In viaggio a tempo indeterminato/134: l'altra faccia, a Playa

Viaggiare ai tempi di una pandemia mondiale.
Questo nuovo capitolo della nostra avventura lo chiameremo così, anche se, a dire il vero, non possiamo proprio parlare di viaggiare o almeno non come lo intendevamo prima.
Ci siamo spostati dalla piccola e claustrofobica Bacalar. Lo abbiamo fatto prendendo dei minivan ma indossando le mascherine per 4 ore di fila.
In passato, ci saremmo fermati in varie tappe sul tragitto, due giorni qui, due là, una notte in tenda, un pranzo al mercado municipal.
Ora, invece, è tutto diverso, tutto ancora più lento e “statico”.
Sì, parlare di un viaggio statico sembra assurdo e invece è proprio così.
Abbiamo deciso di tenere una base di appoggio fissa e da qui spostarci a visitare i dintorni con calma, in sicurezza e quando sarà possibile.
La nostra base ora è la famosa Playa del Carmen.



Playa del Carmen è uno di quei posti che basta nominare per pensare subito alle vacanze, al mare, alla tequila da bere in spiaggia.
L’antico nome della città è Xaman-Ha che significa “luogo dove sorgono le acque del nord”. Da qui i Maya partivano con le loro imbarcazioni per andare a rendere omaggio alla dea della fertilità, sull’isola di Cozumel, proprio di fronte alla costa.
Visto che eravamo “in zona” da ormai più di 100 giorni, venire a dare un’occhiata a questa cittadina ci sembrava il minimo.
Così appena i trasporti hanno ripreso a viaggiare e le restrizioni si sono un po’ allentate, siamo partiti.
Come sapete eravamo in dubbio se rientrare in Italia o continuare ad aspettare e vedere come si sarebbe evoluta la situazione.
Poi un giorno ci siamo guardati e ci siamo detti “siamo a due passi dai Caraibi e saremmo stupidi a non andarci!”.
Stiamo parlando del Mar dei Caraibi.
Sì, lo so. Mar dei Caraibi è uguale a spiagge bianche, acque cristalline e affascinanti pirati tatuati con lunghi capelli.
Potevamo perderci l’occasione di provare a fare un bagno in queste acque leggendarie?
Decisamente no e quindi eccoci a Playa.



Dobbiamo essere sinceri, le nostre aspettative prima di arrivarci, escludendo pirati e mare da sogno, non erano molto alte.
Eravamo convinti che ci saremmo trovati davanti una città piena di grattacieli che coprono la vista del mare, con locali di musica alta che nascondono il rumore delle onde e ristoranti di cucine da tutto il mondo tranne che dal Messico.
E, invece, per fortuna non è andata così.
Certo, Playa del Carmen è un luogo molto turistico, dove vive un’enorme comunità italiana ma, c’è un ma…
Prima di tutto, non c’è traccia di palazzoni di trenta piani. Nella zona centrale e vicino al mare, gli edifici sono tutti piuttosto bassi ed abbelliti con moltissimi murales colorati. Le attività locali si mischiano con le immancabili catene americane, i mariachi che cantano con le ultime canzoni pop che escono dalle casse dei bar mezzi vuoti.
E poi ci sono zone di Playa che di turistico hanno pochissimo. Sono quelle frequentate dalle persone del posto, con i ristoranti che vendono menù completi a 1 o 2€, polli arrostiti alla brace, frutta locale e tortillas fatte a mano.
Le aree dove si tengono i mercati di vestiti usati la domenica e dove non ci sono supermercati ma piccole “tiendita” (botteghe).
Queste zone della città hanno quel fascino un po’ decadente e autentico, che amiamo scoprire nel nostro viaggio.
Sono l’altra faccia della medaglia di una città turistica e cosmopolita come Playa del Carmen.
Non solo la città, ma anche la spiaggia sembra avere due lati contrapposti.
La sabbia bianchissima che sembra borotalco, l’acqua del mare verde, azzurra, blu e mille altre tonalità, le onde basse, la salsedine.
E poi loro, l’incubo di ogni vacanziere della zona: le alghe.



Dopo l’ultima tempesta che più di due settimane fa ha colpito questa zona, le paradisiache spiagge da cartolina si sono ricoperte di sargasso.
Si tratta di alghe marroncine che vivono sui fondali in queste zone e che per particolari fattori climatici arrivano a riversarsi sulle spiagge in quantità enorme.
Il surriscaldamento globale e l’innalzamento delle acque sta contribuendo a far peggiorare la situazione di anno in anno.
La prima “invasione” di sargasso in queste zone si sarebbe registrata nel 2005 e da allora, in alcuni periodi, la situazione si ripresenta.
Per entrare in mare, quindi, si deve superare questo strato di alghe che hanno anche un odore poco piacevole. Ma basta fare pochi metri da riva per nuotare in acqua limpide e chiare.
Spostarsi ma in modo statico, respirare aria nuova ma attraverso una mascherina, entrare in contatto con culture diverse mantenendo le distanze… Insomma, sembra che viaggiare durante questo virus vorrà dire fare i conti con forti contraddizioni, un po’ come andare ai Caraibi e trovare il sargasso. Ne vale comunque la pena, no?
Angela e Paolo
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