In viaggio a tempo indeterminato/122: una nuova routine
06:25 Suona la sveglia
07:07 Tempo limite per uscire di casa
07:22 Treno per Milano centrale
09:00 Inizio del lavoro
Pausa pranzo dalle 13 alle 14
18:00 Uscita dal lavoro
18:22 Treno per Lecco
19:30 Cena
22:30 Crollo sul divano/letto
Se ci penso ora che questa era la mia routine prima di partire per questo viaggio, non mi sembra vero.
Una vita fa, che a tratti non sembra neanche la mia.
Negli ultimi 800 e più giorni in viaggio non abbiamo più avuto una routine.
Ogni giorno era diverso dal precedente.
Una mattina ci svegliavamo avvolti nei nostri sacchi a pelo in una tenda e quella dopo in un comodo letto con la zanzariera e le lenzuola bianche profumate.
Un giorno eravamo ad arrampicarci su delle piramidi Maya e quello dopo nuotavamo in una laguna con l’acqua più azzurra mai vista.
Un pomeriggio lo passavamo sdraiati su una spiaggia deserta e quello dopo a lottare per avere un posto seduti su un autobus pieno.
Per noi, in questi 820 giorni in viaggio, una “giornata tipo” non esisteva.
Era qualcosa che ci ricordava la nostra vita prima di partire.
Da quando siamo fermi però lei, la routine, è ritornata ed è stato strano incontrarla di nuovo.
All'inizio ci è sembrata una gabbia che ci ha fatto sentire immobili come non lo eravamo da tanto tanto tempo.
Sembrava che fosse arrivata per sottolineare solo che quel sogno l’avevamo messo in pausa fino a data da destinarsi.
Più passavano i giorni, però, più abbiamo imparato a conviverci con questa routine e ci siamo resi conto che non ha niente a che vedere con quella della nostra vita precedente.
La nostra nuova “non routine”, fermi in quarantena qui in Messico, è scandita da orari completamente diversi.
Ci alziamo comunque abbastanza presto, ma senza nessuna sveglia che suona.
Il sole che entra dalle finestre con le ante larghe di legno, i cani che abbaiano, gli uccellini che sembra stiano facendo un concerto sinfonico, la musichetta del signore che consegna le bombole del gas... è questa la nostra nuova sveglia da ormai più di 15 giorni.
Le giornate iniziano lente tanto che fretta c’è, non dobbiamo andare da nessuna parte.
Io poi salgo in terrazza e mi metto a fare yoga per un’oretta, giusto il tempo per Paolo di dondolarsi un po’ sull’amaca e preparare la colazione.
Abbiamo cambiato abitudini ultimamente. In genere, in viaggio, le colazioni erano succo, biscotti e magari una banana. Quando eravamo proprio fortunati potevamo berci anche un caffè o un tè, giusto per riuscire ad avere le energie necessarie per sollevare almeno lo zaino.
Nell’ostello chiuso in cui siamo bloccati ora, invece, abbiamo la cucina e abbiamo riscoperto l’avena.
Paolo all’inizio mi prendeva in giro perché “quei semini sembrano quelli che mangiano le galline!”.
Ora, invece, anche lui se la mangia con gusto, nonostante continui imperterrito a chiamarla “sbobba”...è pur sempre Paolo.
Dopo colazione, ci mettiamo a fare qualche lavoretto.
Siamo in questo ostello, infatti, come volontari e diamo una mano in cambio del letto in cui dormiamo.
Siccome non ci sono ospiti, però, le mansioni che abbiamo sono poche e diciamo che siamo davvero grati a Juan e Greta, i proprietari, per l’ospitalità.
La mattina, quindi, spazziamo le scale, diamo una sistemata alla cucina, puliamo i bagni e raccogliamo le enormi foglie del guarumbo, una pianta bellissima e gigantesca che cresce nel giardino dell’ostello.
Ha delle foglie grandi e pesanti che il vento fa cadere e che vanno a spargersi ovunque.
Amo quella pianta, tutte le mattine appena metto piede fuori dalla camera, la guardo e le do il buongiorno. Alle fine lei era qui prima di questo ostello, che a pensarci bene sembra una gigantesca casa sull’albero con il tetto di foglie di palma.
Fa molto caldo in questi giorni qui a Bacalar, ci sono quasi 40 gradi e nelle ore più calde non si riesce a fare molto.
Così, dopo un pranzo che in genere è a base di tortillas e verdure, ci mettiamo nelle amache sul tetto e ognuno di noi si occupa di qualcosa. Io, ad esempio, scrivo.
Questo articolo è scritto proprio mentre sono un’amaca color arcobaleno, con il vento che muove le foglie del guarumbo, il bip bip bip del panettiere che passa in bicicletta per le case, le capre che belano nel campo accanto.
Credo di non avervi mai detto dove mi trovo esattamente quando scrivo un articolo per il giornale, perché in genere non avevo un posto specifico.
Certi articoli li ho annotati sul cellulare, magari mentre facevamo un lungo viaggio in treno.
Altri li scrivevo la sera, prima di addormentarmi, sdraiata sul letto con Paolo accanto che russava.
Alcuni mi venivano di getto, quasi all’improvviso, magari mentre stavamo seduti su una spiaggia a guardare il mare.
Adesso, però, in queste giornate di quarantana, sono le amache sul tetto il posto dove riesco a raccogliere le idee e dar loro la forma di parole.
Questa situazione ha cambiato tutto, per tutti.
Noi che non eravamo più fermi da molto tempo, stiamo imparando a costruirci una routine e a riempirla di cose che ci fanno stare bene. Ci serve per non pensare continuamente a quello che sta succedendo e che succederà, a cosa ne sarà del nostro viaggio, alla situazione che sembra assurda.
