In viaggio a tempo indeterminato/140: road trip messicano
Giro la chiave.
Si accende.
Era da Novembre che non guidavo una macchina e per fortuna è come andare in bicicletta, una volta imparato non lo dimentichi più.
Gli hotel giganteschi, i supermercati, i semafori con gli altoparlanti, i ristoranti “tacos de pescado” piano piano spariscono e lasciano il posto alle palme e al cielo azzurro.
Svolto a destra, deviazione.
La giungla a lato strada sembra un fitto labirinto.
“Attento un topes!” mi urla Anghela.
Questo proprio non l’avevo visto. I dossi in Messico sono mimetizzati e onnipresenti. Basta non notarne uno per fare un salto.
Rallento giusto in tempo. Due capanne con il tetto di foglie di palma alla mia sinistra, una via sterrata, una cassetta piena di dragon fruit e altre capanne alla mia destra.
“Pa’ fermati compriamo qualche dragon fruit, credo sia stagione perché ho visto camion e camion pieni passare di qui.”
Scendo da Flavia, abbiamo chiamato così la macchina. Il nome del modello è Vento ed è bastato un attimo perché l’appassionato di TV trash anni ‘90 che c’è in me, la collegasse con la famosissima Flavia che se ne stava sotto un tavolo di vetro.
Pochi istanti e arriva una ragazzina, avrà 15 anni. Chiacchiero un po’ con lei e mi confessa di non sapere benissimo lo spagnolo perché da lei si parla maya.
Prendo due pitaya o dragon fruit, dei bellissimi frutti dalla buccia viola che ricorda proprio le squame di un dragone, li passo ad Anghela e ripartiamo.
Questo viaggio in macchina ci serviva proprio, penso mentre Paolo è sceso a comprare quei bellissimi frutti. Avevamo bisogno di vivere quelle sensazioni che solo il viaggio ti dà. Sentirsi come scopritori di luoghi inesplorati, parlare con le persone del posto, osservare ed essere osservati.
Siamo a due ore da Playa del Carmen ma qui i bambini ci guardano con quello sguardo di stupore e meraviglia, lo stesso che mi faceva sciogliere quando eravamo in Asia.
Abbiamo in programma di vedere dei piccoli villaggi famosi per chiese storiche, ma in realtà quello che speriamo di trovare è il Messico dei Maya, delle tradizioni autentiche.
“Pa fermati qui!” gli urlo a un tratto.
“Qui? Perchè?”
Scendo dalla macchina. Non c’è nessuno.
La giungla selvaggia fa da cornice a quella strada che sembra correre verso il nulla.
E ci sono le farfalle, centinaia di farfalle bianche, gialle e arancioni che mi volano attorno.
Passiamo il resto della giornata alla scoperta di piccole chiesette e di pueblitos (villaggetti) dove la vita scorre lenta e tranquilla.
Arriviamo a fine serata, stanchi ma felici, e sistemiamo Flavia per la notte.
Avrà anche un bel nome questa macchina ma quanto è scomoda per dormire.
Oltre al caldo atroce e dei sedili scomodissimi, verso l’una di notte un poliziotto ci è venuto a bussare al finestrino, facendoci prendere un colpo.
Ci eravamo sistemati nel parcheggio di un parchetto ma a quanto pare lì non potevamo stare.
“A due vie da qui c’è un campo di calcio dove potete stare tranquilli e nessuno vi disturberà” ci dice sorridendo il poliziotto.
Ci spostiamo e riusciamo anche a dormire qualche ora, o sarebbe meglio dire che sveniamo per qualche ora quando la stanchezza ha il sopravvento.
Ci svegliamo un po’ indolenziti la mattina ma con un bellissimo programma in mente.
Passare la giornata e la nottata in una bellissima riserva naturale, davanti a un mare cristallino e immersi in una giungla selvaggia.
Peccato non avessimo fatto i conti con la gestione messicana di questa pandemia: riserva naturale chiusa per tutti, tranne per chi ha prenotato un tour o una stanza in uno dei costosi ed esclusivi hotel. Come se il virus non si diffondesse tra chi spende molti soldi per dormire o fare un giro in barca.
Tutti i nostri piani crollano in quell’istante.
Ormai ci stiamo quasi abituando a queste chiusure insensate qui in Messico e di certo nei 950 giorni in viaggio, abbiamo imparato a trovare in fretta un piano B.
E così ci ritroviamo a tuffarci in un cenote “autolavaggio” e a lasciarci dondolare su un amaca con i piedi a mollo nella laguna più spettacolare che abbiamo mai visto.
E’ in questi istanti, nella nuvola di farfalle per strada, nella pitaya dolcissima, nello sguardo curioso di un bambino, in una laguna talmente bella da togliere il fiato, che è racchiuso il motivo per cui abbiamo deciso di fare questa avventura e per cui ne è valsa la pena sempre, in ognuno di questi 950 giorni.
Un abbraccio e buon ferragosto!!
