Manzoni: paziente perde la vista da un occhio, l'oculista a processo

È chiamato a rispondere di lesioni personali colpose, con la circostanza aggravante per aver causato l'indebolimento di un senso, S.C., medico oculista in forze all'ospedale Manzoni di Lecco. Secondo l'ipotesi accusatoria ancora tutta da accertare il medico -difeso di fiducia dall'avvocato Stefano Pelizzari- avrebbe causato, per sua negligenza o imperizia, avendo sottovalutato la gravità della situazione, la perdita completa della vista all'occhio destro di un suo paziente. I tragici fatti sono stati ricostruiti questa mattina nella prima udienza della fase istruttoria, con l'audizione di diversi testimoni, al cospetto del giudice monocratico Enrico Manzi.
È stata in particolare la persona offesa, classe 1971 di Valgreghentino -costituitasi parte civile e assistita dall'avvocato Stefano Motta, oggi sostituito dal collega Marcello Perillo- ad illustrare al giudice l'evoluzione della sua malattia, rispondendo alle domande poste dai legali e dal Vpo Mattia Mascaro: “il pomeriggio del 13 maggio del 2016, mentre ero a lavoro, ho iniziato a vedere dei puntini neri, quelli che i dottori in gergo chiamano “mosche” e così sono andato dal mio medico di base, che è anche oculista, per farmi visitare ma non ero preoccupato” ha detto il valgreghentinese, “il dottore mi disse di recarmi immediatamente al pronto soccorso perchè avevo una rottura gigante della retina”. Giunto al PS del nosocomio cittadino, l'uomo sarebbe stato rimandato a casa e diffidato a comparire il giorno seguente perchè -secondo quanto riferitogli- l'oculista in quelle ore non era presente e, raggiunto al telefono, avrebbe detto ai colleghi che la situazione non era così grave da richiedere un intervento immediato. “Nutrendo grande fiducia verso l'ospedale Manzoni, sono tornato il mattino seguente” ha continuato la parte offesa nel raccontare la sua versione dei fatti, “e mi ha preso in carico il dottor S.C. che, rilevata la rottura della retina, mi ha effettuato un trattamento laser e dato una terapia farmacologica da seguire. Ero contento di come ero stato trattato, non ero affatto preoccupato. Sono anche tornato una decina di giorni dopo a farmi visitare; sono stato trattato nuovamente con il laser e mi è stato detto che il problema era quasi risolto”. La situazione sembrava essersi stabilizzata quando, dopo circa 3 settimane, il 48enne avrebbe iniziato a vedere le cosiddette “tapparelle”: “era il 9 giugno. Sono corso immediatamente dal dottore che mi stava seguendo e, dopo la visita, mi ha detto che la retina si era staccata completamente. Sono stato subito operato”; al momento delle dimissioni però, la vista del paziente non sarebbe migliorata, anzi: “quando sono stato sbendato vedevo rosso. Mi riferirono che col tempo tutto si sarebbe sistemato ma ad un certo punto ho iniziato a vedere nero”. Dopo una nuova corsa al pronto soccorso del Manzoni ed un nuovo intervento, avvenuto il 19 di luglio, l'uomo -secondo quanto riferito in aula questa mattina- avrebbe iniziato a stare male fisicamente, a causa dell'innalzamento della pressione all'interno dell'occhio. “A quel punto non ce l'ho fatta più” ha concluso il denunciate, “non ci vedevo più da un occhio e mi sentivo sottovalutato a Lecco. Il 24 agosto mi sono recato al San Gerardo di Monza dove mi hanno detto chiaramente che il mio occhio era morto, la retina si era sollevata del tutto. Mi dissero che avrebbero dovuto “lottare” per salvarmelo, ovvero per non dovermelo togliere”. Dopo aver stabilizzato le sue condizioni di salute, fermo restando che dall'occhio destro non ci avrebbe più visto, il valgreghentinese ha deciso -su consiglio del “nuovo” oculista di Monza- di rivolgersi ad un medico legale per fare luce su quanto accaduto ed eventualmente accertare eventuali responsabilità. “Pensavo che fosse successo per caso, che fosse quasi colpa mia e che non si poteva fare nulla di più” ha concluso la persona offesa, “ma poi il parere del dottor Marino è stato diverso”. Ora l'uomo, che faceva l'operaio in un'officina meccanica, è disoccupato per via della sua condizione, non essendo più in grado di svolgere la sua attività: “non prendo alcuna pensione di invalidità ma a breve mi troveranno un lavoro adatto alle mie caratteristiche. Per via di questa condizione ho problemi di concentrazione, a volte ho forti mal di testa e devo prestare attenzione alle luci”.
Secondo la valutazione del dottor Luigi Marino, interpellato dalla parte offesa per un parere medico legale, il camice bianco che ha preso in carico dal primo minuto il paziente avrebbe dovuto comportarsi in maniera differente; il suo parere avrebbe fatto “scattare” la denuncia nei confronti del dottor S.C., formalizzata ai Carabinieri il 3 febbraio del 2017. E’ stato lo stesso dott. Marino -chiamato dalla parte civile a riferire nel processo “solo” in qualità di testimone e non di consulente di parte - a riferire chiaramente al giudice che nei confronti del 48enne si sarebbe dovuto procedere diversamente; secondo il professionista infatti, le linee guida prevedono, a parità di quadro clinico, un intervento immediato fin dal primo momento: “se non c'era l'oculista al pronto soccorso il paziente avrebbe dovuto essere o ricoverato o rimandato ad altre strutture meglio attrezzate”. Proprio per non essere stato indicato come consulente di parte, la relazione del dott. Marino è stata acquisita nel fascicolo del giudice limitatamente alla esposizione dei dati di fatto, escludendo le valutazioni che sono tipiche dei consulenti tecnici.
Il processo è stato aggiornato al prossimo 13 maggio per la prosecuzione dell’istruttoria, con l'esposizione dei consulenti tecnici dell'accusa e della difesa.
B.F.
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