In viaggio a tempo indeterminato/91: Benvenuti in Corea

“Allacciare le cinture e prepararsi all’atterraggio”.
Sono le 6 del mattino e quelle due ore di volo sono state le uniche di sonno in tutta la notte.
Guardiamo fuori dal finestrino.
Ci stropicciamo gli occhi perché forse dormire poco ci sta dando qualche allucinazione.
Riguardiamo fuori.
Ok, stiamo atterrando in un villaggio costruito con i mattoncini Lego.
I palazzi sono tutti bianchi, identici, disposti in linee ordinatissime.
C’è anche l’erba di un verde perfetto, come la base su cui incastravamo i mattoncini quando eravamo bambini.
Le strade illuminate da lampioni che sembrano disegnati.
Ci viene un po’ di ansia mista a panico a vedere tutta quella perfezione.
E pensare che nello stesso momento, sullo stesso pianeta, esiste un Paese chiamato India che è esattamente all’opposto di quell’ordine maniacale.
Così la prima immagine che abbiamo del nuovo Paese che stiamo per visitare, l’undicesimo di questo nostro lungo viaggio, è questa qui sotto...
Siamo arrivati in Korea, più precisamente a Daegu.

Scendiamo dall’aereo e ci lanciamo sul primo treno diretto a Seoul perché sarà quella la nostra prima vera tappa.
Neanche il tempo di mettere piede in terra coreana per vedere smontata in pochi secondi la nostra conoscenza sulla capitale di questo Paese.
“2 tickets for Seul” chiediamo allo sportello della stazione.
La signorina dall’altra parte ci guarda perplessa.
“Dove?!?” Ci chiede.
“S-E-U-L” ripetiamo noi scandendo bene e alzando un po’ la voce, come se la cosa potesse aiutare.
Ma niente, la faccia dubbiosa della bigliettaia non cambia.
Così apriamo la mappa sul cellulare e le mostriamo la scritta “Seoul”.
“Ah Soul!!” Esclama lei sorridendo.
E così a trenta e passa anni, di cui più di venti passati a studiare (includendo anche l’asilo), scopriamo che per il resto del mondo la capitale della Corea si pronuncia “Soul” e non “Seul”.
Crollata questa prima fondamentale certezza, compriamo i biglietti e saliamo sul treno.
Tre ore di viaggio in cui recuperiamo un po’ di sonno, sognando omini giganti fatti di mattoncini di plastica, con capelli neri a scodella, che ci inseguono per le strade ordinate coreane.
Quando scendiamo dal treno, però, tiriamo un sospiro di sollievo.


Seoul, la capitale, è tutta un’altra cosa.
Ci sono i grattacieli altissimi, ma sono pieni di insegne colorate e sembrano “avere un’anima” e un po’ di quel caos che amiamo.
Le strade sono pulite e perfette ma qua e là sbucano signore sedute per terra che vendono le verdure.
C’è un mercato sul percorso che facciamo per raggiungere l’ostello e intravediamo vasche di pesci.
Sembrano acquari con polipi, gamberi, pesci dalle forme a dir poco particolari e tante, tantissime, anguille. In quelle vasche ci sono i piatti del menù che vengono pescati al momento dell’ordine.
Non si può dire che in Corea il pesce non sia fresco.
Lasciamo gli zaini all’ostello e ci ributtiamo nelle strade coreane perché siamo troppo curiosi di scoprire questa città che sembra nasconda stranezze ad ogni angolo.
Tra viaggio in treno e camminata si è fatta ora di pranzo.
Così decidiamo di entrare in un piccolo ristorantino.
Ad attrarci è un’immagine sull’insegna tutta scritta in coreano, sembra la foto di un piatto di gnocchi con della salsa di pomodoro.
Appena apriamo la porta scorrevole di legno, ci troviamo davanti dei tavolini bassi a cui si sta seduti per terra.
Una signora alla cassa ci saluta urlandoci “io bo se hoooooo” che dal sorriso capiamo dovrebbe essere una sorta di “ciao” in coreano.
Togliamo le scarpe, ci sediamo al tavolino e ordiniamo un piatto degli gnocchi che avevamo visto sull’insegna fuori.
La signora ci consiglia anche il Gimbap, una specie di rotolo fatto con alga, riso e verdure all’interno.
Ci mostra quello dei commensali del tavolo acconto e sembra avere un bel aspetto.
Dopo pochi minuti ecco quello che ci arriva sul tavolo.


Come primo pranzo coreano niente male.
Bacchette alla mano, ci lanciamo sul piatto di gnocchi giganti e, dopo varie peripezie per riuscire a prenderne uno senza farlo scivolare e senza riempirci di salsa, assaggiamo.
Masticata che non finisce mai per la consistenza gommosa e lacrime agli occhi, ma non per la commozione.
Questi giganteschi gnocchi sono fatti di farina di riso, sono super piccanti e sono chiamati tteokbokki.
Sono un piatto tipico coreano e vengono serviti con una zuppetta, del kimchi (cavolo sotto aceto piccante) e altre verdure a noi sconosciute.
Sono stranamente gommosi ma buoni.
Con la pancia piena, continuiamo la nostra esplorazione delle vie di Seoul.
La camminata dura poco perché veniamo attratti da un negozio all’apparenza normale se non fosse per la lunga coda che si è formata fuori.
Guardiamo dentro e vediamo un orso di peluche gigante.
Enorme, alto almeno due metri.


Ok per una giornata sola è abbastanza.
Città costruite con i Lego, certezze di anni di studio crollate in pochi minuti, gnocchi piccanti e orsi giganti... se il buongiorno si vede dal mattino, ci aspettano grandi cose in Corea!!

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Angela e Paolo
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