Stiamo imparando a prendere il meglio che c’è da tutta questa situazione che speriamo presto finisca per tutti.
Un abbraccio
07:07 Tempo limite per uscire di casa
07:22 Treno per Milano centrale
09:00 Inizio del lavoro
Pausa pranzo dalle 13 alle 14
18:00 Uscita dal lavoro
18:22 Treno per Lecco
19:30 Cena
22:30 Crollo sul divano/letto
Se ci penso ora che questa era la mia routine prima di partire per questo viaggio, non mi sembra vero.
Una vita fa, che a tratti non sembra neanche la mia.
Negli ultimi 800 e più giorni in viaggio non abbiamo più avuto una routine.
Ogni giorno era diverso dal precedente.
Una mattina ci svegliavamo avvolti nei nostri sacchi a pelo in una tenda e quella dopo in un comodo letto con la zanzariera e le lenzuola bianche profumate.
Un giorno eravamo ad arrampicarci su delle piramidi Maya e quello dopo nuotavamo in una laguna con l’acqua più azzurra mai vista.
Un pomeriggio lo passavamo sdraiati su una spiaggia deserta e quello dopo a lottare per avere un posto seduti su un autobus pieno.
Per noi, in questi 820 giorni in viaggio, una “giornata tipo” non esisteva.
Era qualcosa che ci ricordava la nostra vita prima di partire.
Da quando siamo fermi però lei, la routine, è ritornata ed è stato strano incontrarla di nuovo.
All'inizio ci è sembrata una gabbia che ci ha fatto sentire immobili come non lo eravamo da tanto tanto tempo.
Sembrava che fosse arrivata per sottolineare solo che quel sogno l’avevamo messo in pausa fino a data da destinarsi.
Più passavano i giorni, però, più abbiamo imparato a conviverci con questa routine e ci siamo resi conto che non ha niente a che vedere con quella della nostra vita precedente.
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La nostra nuova “non routine”, fermi in quarantena qui in Messico, è scandita da orari completamente diversi.
Ci alziamo comunque abbastanza presto, ma senza nessuna sveglia che suona.
Il sole che entra dalle finestre con le ante larghe di legno, i cani che abbaiano, gli uccellini che sembra stiano facendo un concerto sinfonico, la musichetta del signore che consegna le bombole del gas... è questa la nostra nuova sveglia da ormai più di 15 giorni.
Le giornate iniziano lente tanto che fretta c’è, non dobbiamo andare da nessuna parte.
Io poi salgo in terrazza e mi metto a fare yoga per un’oretta, giusto il tempo per Paolo di dondolarsi un po’ sull’amaca e preparare la colazione.
Abbiamo cambiato abitudini ultimamente. In genere, in viaggio, le colazioni erano succo, biscotti e magari una banana. Quando eravamo proprio fortunati potevamo berci anche un caffè o un tè, giusto per riuscire ad avere le energie necessarie per sollevare almeno lo zaino.
Nell’ostello chiuso in cui siamo bloccati ora, invece, abbiamo la cucina e abbiamo riscoperto l’avena.
Paolo all’inizio mi prendeva in giro perché “quei semini sembrano quelli che mangiano le galline!”.
Ora, invece, anche lui se la mangia con gusto, nonostante continui imperterrito a chiamarla “sbobba”...è pur sempre Paolo.
Siamo in questo ostello, infatti, come volontari e diamo una mano in cambio del letto in cui dormiamo.
Siccome non ci sono ospiti, però, le mansioni che abbiamo sono poche e diciamo che siamo davvero grati a Juan e Greta, i proprietari, per l’ospitalità.
La mattina, quindi, spazziamo le scale, diamo una sistemata alla cucina, puliamo i bagni e raccogliamo le enormi foglie del guarumbo, una pianta bellissima e gigantesca che cresce nel giardino dell’ostello.
Ha delle foglie grandi e pesanti che il vento fa cadere e che vanno a spargersi ovunque.
Amo quella pianta, tutte le mattine appena metto piede fuori dalla camera, la guardo e le do il buongiorno. Alle fine lei era qui prima di questo ostello, che a pensarci bene sembra una gigantesca casa sull’albero con il tetto di foglie di palma.
Così, dopo un pranzo che in genere è a base di tortillas e verdure, ci mettiamo nelle amache sul tetto e ognuno di noi si occupa di qualcosa. Io, ad esempio, scrivo.
Questo articolo è scritto proprio mentre sono un’amaca color arcobaleno, con il vento che muove le foglie del guarumbo, il bip bip bip del panettiere che passa in bicicletta per le case, le capre che belano nel campo accanto.
Credo di non avervi mai detto dove mi trovo esattamente quando scrivo un articolo per il giornale, perché in genere non avevo un posto specifico.
Certi articoli li ho annotati sul cellulare, magari mentre facevamo un lungo viaggio in treno.
Altri li scrivevo la sera, prima di addormentarmi, sdraiata sul letto con Paolo accanto che russava.
Alcuni mi venivano di getto, quasi all’improvviso, magari mentre stavamo seduti su una spiaggia a guardare il mare.
Adesso, però, in queste giornate di quarantana, sono le amache sul tetto il posto dove riesco a raccogliere le idee e dar loro la forma di parole.
Noi che non eravamo più fermi da molto tempo, stiamo imparando a costruirci una routine e a riempirla di cose che ci fanno stare bene. Ci serve per non pensare continuamente a quello che sta succedendo e che succederà, a cosa ne sarà del nostro viaggio, alla situazione che sembra assurda.
Stiamo imparando a prendere il meglio che c’è da tutta questa situazione che speriamo presto finisca per tutti.
Un abbraccio
Angela e Paolo