In viaggio a tempo indeterminato/123: calma apparente, 'ci hanno rubato tutto'
Siamo arrivati a 5000.
Ieri in Messico abbiamo superato i 5000 contagi. Il Paese è enorme, quindi sono ancora relativamente pochi.
Nel paesino dove siamo noi, invece, il numero è sempre lo stesso da settimane...uno.
Un solo caso registrato che a questo punto, viene da pensare, sia di una persona che viveva in solitaria senza contatti con il mondo esterno. Magari un eremita che abitava in una capanna sulla laguna e si cibava dei pesci. Sì, lo sappiamo, suona un po’ assurdo.
Vista dal balcone dell’ostello in cui stiamo, però, la vita nelle strade di Bacalar in effetti sembra scorrere come al solito.
A scandirla ci sono i soliti venditori ambulanti.
Si comincia alle 9:00 con il furgone che consegna enormi boccioni di acqua purificata. Qui, infatti, l’acqua del rubinetto non solo non si può bere, ma non si può nemmeno utilizzare per cucinare.
“Bacal-agua, la mejor agua purificada” risuona dall’altoparlante per le strade tranquille.
Poi arriva il signore che scampanellando dalla sua bicicletta con attaccato un carretto, urla “limones”, 15 pesos (0,70€) per un sacchetto con una decina di limoni verdi e succosi.
Lo segue a ruota il venditore di ananas con la sua cantilena “piña, piña dulce, piña miel”.
Poi è il momento del furgone che aggiusta tutto, dall’ombrello all’orologio, ma che allo stesso tempo compra anche oggetti in metallo pagandoteli “siempre al giusto precio!”.
Intervallati a tutti questi venditori porta a porta, c’è una macchinetta bianca che dalle enormi casse installate sul tetto, invita tutti a mantenere una “sana distancia” e da consigli su cosa fare mentre si è costretti a stare a casa. L’elenco delle attività che suggeriscono è talmente assurdo da farti venire volgia di non rientrarci più a casa. Per citarne alcune: lavare il cane, spolverare i mobili, sistemare la dispensa di cibo, giocare a carte, spazzolare bene le scarpe, dipingere casa… e queste sono solo le più emozionanti, immaginatevi le altre.
Il pomeriggio poi, quando cala il sole e non ci sono più quei freschi 35 gradi con umidità del 90%, ecco che iniziano ad arrivare gli altri venditori.
“Paleteria la Perla del Caribe” che vende ghiaccioli di ogni gusto dal cofano di una scassatissima macchina rossa. Al di là del nome che ogni volta che lo sento mi fa pensare a Johnny Depp e ai pirati dei Caraibi, anche il jingle della pubblicità è davvero accattivante. Ormai l’abbiamo sentito talemente tante volte che abbiamo capito perfettamente che ‘sti ghiaccioli sono 100% naturali e conosciamo tutti i gusti… anche se ancora non abbiamo capito cosa sia il gusto “chamoooiiiiiiiii”.
Dopo il ghiacciolaio, è il turno del gelataio che è decisamente più sobrio del collega gelido e per avvertire del suo passaggio si limita ad agitare un campanellino mentre sfreccia in bicicletta.
Arrivano le 17 ed è ovviamente l’ora dei panettieri. Sono in tre o quattro a bordo delle loro biciclette modificate per ospitare una vera e propria vetrinetta con in esposizione pane e dolcetti vari. Un prezzo unico per tutto, 4 pesos (0,16€), e un unico inconfondibile richiamo, una pompetta di quelle con la pallina nera di gomma che fa il classico suono “poti poti”.
Vista dalla terrazza, insomma, la vita a Bacalar sembra scorrere tranquilla come al solito e ogni giorno sembra andare esattamente come il precedente.
Questo è quello che pensavamo fino alle 5 del mattino dello scorso venerdì quando ci siamo svegliati e resi conto che anche qui la tranquillità è solo apparente.
Era ancora buio e qualcosa mi aveva svegliato. Così allungo la mano per vedere che ore siano. Il telefono l’avevo lasciato sulla mensola accanto al letto. Lo cerco ma niente. Penso mi sia caduto tra le lenzuola, così accendo la luce per vedere dove sia finito. Niente, non c’è. In quel momento realizzo che la porta della camera è aperta e a terra c’è un libro per evitare che sbatta.
Sveglio subito Paolo. “Il mio telefono non c’è più…” gli urlo. Lui guarda sotto il cuscino e anche il suo telefono è sparito.
Ci guardiamo intorno e mancano anche un tablet ma peggio di tutto, il portafoglio con i soldi e due carte.
E in quel momento realizziamo che quella tranquillità che si respirava ci aveva fatto abbassare la guardia, troppo.
Usciamo sul balcone ma questa volta non ci sono “poti poti”, campanelli o jingle, solo la voce di Paolo che grida “ci hanno rubato tutto...”
