Prof. Carlo Signorelli: ''Lo studio sul diffondersi del virus dà ragione a chi definisce l’epidemia della A21. La differenza tra un ospedale e l’altro l’hanno fatta le attrezzature e i DPI”

Il professor Carlo Signorelli, docente di Igiene e sanità pubblica all'Università di Parma e all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, non lo dice chiaramente, ma a determinare la strage del Covid-19 hanno contribuito in modo determinante le pratiche messe in atto dai singoli ospedali per affrontare l'emergenza. L'esperto ricercatore, che vive a Perledo, che ha coordinato lo studio scientifico ribattezzato con l'azzeccato slogan "L'epidemia della A21", spende infatti lodi per quegli ospedali che "hanno curato bene e in sicurezza". Ma forse sarebbe meglio dire, dove i medici e gli operatori sanitari sono stati messi in condizione di poter curare bene e in sicurezza.

Il professor Carlo Signorelli

Lecco occupa il decimo posto, nella macabra classifica, come l'ha definita una collega, delle dieci provincie con il tasso di mortalità più elevato. L'unica spiegazione è legata al fatto di essere stata in qualche modo sfiorata dallo sciame epidemico della A21? Come spiega il fatto che città come Monza o addirittura Milano sono riuscite a contenere l'indice di mortalità?

"A Milano e a Monza e nelle rispettive provincie la situazione non è esplosa per un semplice motivo: gli ospedali pubblici, ma anche quelli privati, hanno potuto curare i pazienti contagiati al meglio. A tutti i medici, agli infermieri e comunque a tutti gli operatori sanitari e non solo a contatto con pazienti infetti, sono stati forniti i dispositivi di protezione necessari, questo ha consentito loro di operare in sicurezza evitando di trasformarsi a loro volta in ventilatori di infezione. Prendersi cura attrezzati adeguatamente ha consentito loro di operare in sicurezza e ha evitato che gli ospedali si trasformassero in strumenti di diffusione del virus. Si è lavorato bene. L'emergenza è stata affrontata con strumenti adeguati e sono state messe in atto immediatamente le misure necessarie, come ad esempio il distanziamento, ma non solo, per evitare il diffondersi del contagio. In una parola, gli operatori hanno potuto curare bene perché sono stati messi in condizione di lavorare in sicurezza. Queste strutture meritano una grande lode per come hanno agito e affrontato l'emergenza, sia in termini di azioni che di protezioni individuali".

Per contro però nelle case di riposo e nelle Rsa, in particolare quelle di Milano, si è registrata una vera e propria strage di anziani. Questo contrasta un po' con la sua affermazione riferita alle strutture sanitarie dell'area Metropolitana.

"Gli altri ambiti, come le case di riposo e le Rsa dove c'erano meno livelli di sicurezza, di cultura dell'igiene e della prevenzione, le cose sono andate ovviamente meno bene. Anche perché probabilmente, ma questo si vedrà meglio poi, in molti casi mancavano dispositivi individuali di protezione, pochi all'inizio e subito messi a disposizione di qualche ospedale".

Un j'accuse indiretto quello del professor Signorelli, ma non per questo meno grave, a strutture sanitarie come l'ospedale Manzoni di Lecco o il Mandic di Merate, dove ormai solo il numero degli operatori sanitari contagiati sfiora complessivamente quota quattrocento. Ci sarà tempo per risalire alle responsabilità che potrebbero andare ben più in alto rispetto alla sola direzione strategica dell'ASST. Ma le sorprese potrebbero non finire qui, perché ora, come ha annunciato lo stesso Professore le indagini proseguiranno dal livello provinciale a quello comunale. Attraverso questi ulteriori studi verranno localizzati in modo ancora più preciso i focolai del virus.

"Dobbiamo dire due cose, la prima è che stiamo capendo meglio quale è stata la dinamica epidemica. Noi abbiamo dato un contributo con le analisi provinciali uscite alcuni giorni fa, perché in realtà i dati regionali non permettevano una lettura completa della situazione. I dati provinciali invece hanno fatto capire meglio che il focolaio di Lodi si è espanso probabilmente ancor prima che si conoscesse la sua esistenza, lungo una direttrice Nord che ha coinvolto le zone di Bergamo, Brescia e anche Lecco. In direzione Sud, la stessa direttrice ha interessato Cremona e Piacenza, pertanto lo slogan sull'A21 ha del vero. L'epidemia si muove con le persone e quando c'è una via di comunicazione comoda il virus non attraversa le montagne, ovviamente non perché cammini, ma perché le persone lo trasportano e lo trasmettono andando a lavorare a diversi chilometri da casa. Per cui a Lecco è entrata così, per scambi con Bergamo e i comuni della Bergamasca, mentre Piacenza si è trovata al centro del focolaio. Quindi questo ci è stato molto utile per comprendere la diffusione del virus".

La piantina che accompagna l'indagine sulla A21 condotta dal professor Signorelli
(clicca QUI per leggere l'articolo)

"Ma ci può essere molto utile anche per avviare la Fase Due durante la quale bisognerà stare attenti alla riaccensione dei focolai. Si tratta di una fase molto delicata in cui dovremo riprendere le attività ma stando attenti che non si verifichi una seconda ondata. Non siamo pertanto ancora nella fase del "fuori tutti", ma dobbiamo prepararci con intelligenza alla nuova fase, evitando di fare quello che non si può fare o si può evitare. Mi spiego: chi si è reso conto di poter lavorare in smart working deve continuare a farlo. Gli altri invece devono prendere tutte le precauzioni del caso e rispettare le disposizioni e il distanziamento".

Per quanto riguarda i tamponi, ritiene che dovrebbero essere estesi a tutti? E i test sierologici potrebbero essere la soluzione?

"Le capacità dei laboratori accreditati di esaminare i tamponi sono limitate e quindi vengono effettuati per ora a particolari categorie previste dalla Regione. Può darsi che questo orientamento cambi. I test sierologici, anche se non c'è ancora stata la validazione del Ministero, si è cominciato a farli. Hanno però un'utilità limitata mentre nella Fase Due potranno essere molto utili per individuare la prevalenza di contagi nelle varie aree. Risultano anche molto utili per l'individuo che può così sapere se ha fatto la malattia, tuttavia non si può essere certi di avere gli anticorpi protettivi e quindi bisogna avere grande cautela ugualmente... Per quanto riguarda la "patente di immunità" ritengo che sia uno slogan che non ha un suo senso. Chi ha gli anticorpi probabilmente ha fatto la malattia, probabilmente non la farà più, però bisogna tamponarlo per vedere se è ancora infetto e quindi potrebbe contagiare ancora e se fosse positivo al tampone andrebbe isolato. E comunque non si può obbligare tutti a fare il test...".


Professor Signorelli, nei giorni scorsi è stato chiamato a far parte del prestigioso Comitato tecnico scientifico nominato dalla Regione Lombardia, con numerosi luminari di diverse branche della medicina e non solo. Dobbiamo aspettarci qualcosa di estremamente significativo?

"Guardi, il Comitato tecnico scientifico si è riunito una volta sola, non abbiamo deciso nulla, ci siamo limitati a dare dei consigli...".

Della serie, ma questo lo diciamo noi, dopo aver sentito anche il parere di un altro prestigioso componente del Comitato, il professor Alberto Zangrillo, potrebbe rivelarsi l'ennesimo carrozzone per gettare un po' di fumo negli occhi...

Angelo Baiguini
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