a Brivio

La mongolfiera sfila su Monza e sul convento famigerato. Sfila sulla Brivio dei fratelli Cantù (come un Vangelo: «In principio era Ignazio e Ignazio era presso Cesare e Cesare era Ignazio e Cesareignazio si fece Brianza»). Sfila sulle trattorie amate come lo storico “Negri” di Pusiano, con l’incanto del celebre risotto col pesce persico gustato sulla balconata affacciata sul lago. Sfila sulle osterie antiche dove lo strazio sono i vecchi arredi di legno che lasciano il posto alla formica e all’acciaio dei nuovi banconi da bar. Sfila sui santuari: la Madonna della Noce di Inverigo, la Rocchetta di Airuno, il Ghisallo, la Madonna del Bosco, col timore di imbattersi davvero nella Madonna per sentirsi dire: «Lo sai, vero, che quelle son tutte leggende? Ma tu fa finta di crederci, non dare scandalo ai pusilli. La pover Brianza è già tanto sgangherata e triste che guai se le togliessimo queste fiabe» Concludendo: «Un po’ di bigottismo fa forse male?». Va ricordato che Santucci fu definito uno scrittore cattolico militante, etichetta che non gli aggradava, replicando con un «cattolico sì, ma del dissenso»; del resto frequentava, tra gli altri, personaggi come Davide Maria Turoldo o Primo Mazzolari, ça va sans dire.
La trasvolata giunge ai tempi moderni, ai tempi del trapianto mafioso in Brianza, all’epoca dei rapimenti (erano proprio quegli anni in cui Santucci scriveva): i sequestri a Barzago di Cesare Spinelli, 13 anni nel 1978; a Lecco di Elena Corti, 12 anni nel 1978; a Olginate dell’industriale Giovanni Stucchi nel 1974; ad Airuno dell’industriale Francesco Sella nel 1977; a Eupilio della studentessa diciottenne Cristina Mazzotti, nel 1975.
Non andiamo oltre, lasciando che siano i lettori a scoprire cento e altre storie, arrivando al finale con una riflessione tutta personale sul significato di Brianza e sulla morte. A coronamento, una sorta di trionfo per ol Picch, in fuga dai nuovi barbari per vera Brianza ancora incontaminata che ritroverà lassù.
Dario Cercek
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