Un abbraccio
Ieri in Messico abbiamo superato i 5000 contagi. Il Paese è enorme, quindi sono ancora relativamente pochi.
Nel paesino dove siamo noi, invece, il numero è sempre lo stesso da settimane...uno.
Un solo caso registrato che a questo punto, viene da pensare, sia di una persona che viveva in solitaria senza contatti con il mondo esterno. Magari un eremita che abitava in una capanna sulla laguna e si cibava dei pesci. Sì, lo sappiamo, suona un po’ assurdo.
Vista dal balcone dell’ostello in cui stiamo, però, la vita nelle strade di Bacalar in effetti sembra scorrere come al solito.
A scandirla ci sono i soliti venditori ambulanti.
Si comincia alle 9:00 con il furgone che consegna enormi boccioni di acqua purificata. Qui, infatti, l’acqua del rubinetto non solo non si può bere, ma non si può nemmeno utilizzare per cucinare.
“Bacal-agua, la mejor agua purificada” risuona dall’altoparlante per le strade tranquille.
Poi arriva il signore che scampanellando dalla sua bicicletta con attaccato un carretto, urla “limones”, 15 pesos (0,70€) per un sacchetto con una decina di limoni verdi e succosi.
Lo segue a ruota il venditore di ananas con la sua cantilena “piña, piña dulce, piña miel”.
Poi è il momento del furgone che aggiusta tutto, dall’ombrello all’orologio, ma che allo stesso tempo compra anche oggetti in metallo pagandoteli “siempre al giusto precio!”.
Intervallati a tutti questi venditori porta a porta, c’è una macchinetta bianca che dalle enormi casse installate sul tetto, invita tutti a mantenere una “sana distancia” e da consigli su cosa fare mentre si è costretti a stare a casa. L’elenco delle attività che suggeriscono è talmente assurdo da farti venire volgia di non rientrarci più a casa. Per citarne alcune: lavare il cane, spolverare i mobili, sistemare la dispensa di cibo, giocare a carte, spazzolare bene le scarpe, dipingere casa… e queste sono solo le più emozionanti, immaginatevi le altre.
Il pomeriggio poi, quando cala il sole e non ci sono più quei freschi 35 gradi con umidità del 90%, ecco che iniziano ad arrivare gli altri venditori.
“Paleteria la Perla del Caribe” che vende ghiaccioli di ogni gusto dal cofano di una scassatissima macchina rossa. Al di là del nome che ogni volta che lo sento mi fa pensare a Johnny Depp e ai pirati dei Caraibi, anche il jingle della pubblicità è davvero accattivante. Ormai l’abbiamo sentito talemente tante volte che abbiamo capito perfettamente che ‘sti ghiaccioli sono 100% naturali e conosciamo tutti i gusti… anche se ancora non abbiamo capito cosa sia il gusto “chamoooiiiiiiiii”.
Dopo il ghiacciolaio, è il turno del gelataio che è decisamente più sobrio del collega gelido e per avvertire del suo passaggio si limita ad agitare un campanellino mentre sfreccia in bicicletta.
Arrivano le 17 ed è ovviamente l’ora dei panettieri. Sono in tre o quattro a bordo delle loro biciclette modificate per ospitare una vera e propria vetrinetta con in esposizione pane e dolcetti vari. Un prezzo unico per tutto, 4 pesos (0,16€), e un unico inconfondibile richiamo, una pompetta di quelle con la pallina nera di gomma che fa il classico suono “poti poti”.
Vista dalla terrazza, insomma, la vita a Bacalar sembra scorrere tranquilla come al solito e ogni giorno sembra andare esattamente come il precedente.
Questo è quello che pensavamo fino alle 5 del mattino dello scorso venerdì quando ci siamo svegliati e resi conto che anche qui la tranquillità è solo apparente.
Era ancora buio e qualcosa mi aveva svegliato. Così allungo la mano per vedere che ore siano. Il telefono l’avevo lasciato sulla mensola accanto al letto. Lo cerco ma niente. Penso mi sia caduto tra le lenzuola, così accendo la luce per vedere dove sia finito. Niente, non c’è. In quel momento realizzo che la porta della camera è aperta e a terra c’è un libro per evitare che sbatta.
Sveglio subito Paolo. “Il mio telefono non c’è più…” gli urlo. Lui guarda sotto il cuscino e anche il suo telefono è sparito.
Ci guardiamo intorno e mancano anche un tablet ma peggio di tutto, il portafoglio con i soldi e due carte.
E in quel momento realizziamo che quella tranquillità che si respirava ci aveva fatto abbassare la guardia, troppo.
Usciamo sul balcone ma questa volta non ci sono “poti poti”, campanelli o jingle, solo la voce di Paolo che grida “ci hanno rubato tutto...”
VIDEO
Angela&Paolo