In viaggio a tempo indeterminato/127: ci stiamo 'messicanizzando'!
Eccoci qui con un breve aggiornamento direttamente dalla ridente Bacalar, il paesino messicano dove stiamo passando la quarantena.
L’aggiornamento in realtà si potrebbe riassumere in quattro parole: non è cambiato nulla! Che a guardare bene, per noi che siamo in un paesino con zero contagi e con tutte le strade di accesso chiuse, non è una brutta notizia. Dall’altro lato, però, l’intero Paese sta ancora combattendo con l’emergenza virus e con tutto quello che comporta: ospedali di fortuna, lockdown, misure da adottare... insomma quello che conoscete anche voi meglio di noi.
Qui in più si aggiungono storie da film uscite in questi giorni sui quotidiani.
Secondo queste news, sarebbero i figli di El Chapo a far rispettare il lockdown nelle città messicane che controllano.
Ovviamente non con le buone maniere.
Una notizia che potrebbe tranquillamente occupare una delle puntate della serie tv Narcos che parla proprio di El Chapo, signore della droga messicano.
Per fortuna nella piccola Bacalar la situazione è decisamente più tranquilla.
Qui le persone si stanno ingegnando in mille modi diversi per riuscire comunque a vendere qualcosa nonostante le chiusure.
Il “delivery” qui era già molto diffuso prima del virus, adesso praticamente tutto è diventato porta a porta.
Oltre al panettiere, al gelataio, al camion che porta i boccioni di acqua, si sono aggiunti altri venditori.
Una menzione speciale merita il calzolaio in moto che sfreccia per le strade brandendo una spazzola per lucidare le scarpe.
Poi ci sono i vari fruttivendoli, ognuno specializzato in uno, massimo due, frutti soltanto.
C’è l’uomo delle angurie che è diverso da quello dei mango o quello dei limoni.
Poi c’è quello degli ananas, quello delle arance che però vende anche il miele, quello dei pomodori.
Ovviamente non c’è nessuna cadenza regolare con cui passano, quindi meglio fiondarsi fuori dalla porta ogni volta che si sente qualcuno urlare “Buenaaaas”.
Oltre al reparto frutta poi fuori casa passano i venditori di cibi già cotti come le ciambelle che i messicani chiamano “donas” riprendendo la parola inglese doughnuts, oppure i tamales, dei tortini di farina di mais con verdure che ricordano tanto la polenta.
Qui la gente si ingegna come meglio riesce e anche noi ci stiamo dando un po’ da fare da questo punto di vista.
A parte l’aggiornamento sul delivery messicano, che è attualmente uno dei maggiori brividi che ci dà questa quarantena, ci siamo accorti che stiamo cambiando anche noi.
Siamo qui da talmente tanto tempo che probabilmente a breve ci daranno la cittadinanza ad honorem.
Ma ci stiamo anche un po’ messicanizzando.
Paolo, ad esempio, ha sviluppato una passione per le tortillas, e ormai per lui hanno preso il posto che occupava il pane quando eravamo in Italia.
Le tortillas qui sono fatte di farina di mais e ogni volta che gliene vedo mangiare una decina penso che sia il contrappasso per aver sempre disprezzato la polenta che a me, in quanto bergamasca, scorre nelle vene.
Poi, non c’è bisogno di dirlo, tortillas chiama fagioli e quindi anche questi legumi sono entrati a far parte in tutto e per tutto della nostra dieta.
Altro cambiamento evidente è la siesta sull’amaca, anche se quella forse è più legata al caldo atroce del pomeriggio.
Le amache sono originarie proprio di questa parte di mondo e vengono usate da centinaia di anni per riposare sollevati da terra.
Permettono, infatti, di stare lontani da eventuali serpenti, insetti, animali striscianti.
Si dice che Cristoforo Colombo, una volta scoperte le amache, decise di installarle sulle navi per migliorare le condizioni di vita dei marinai, abituati a dormire per terra tra i parassiti.
Ah quanto è rilassante leggersi un libro mentre ci si dondola su un’amaca...
No, sbagliato, non lo è!
Perché il dondolio dell’amaca fa lo stesso effetto che si prova stando su una barchetta in mezzo al mare.
All’inizio è bello farsi cullare dalle onde, ma dopo qualche ora ci si ritrova con lo stomaco in subbuglio.
Chi lo sapeva che si può soffrire di mal d’amaca?
Terzo indizio del fatto che ci stiamo messicanizzando è la musica.
Passiamo le nostre giornate con la musica come sottofondo.
Calcolando che Paolo ama suonare la chitarra, direi che siamo nel posto giusto.
L’unica difficoltà è mettersi d’accordo con i vicini perché ognuno qui accende lo stereo per almeno 3/4 ore al giorno rendendo partecipe l’intera via dei propri gusti musicali.
