SCAFFALE LECCHESE/20: l'Ercole in miniatura dell'alpinismo, la storia di 'Ruchin' Esposito

Ci sono alpinisti che hanno lasciato firme importanti  nel loro tempo per finire poi dimenticati, almeno dal grande pubblico. Finché qualcuno tira fuori dall’ombra una storia che, ad ascoltarla, quasi ci si stupisce possa essere rimasta così a lungo nel silenzio.
E’ il caso del “Ruchin”, soprannome di Ercole Esposito, al quale è intitolata la sezione di Calolziocorte del Cai. Fu proprio per iniziativa dell’associazione alpinistica calolziese che, oltre una ventina d’anni fa, vide la luce il libro “Ruchin. Storia di un piccolo grande alpinista”, un’accurata biografia alla quale lavorarono Alberto Benini e Ruggero Meles, bibliotecario e storico il primo, maestro elementare e giornalista il secondo, ma soprattutto grandi appassionati di montagna e conoscitori delle nostre vicende alpinistiche, entrambi con altre pubblicazioni nel loro catalogo.

La copertina del volume

E allora, eccolo qua, il Ruchin, definito un fuoriclasse dell’arrampicata, protagonista di molte ascese tra gli anni Trenta e la prima metà dei Quaranta del secolo scorso, primo bergamasco (all’epoca la provincia lecchese era di là da venire) a far parte degli accademici del Cai. Nemmeno un metro e mezzo di altezza, sopperiva ai centimetri mancanti con un’agibilità incredibile, grazie ai 45 chili di peso: «Il fisico minuscolo non l’avrà favorito in molte cose, ma due doni grandi glieli ha senz’altro fatti: gli ha evitato il servizio militare e gli ha regalato un’agilità felina che avrebbe certamente dato i suoi frutti nell’epoca del free-climbing e delle gare di arrampicata. Ma ciascuno vive il tempo che gli è toccato in sorte ed eccoci qui a parlare dell’Ercole alpinista».
«Ruchin era piccolo e non era bello – il racconto della moglie di Emilio Galli, compagno di tante scalate - ma quando cominciava a parlare nessuno ricordava più la sua statura e ci si dimenticava che non era bello». Quando cominciava a parlare. E quando cominciava a scalare. «A quest’Ercole in miniatura han dovuto cedere titani e giganti veramente tali. (…) Io non credo che siano molti, oggi in Italia, coloro che nel regno del puro VI grado gli possano stare alla pari»: così scriveva nel 1942 Italo Neri, «impiegato con slanci di poeta e cuore di umanista», addetto stampa del Cai calolziese e corrispondente per l’Eco di Bergamo.

Ercole Esposito. A destra, guida alla mano, davanti alla punta Fiorelli in Val Masino

Di Neri, il libro riporta integrali diversi articoli dallo stile «un po’ impregnato di retorica, ma se si vanno a verificare i brani di celebri scrittori di quegli anni vi si ritrova lo stesso difetto: colpa dell’atmosfera generale». Testimonianza anch’essa, dunque, di un’epoca nella quale «questo sport, che sta diventando popolare, e che già ha dato i suoi frutti, dà anche, a coloro che lo praticano un’impronta speciale: serietà e fermezza di carattere» (Neri, Eco di Bergamo, 2 settembre 1939).
Breve la vita di Esposito: nasce il 30 marzo 1914 a Calolziocorte; muore, assieme a due compagni di cordata, il 23 settembre 1945 al Sassolungo nelle Dolomiti.
Si sa poco dei suoi primi passi in parete, mentre lavorava come operaio all’Alfa Romeo. Poi, spunta per il biennio 1939-1940 «una testimonianza straordinaria pur nella sua concisione, straordinaria soprattutto perché era molto raro che un giovane alpinista, per di più di estrazione operaia, tenesse un resoconto della sua attività in montagna. Due fogli “rubati” a un registro scolastico ci permettono di ricostruire, domenica dopo domenica, l’attività di Ercole e dei suoi compagni e aprono uno spaccato importante non solo sulle grandi salite, quelle che fanno notizia, ma sugli allenamenti, sulle gite, insomma sull’attività alpinistica di quegli anni».
A conti fatti, dunque, l’attività del “piccolo grande alpinista” si dispiega in una manciata di anni che sono, poi quelli della seconda guerra mondiale. Con tutto quanto significa, anche semplicemente per le difficoltà dello spostarsi da una località all’altra.