Si accende.
Era da Novembre che non guidavo una macchina e per fortuna è come andare in bicicletta, una volta imparato non lo dimentichi più.
Gli hotel giganteschi, i supermercati, i semafori con gli altoparlanti, i ristoranti “tacos de pescado” piano piano spariscono e lasciano il posto alle palme e al cielo azzurro.
Svolto a destra, deviazione.
La giungla a lato strada sembra un fitto labirinto.
“Attento un topes!” mi urla Anghela.
Questo proprio non l’avevo visto. I dossi in Messico sono mimetizzati e onnipresenti. Basta non notarne uno per fare un salto.
Rallento giusto in tempo. Due capanne con il tetto di foglie di palma alla mia sinistra, una via sterrata, una cassetta piena di dragon fruit e altre capanne alla mia destra.
“Pa’ fermati compriamo qualche dragon fruit, credo sia stagione perché ho visto camion e camion pieni passare di qui.”
Scendo da Flavia, abbiamo chiamato così la macchina. Il nome del modello è Vento ed è bastato un attimo perché l’appassionato di TV trash anni ‘90 che c’è in me, la collegasse con la famosissima Flavia che se ne stava sotto un tavolo di vetro.
Pochi istanti e arriva una ragazzina, avrà 15 anni. Chiacchiero un po’ con lei e mi confessa di non sapere benissimo lo spagnolo perché da lei si parla maya.
Prendo due pitaya o dragon fruit, dei bellissimi frutti dalla buccia viola che ricorda proprio le squame di un dragone, li passo ad Anghela e ripartiamo.
VIDEO:
Questo viaggio in macchina ci serviva proprio, penso mentre Paolo è sceso a comprare quei bellissimi frutti. Avevamo bisogno di vivere quelle sensazioni che solo il viaggio ti dà. Sentirsi come scopritori di luoghi inesplorati, parlare con le persone del posto, osservare ed essere osservati.
Siamo a due ore da Playa del Carmen ma qui i bambini ci guardano con quello sguardo di stupore e meraviglia, lo stesso che mi faceva sciogliere quando eravamo in Asia.
Abbiamo in programma di vedere dei piccoli villaggi famosi per chiese storiche, ma in realtà quello che speriamo di trovare è il Messico dei Maya, delle tradizioni autentiche.
“Pa fermati qui!” gli urlo a un tratto.
“Qui? Perchè?”
Scendo dalla macchina. Non c’è nessuno.
La giungla selvaggia fa da cornice a quella strada che sembra correre verso il nulla.
E ci sono le farfalle, centinaia di farfalle bianche, gialle e arancioni che mi volano attorno.
Passiamo il resto della giornata alla scoperta di piccole chiesette e di pueblitos (villaggetti) dove la vita scorre lenta e tranquilla.
Arriviamo a fine serata, stanchi ma felici, e sistemiamo Flavia per la notte.
Avrà anche un bel nome questa macchina ma quanto è scomoda per dormire.
Oltre al caldo atroce e dei sedili scomodissimi, verso l’una di notte un poliziotto ci è venuto a bussare al finestrino, facendoci prendere un colpo.
Ci eravamo sistemati nel parcheggio di un parchetto ma a quanto pare lì non potevamo stare.
“A due vie da qui c’è un campo di calcio dove potete stare tranquilli e nessuno vi disturberà” ci dice sorridendo il poliziotto.
Ci spostiamo e riusciamo anche a dormire qualche ora, o sarebbe meglio dire che sveniamo per qualche ora quando la stanchezza ha il sopravvento.
Ci svegliamo un po’ indolenziti la mattina ma con un bellissimo programma in mente.
Passare la giornata e la nottata in una bellissima riserva naturale, davanti a un mare cristallino e immersi in una giungla selvaggia.
Peccato non avessimo fatto i conti con la gestione messicana di questa pandemia: riserva naturale chiusa per tutti, tranne per chi ha prenotato un tour o una stanza in uno dei costosi ed esclusivi hotel. Come se il virus non si diffondesse tra chi spende molti soldi per dormire o fare un giro in barca.
Tutti i nostri piani crollano in quell’istante.
Ormai ci stiamo quasi abituando a queste chiusure insensate qui in Messico e di certo nei 950 giorni in viaggio, abbiamo imparato a trovare in fretta un piano B.
VIDEO:
E così ci ritroviamo a tuffarci in un cenote “autolavaggio” e a lasciarci dondolare su un amaca con i piedi a mollo nella laguna più spettacolare che abbiamo mai visto.
E’ in questi istanti, nella nuvola di farfalle per strada, nella pitaya dolcissima, nello sguardo curioso di un bambino, in una laguna talmente bella da togliere il fiato, che è racchiuso il motivo per cui abbiamo deciso di fare questa avventura e per cui ne è valsa la pena sempre, in ognuno di questi 950 giorni.
Un abbraccio e buon ferragosto!!
Angela & Paolo