In viaggio a tempo indeterminato/77: la caotica Kathmandu
Kathmandu... Basta la parola per rievocare l’immagine di un luogo lontano, misterioso e affascinante. Sembra uno di quei posti inventati dalla penna di qualche scrittore fantasioso. E invece Kathmandu esiste davvero ed è caotica, polverosa e colorata. Ma allo stesso tempo è avvolta da quell’atmosfera magica che la rende unica, come fosse uscita appunto da una fiaba. Perché a Kathmandu c’è tutto e il contrario di tutto: i templi antichi e il traffico, la dea bambina e i cartelloni pubblicitari, i mercati tradizionali e i negozi per turisti, i palazzi imponenti e le impalcature a reggere le macerie.
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Appena siamo arrivati a Kathmandu, siamo stati travolti dal traffico, dai gas di scarico neri dei vecchi autobus, dai clacson, dalla polvere sollevata dai camion... e per un attimo ci è sembrato di essere tornati in una tranquilla cittadina indiana. Sembrerà strano, ma la cosa ci ha elettrizzato parecchio. Dopo settimane tra il silenzio dei monti, in paesini dove alle 20 è tutto chiuso e dove l’unico rumore che senti è quello dei cani che abbaiano, arrivando a Kathmandu ci è sembrato di ributtarci “nell’azione”.
Sulle nostre teste i cavi della corrente intrecciati come a creare degli elaborati ghirigori. Le strade con i venditori di cibo e i mercati improvvisati sui marciapiedi. I rickshaw a bicicletta, i taxi e i minivan per spostarsi. Il caos colorato e sorprendente a cui ci aveva abituato l’Asia, e che sembrava essere sparito in Nepal, era tutto condensato lì, tra le vie di Kathmandu. E in tutto questo non eravamo ancora entrati nel centro storico.
Durbar Square, la piazza centrale di Kathmandu, l’avevamo vista molte volte in TV. Nel 2015, l’avevamo osservata al telegiornale mentre si sgretolava durante un fortissimo terremoto. Ci sembrava un luogo così lontano da noi, ma allo stesso tempo ad ogni immagine di un crollo ci si stringeva il cuore... Tutta quella meraviglia stava andando persa per sempre.. Quell’anno, davanti a quelle scene, mai avremmo immaginato che un giorno ci saremmo trovati a camminare tra quegli edifici, proprio in quella piazza. E invece eccoci qui, con lo sguardo rivolto verso quei templi e quei palazzi che svettano alti nel cielo, a chiederci come sia possibile che alcuni abbiano resistito a quella forte scossa, mentre altri siano crollati. Tra una meraviglia e un cumulo di macerie, ci sono tornate in mente quelle immagini che guardavamo dal divano. E per un attimo ci è sembrato di respirare quella polvere, di sentire quel boato, di veder tremare tutto. Kathmandu ci ha trasportato fuori dal tempo, come solo le città avvolte da una strana magia sanno fare.
Tra quei palazzi e quelle mura con le crepe, abbiamo anche fatto uno degli incontri più intensi di questo viaggio. Un incontro non fatto di parole e dialogo, ma di sguardi... anzi di uno sguardo solo, quello della Kumari. La Kumari è la “Dea bambina” e secondo i nepalesi di fede indù rappresenterebbe la reincarnazione della divinità Taleju. Si tratta di una bambina preadolescente che viene scelta attraverso un durissimo processo di selezione che prevede alcune prove, tra cui dormire una notte in una stanza tra teste di capra mozzate. Una volta individuata, la Kumari, vive chiusa in un palazzo, non può mai uscire se non per particolari occasioni e rimane “in carica” fino alla comparsa delle prime mestruazioni. Ogni suo gesto, che sia un sorriso, un pianto o un tremolio, viene interpretato come un segnale premonitore per le sorti dell’intero Paese. (a questo link tutte le informazioni dettagliate sulla tradizione della Kumari).
Immagine tratta da Google dell’attuale Kumari
La Dea Bambina di Kathmandu non si può nè incontrare nè tanto meno fotografare. L’unica cosa che si può fare è osservarla quando si affaccia alle finestre delle sue stanze per qualche minuto al giorno. Noi a quel particolare incontro siamo andati. Abbiamo aspettato nel cortile e quando l’abbiamo vista apparire, ci si è stretto lo stomaco e ci sono scese le lacrime. Non abbiamo visto una dea ma solo una bambina di 5 anni con lo sguardo triste. Privata della sua infanzia e chiusa dentro un palazzo, ci è sembrata più una prigioniera che una divinità da venerare. Una tradizione, quella della Kumari, che ci ha davvero colpito e sconvolto. Un’altra forte emozione... ed è forse proprio per questo che ci siamo innamorati così tanto di Kathmandu.
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Angela e Paolo