Il reggaeton ormai per noi non ha più segreti...
Quando è che si riparteeee?!?!
L’aggiornamento in realtà si potrebbe riassumere in quattro parole: non è cambiato nulla! Che a guardare bene, per noi che siamo in un paesino con zero contagi e con tutte le strade di accesso chiuse, non è una brutta notizia. Dall’altro lato, però, l’intero Paese sta ancora combattendo con l’emergenza virus e con tutto quello che comporta: ospedali di fortuna, lockdown, misure da adottare... insomma quello che conoscete anche voi meglio di noi.
Qui in più si aggiungono storie da film uscite in questi giorni sui quotidiani.
Secondo queste news, sarebbero i figli di El Chapo a far rispettare il lockdown nelle città messicane che controllano.
Ovviamente non con le buone maniere.
Una notizia che potrebbe tranquillamente occupare una delle puntate della serie tv Narcos che parla proprio di El Chapo, signore della droga messicano.
Per fortuna nella piccola Bacalar la situazione è decisamente più tranquilla.
Qui le persone si stanno ingegnando in mille modi diversi per riuscire comunque a vendere qualcosa nonostante le chiusure.
Il “delivery” qui era già molto diffuso prima del virus, adesso praticamente tutto è diventato porta a porta.
Oltre al panettiere, al gelataio, al camion che porta i boccioni di acqua, si sono aggiunti altri venditori.
Una menzione speciale merita il calzolaio in moto che sfreccia per le strade brandendo una spazzola per lucidare le scarpe.
Poi ci sono i vari fruttivendoli, ognuno specializzato in uno, massimo due, frutti soltanto.
C’è l’uomo delle angurie che è diverso da quello dei mango o quello dei limoni.
Poi c’è quello degli ananas, quello delle arance che però vende anche il miele, quello dei pomodori.
Ovviamente non c’è nessuna cadenza regolare con cui passano, quindi meglio fiondarsi fuori dalla porta ogni volta che si sente qualcuno urlare “Buenaaaas”.
Oltre al reparto frutta poi fuori casa passano i venditori di cibi già cotti come le ciambelle che i messicani chiamano “donas” riprendendo la parola inglese doughnuts, oppure i tamales, dei tortini di farina di mais con verdure che ricordano tanto la polenta.
Qui la gente si ingegna come meglio riesce e anche noi ci stiamo dando un po’ da fare da questo punto di vista.
VIDEO
A parte l’aggiornamento sul delivery messicano, che è attualmente uno dei maggiori brividi che ci dà questa quarantena, ci siamo accorti che stiamo cambiando anche noi.
Siamo qui da talmente tanto tempo che probabilmente a breve ci daranno la cittadinanza ad honorem.
Ma ci stiamo anche un po’ messicanizzando.
Paolo, ad esempio, ha sviluppato una passione per le tortillas, e ormai per lui hanno preso il posto che occupava il pane quando eravamo in Italia.
Le tortillas qui sono fatte di farina di mais e ogni volta che gliene vedo mangiare una decina penso che sia il contrappasso per aver sempre disprezzato la polenta che a me, in quanto bergamasca, scorre nelle vene.
Poi, non c’è bisogno di dirlo, tortillas chiama fagioli e quindi anche questi legumi sono entrati a far parte in tutto e per tutto della nostra dieta.
Altro cambiamento evidente è la siesta sull’amaca, anche se quella forse è più legata al caldo atroce del pomeriggio.
Le amache sono originarie proprio di questa parte di mondo e vengono usate da centinaia di anni per riposare sollevati da terra.
Permettono, infatti, di stare lontani da eventuali serpenti, insetti, animali striscianti.
Si dice che Cristoforo Colombo, una volta scoperte le amache, decise di installarle sulle navi per migliorare le condizioni di vita dei marinai, abituati a dormire per terra tra i parassiti.
Ah quanto è rilassante leggersi un libro mentre ci si dondola su un’amaca...
No, sbagliato, non lo è!
Perché il dondolio dell’amaca fa lo stesso effetto che si prova stando su una barchetta in mezzo al mare.
All’inizio è bello farsi cullare dalle onde, ma dopo qualche ora ci si ritrova con lo stomaco in subbuglio.
Chi lo sapeva che si può soffrire di mal d’amaca?
Terzo indizio del fatto che ci stiamo messicanizzando è la musica.
Passiamo le nostre giornate con la musica come sottofondo.
Calcolando che Paolo ama suonare la chitarra, direi che siamo nel posto giusto.
L’unica difficoltà è mettersi d’accordo con i vicini perché ognuno qui accende lo stereo per almeno 3/4 ore al giorno rendendo partecipe l’intera via dei propri gusti musicali.
Il reggaeton ormai per noi non ha più segreti...
Quando è che si riparteeee?!?!
Angela e Paolo