Lecco: il 'Biennio rosso' raccontato tra le ex fabbriche dello sciopero metalmeccanico

Revisionismo: occorre. «Perché – spiega Casto Pattarini – si dà per assodato che l’occupazione nelle fabbriche nel 1920 fosse quasi una situazione prerivoluzionaria. In realtà, non fu altro che la mobilitazione dei soli lavoratori metalmeccanici per ottenere un miglior contratto di lavoro. E infatti, quella mobilitazione non coinvolse altri settori e quando fu firmato il contratto l’occupazione terminò».

Casto Pattarini

Occupazione delle fabbriche: fu il culmine del cosiddetto biennio rosso, gli anni 1919 e 1920, due anni di forte protesta operaia, di agitazione, di rivolta. Per certi storici, fu anche quel biennio che impaurì la borghesia gettandola fra le braccia del Fascismo che di lì a poco avrebbe preso il potere.

L'ex Faini

Proprio in questi giorni di settembre, ricorre il centenario dell’occupazione delle fabbriche che ha interessato anche la nostra città. E proprio Casto Pattarini ha avuto l’idea di organizzare un percorso guidato nei luoghi di quella mobilitazione. Toccando i ruderi che rimangono della ex Faini tra la via Parini e la via San Nicolò, la Fiocchi Bottoni in viale Turati (ancora esistente ma passata ad altra proprietà), l’area della ex Badoni in corso Matteotti, area sulla quale rimane quale simbolo solo quell’edificio curiosamente e impropriamente chiamato “Broletto”  per le sue linee architettoniche neogotiche.

L'ex Badoni (con l'edificio chiamato comunemente Broletto)

«Complessivamente – ha raccontato durante la visita guidata lo stesso Pattarini – sono state una dozzina le aziende lecchesi coinvolte nell’occupazione iniziata come in altre parti d’Italia il 2 settembre. Furono coinvolte soprattutto le aziende che facevano corona al centro di Lecco perché erano quelle in cui la classe operaia era meglio organizzata ed era soprattutto “nuova”, rispetto a quella del decollo industriale nel corso dell’Ottocento che vide le fabbriche lecchesi scendere dalla vallata verso il centro perché la ferrovia consentiva maggiori collegamenti ma aveva provocato anche un crollo nel prezzo del carbone. Che diventava così competitivo rispetto all’energia idraulica prodotta dal Gerenzone. E con il carbone si poteva anche pensare a fabbriche più grandi. Infine, va detto che senza le tariffe doganali fissate nel 1887 non ci sarebbe stato lo sviluppo industriale che c’è stato».

Revisionismo, appunto: ci sono precise ragioni economiche dietro al boom industriale della nostra città e quello della tenacia e della laboriosità dei lecchesi è per buona parte un  mito.
L’occupazione della fabbriche fu possibile solo nelle aziende di grandi dimensioni proprio per la maggior organizzazione degli operai, molti reduci dalla Prima guerra mondiale quando avevano imparato a usare le armi e vissuto una forma particolare di aggregazione. E in quei giorni  di settembre del 1920 «giocavano», per dirla con Pattarini, a fare i turni di guardia e a darsi una disciplina quasi militare. L’agitazione ebbe infatti scarso seguito nelle piccole aziende e in campagna, dove il rapporto tra lavoratori e proprietà era completamente differente.

La Fiocchi Bottoni

Una dozzina, come detto, le aziende coinvolte tra il centro di Lecco e Pescarenico: un’occupazione partita contemporaneamente per accordo dei lavoratori in modo di evitare che gli industriali potessero anticipare l’agitazione con una serrata.
L’occupazione durò una ventina di giorni ed ebbe anche momenti drammatici. Poi, con la mediazione del capo del governo Giovanni Giolitti, sindacati e industriali raggiunsero l’accordo: gli operai ottennero aumenti salariali, sette giorni di ferie annui, riduzione dell’orario di lavoro e il pagamento delle stesse giornate di occupazione perché comunque gli operai avevano continuato a produrre.

Il ponte sulla ferrovia in Corso Matteotti

L'ingresso di Villa Badoni

Altri appuntamenti con le visite guidate sono in programma venerdì 11 settembre (in bicilcetta, perché è prevista una puntata a Pescarenico) e venerdì 18 settembre., In entrambi i casi, ritrovo alle 17 sul sagrato della basilica di San Nicolò.
D.C.
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