La prima notizia certa sulla sua attività è del 29 agosto 1939, quando, assieme a Gino Valsecchi, traccia una via sul Torrione Cinquantenario, in Grignetta: «Una via di cui si sono perse le tracce, ma che risulta intitolata a Lucia, la gestrice del prospiciente Rifugio Rosalba».
Nello stesso 1939, una via tracciata sullo spigolo Ovest del Fungo che sarà ripetuta soltanto dopo trent’anni e passa.
Il 2 giugno 1940 «un’impresa che desta scalpore negli ambienti alpinistici»: la ripetizione, mai riuscita ad altri, della via aperta nel 1933 da Mario Dell’Oro, il celebre Boga. «Pare che il Boga ad apprendere la notizia non sia stato per nulla contento: erano pochi gli alpinisti che manifestavano apprezzamento per i giovani, e naturalmente quando più una via restava senza ripetizioni, tato più il suo valore cresceva».

Per le strade di Lecco con la fidanzata Eva e Emulio Galli con la futura moglie Adalgisa

Ruchin ha come miti Emilio Comici e Riccardo Cassin, del quale cerca di ripetere tutte le vie aperte nelle Grigne. Le ascensioni si susseguono in Grigna, sul Resegone, sui Torrioni di Rialba e fuori dal cortile di casa: nelle Dolomiti, sulla Presolana, al Badile, al Disgrazia. Nel 1944 viene accolto tra gli accademici del Cai.  Ma non è questa, naturalmente, la sede per elencare le imprese di Ruchin (stanno tutte nel libro). Il racconto nostro arriva invece al tragico finale.
Settembre 1945, la guerra è finita da qualche mese. Siamo nelle Dolomiti dove Ruchin è stato invitato per una vacanza – quale ringraziamento per la serie di arrampicate in Grignetta - da Bruno Ceschina, esponente di «una delle più ricche famiglie milanesi, una fortuna enorme accumulata dal padre e consolidata dai figli con un’industria farmaceutica catene di alberghi, una fiorente casa editrice. Con loro c’è anche Gino Valsecchi, inseparabile compagno di cordata di Esposito. L’invito era anche per Emilio Galli, costretto a declinare per problemi di lavoro.
Ruchin si ricorda un vecchio conto in sospeso con il Campanile Italo Balbo, più conosciuto come Salame del Sassolungo: la ripetizione della via aperta da Emilio Comici e da Severino Casara sulla parete Nord.

Valsecchi, Esposito e Ceschina. Sullo sfondo la parete teatro della tragedia del 23 settembre '45

«Esposito e compagni sono sempre stati tra i primi a sperimentare nuove tecniche e nuovi materiali. Un esempio per tutti, il cinturone che indossano e che può essere considerato un’anticipazione dell’imbracatura». E in quel mese di settembre, Ruchin, Ceschina e Valsecchi «portano con sé le corde rosse di teflon e nylon che avranno un ruolo molto importante nella tragedia»: pare che lo stesso Bruno Ceschina le avesse fatte preparare in una delle sue fabbriche dopo averle viste utilizzate dai soldati americani.
Alle 3 del mattino del 23 settembre, lasciano l’albergo e vanno all’assalto. «Il temporale che preannuncia l’arrivo di una forte perturbazione li coglie nel pomeriggio già alti sulla parete. Probabilmente nel tentativo di preparare un bivacco o per qualche altro motivo sconosciuto Ruchin cade e precipita fino alla base della parete centinaia di metri più in basso».
La corda si era spezzata. Emilio Galli racconterà a Benini e Meles che quelle corde le aveva già utilizzate con Ruchin «e che avevano ben presto individuato il difetto che si sarebbe rivelato fatale: le corde reggevano benissimo lo strappo ma non lo sfregamento, l’attrito sulle rocce logorava e spezzava facilmente i trefoli ad uno ad uno». Un pezzo della corda di Ercole sarà conservata al Cai di Calolziocorte: «A prenderla in mano ancora oggi non si può fare a meno di rabbrividire».
Gino Valsecchi e Bruno Ceschina bivaccano dopo essere riusciti fortunosamente a raggiungerne la base. Nella notte tra il 23 e il 24 continua il cattivo tempo, la neve ricopre il corpo di Ruchin e rende fatale ai suoi compagni la discesa del canale che li separa dagli ultimi alpeggi. Il giorno dopo, le famose guide Vinatzer e Demetz troveranno prima il cadavere di Ercole Esposito, poi, seguendo le tracce nella neve, arriveranno ai corpi degli altri due alpinisti ancora stretti l’uno all’altro nel tentativo di scaldarsi».
Saranno affollati, a Calolziocorte, i funerali di Ruchin e Valsecchi, mentre Ceschina sarà sepolto a Milano. Una tragedia che segna un intero ambiente: i più assidui compagni di cordata di Ruchin  ridurranno la loro attività o decideranno addirittura di abbandonare l’arrampicata.
Dario Cercek
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