In viaggio a tempo indeterminato/155: non volevo fare l'astronauta

Da bambina volevo fare la ballerina.
Era uno di quei sogni irraggiungibili e per fortuna ho capito subito non facesse proprio per me.
La coordinazione non è mai stata il mio forte e con il tutù non è che stessi molto bene.
Paolo, ad esempio, sognava di fare la rock star e il suo sogno, a differenza mia, l’ha portato avanti anche da adulto suonando la chitarra in una band.
Tutti da bambini abbiamo sognato di diventare grandi e trasformarci chi in un calciatore, chi in un archeologo, chi in un cameriere o in un dottore.
L’altra sera, mentre eravamo seduti a guardare l’orizzonte in attesa che si illuminasse, vedere due bambini con le tute arancioni degli astronauti mi ha ricordato il mio sogno di fare la ballerina.
Erano lì, sul pontile, che saltellavano e ridevano felici.
Come noi e tutte le altre persone quella sera, stavano aspettando che succedesse qualcosa.
Chissà che emozione particolare devono aver provato quei bambini quando il conto alla rovescia è finito e il cielo si è illuminato a giorno.
Un rumore sordo, seguito dagli “Wow” “Amazing!” “Oh my God!” dei presenti.
Gli adulti urlavano, battevano le mani, indicavano quella luce.
I bambini, invece, stavano lì, con lo sguardo fisso al cielo e le bocche spalancate.
Non posso immaginare cosa abbiano provato in quel momento.
Sognare di fare l’astronauta e ritrovarsi ad osservare un razzo che porta nello spazio quattro persone e chissà, magari immaginare un giorno di essere anche loro lassù.

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Devo ammettere che è stato impossibile per chiunque trattenere l’emozione davanti a quella che sembrava una stella partita da terra anziché scesa dal cielo.
Persino Paolo, che non ha mai trovato particolarmente interessante ciò che fosse collegato alle missioni spaziali, quella sera si è ricreduto e finito il lancio, ci siamo messi insieme a guardare la diretta live dal sito della Nasa.
Io, invece, avevo iniziato a provare una strana sensazione giorni prima, fin da quando avevamo letto che il lancio di SpaceX sarebbe stato proprio nei giorni in cui ci saremmo trovati in Florida.
Non ho mai sognato di fare l’astronauta. Mi mette ansia salire su un aereo, figuriamoci l’idea di venire sparata nello spazio.
Ma nei giorni prima di arrivare a Cape Canaveral, sdraiata su una delle spiagge della Florida del nord,  mi immaginavo il vortice di emozioni che stavano provando gli astronauti.
Sapere poi che tra di loro ci fosse una donna, ha aumentato di molto il mio livello di empatia nei confronti di quei quattro viaggiatori.
In quel momento, in quel conto alla rovescia, si raccoglievano anni e anni di lavoro, di sacrifici, di impegno fatto per realizzare quello che magari era il loro sogno da bambini: fare gli astronauti ed andare nello spazio.



E così, decisamente per caso e senza averlo affatto programmato, io e Paolo quella sera a Cape Canaveral, ci siamo trovati ad essere gli spettatori di un pezzetto di storia.
Il razzo lanciato nello spazio è stato costruito dall’azienda SpaceX del famoso Elon Musk per conto della Nasa.
Questo segna l’inzio di una nuova epoca fatta di lanci che partiranno con una maggiore regolarità dal suolo americano e che in un futuro non troppo lontano, porteranno l’uomo a spostarsi in modo più semplice dalla terra allo spazio.
«Vuoi svegliarti la mattina e pensare che il futuro sarà fantastico - e questo è ciò che significa essere una civiltà che viaggia nello spazio. Si tratta di credere nel futuro e pensare che il futuro sarà migliore del passato. E non riesco a pensare a niente di più eccitante che andare là fuori ed essere tra le stelle.» ha dichiarato Elon Musk che magari da bambino non sognava di fare l’astronauta ma di vivere nello spazio forse sì.

Assistere in diretta a questo pezzetto di storia è stato emozionante e mi ha portato anche a farmi tante domande.
Alcune più profonde, del tipo “ci andrò mai io nello spazio?” o “chissà cosa si prova a guardare la terra da lontano”.
Altre, invece, decisamente più pratiche come “ma non gli si tapperanno le orecchie quando parte il razzo?” o “ma se non c’è la forza di gravità, come faranno a fare la pipì?”
E in quell’istante, proprio mentre pronunciavo l’ultima i accentata, mi sono resa conto che è esattamente la stessa domanda che ci fanno da quando abbiamo deciso di vivere viaggiando su una vecchia macchina rossa.
Certo, magari nessuno ha mai pensato fosse la gravità il problema nel nostro caso.
Ma alla fine, anche nelle imprese più epiche come volare nello spazio, sono le piccole azioni quotidiane ad attirare la curiosità e l’attenzione. O meglio, quello che affascina di più è scoprire come vengono soddisfatti i bisogni basilari di mangiare, dormire o andare al bagno, in situazioni assurde come un viaggio nello spazio o un road trip.
No, non sto paragonando la missione degli astronauti al nostro viaggio, anche se forse qualcosa in comune ce l’hanno.
C’è chi da bambina sogna di fare la ballerina, chi il cantante, chi il dottore, chi l’astronauta e chi, invece, sogna di viaggiare ed esplorare il mondo.

PS: gli astronauti per fare pipì utilizzano una specie di tubo che la aspira e la invia in una macchina che provvede a riciclarla in acqua potabile. Per noi, invece, è sufficiente trovare un bagno pubblico!
Angela e Paolo
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