Valmadrera: il sassofonista Ivan Maddio si racconta, tra progetti ambiziosi e le difficoltà nel fare jazz a Lecco

Impegnato da anni nel promuovere la musica a Lecco, il sassofonista Ivan Maddio, venticinque anni, originario di Valmadrera, racconta il suo percorso musicale e le prossime sfide. A partire dal progetto che sta seguendo con altri musicisti già da qualche mese.


Ce ne parli? Chi coinvolgerà?
Il progetto si chiama Biscotti Biscotti Ensemble Ensemble. E’ nato come un duo di improvvisazione musicale con me, sax e elettronica e Marco Vulcano, batteria e oggetti vari. Prima facevamo parte di un trio jazz di Lecco, poi abbiamo deciso di fare un duo. A marzo dell’anno scorso abbiamo organizzato un workshop a Costa Masnaga per creare un repertorio musicale tratto dalla Shibusa Shirazu Orchestra di Tokyo, attiva dagli anni 90 che riunisce svariati musicisti di jazz. Le loro esibizioni sono un mix di musica, teatro, danza e pittura: un’arte davvero a 360°, capace di dare vita a una performance artistica visiva e uditiva allo stesso tempo. Dopo il workshop a Costa Masnaga, quella sera abbiamo suonato e da lì abbiamo iniziato a fare concerti: il progetto sta crescendo e già ora ci sono diciassette membri che fanno parte della Biscotti Biscotti Ensemble Ensemble. Ci stiamo allargando ancora per renderla davvero un’esperienza artistica a 360 gradi come quella giapponese.

E’ un progetto ambizioso. Cosa manca ancora?
Ora sto cercando ballerini, attori e pittori. E per aprile vorremmo organizzeremo un altro workshop sempre in zona per dare una prospettiva ancora più larga e più varia al nostro progetto. Che presto farà anche un passo ulteriore: andremo in studio e prepareremo un disco con varie tracce.


Cosa devono aspettarsi chi vi ascolterà?
Musicalmente suoniamo brani dell’orchestra giapponese e nostri con una conduzione fatta da me, attraverso i simboli del sound painting. Ci sono melodie e strutture ma ogni volta l’esito può essere diverso: si improvvisa e l’arrangiamento del brano viene creato al momento da tutti gli artisti presenti sul palco, seguendo le mie indicazioni. Per ora siamo fermi e cominceremo a suonare da aprile, sia in feste di paese che in locali della zona e non. Anche la consistenza numerica del gruppo dipende dal luogo e dal contesto e ogni volta è un continuo ridefinirsi.

In che senso?
Nel progetto arriveremo a venti musicisti con ospiti variabili. In generale, con musicisti, artisti, ballerini, attori e pittori, vorrei fossimo venticinque sul palco.

Questo progetto è solo un tassello nella tua carriera musicale. Continui a studiare infatti, al Conservatorio di Brescia. Come ci sei arrivato? Qual è il tuo obiettivo?
Ho iniziato a studiare il sassofono al Crams di Lecco sette anni fa con un insegnante eccezionale come Lello Colombo. Mi sono iscritto quindi, alla Scuola Civica di Musica “Claudio Abbado” di Milano, seguendo il corso triennale e diplomandomi infine con una tesi sullo scomparso pianista di Lecco, Achille Gajo, che ha vissuto anche a Parigi. Era un pianista jazz, cresciuto musicalmente a Lecco e Milano e ha suonate anche con la sezione ritmica di Steve Lacy a Parigi. Ora invece sto affrontando la specialistica di sassofono jazz a al Conservatorio di Brescia con l’obiettivo di migliorare le mie capacità e di riuscire a insegnare in futuro educazione musicale ai ragazzi delle medie.


La tua passione per la musica com’è nata? Quali sono state le fasi più importanti?
Ho iniziato facendo rap, prima con semplici produzioni e testi. Ho fatto poi parte di un duo voce e chitarra e anche di un trio con sax, tromba e dj. Ho collaborato anche con NDP Crew, inserendo frasi di sassofono nelle loro produzioni. Mi sono infine innamorato del jazz, saltando la fase americana del bebop  e appassionandomi invece al jazz degli anni 60 e delle avanguardie storiche. Posso dire che la mia identità musicale si è formata proprio negli studi al Crams. E’ lì infatti, che mi sono dedicato con passione e costanza al jazz, collaborando con una serie di realtà: l’Orchestra del Crams diretta da Luca Garlaschelli e il Creative Jazz di Daniele Cavallanti. Ora invece, sono con due trii milanesi: NEP, con brani originali e di Monk, e con i Pangea che ha un repertorio incentrato sugli anni 60-70 con jazz d’avanguardia. Con i Pangea suonerò il 15 marzo da Aldo Dice e il 16 unendoci ai NEP alla Scighera a Milano.

Sempre riguardo alla tua formazione, che cosa ascoltavi e cosa ascolti oggi?
Ascolto un po’ di tutto, non solo jazz. Anche Sanremo che, ammetto, quest’anno ho seguito per la prima volta.  Sono contento che abbia vinto Mahmood, che ha fatto una buona sintesi della musica più di moda in questo momento in Italia, declinandola con una chiave musicale non scontata. Sono contento anche per Silvestri che ha deciso di dedicare il suo brano alla scuola e ai problemi del mondo dell’educazione.

Oltre a Sanremo però, hai detto che il tuo background musicale è molto vario. Ci spieghi meglio?
Ascolto di tutto, lo ribadisco, da Bach ai Talking Heads. Mi piacciono molto i progetti che spaziano tra influenze diverse e non facilmente etichettabili: quelli che mi piace definire musicalmente meticci. Se devo farti dei nomi, vorrei citare musicisti come Steve Lacy, Jhon Coltrane e il suo disco “A love supreme”, che tutti dovrebbero ascoltare almeno una volta nella vita, Charles MIngus e Thelonimus Monk. Sono loro i miei fari a livello musicale e compositivo. Fuori dal jazz ti cito invece tre artisti che tanto hanno dato alla mia crescita musicale: Robert Wyatt, Bjork, la mia voce femminile preferita, e EriK Satie.


Come strumento, suoni il sassofono. Cosa ti ha portato a sceglierlo?
Ho iniziato a suonarlo con la banda del mio paese. Valmadrera. Ero indeciso tra tromba e sassofono: alla fine l’ho scelto perché mi sembarava più piacevole e divertente da suonare. In generale, degli strumenti a fiato, mi piace il fatto che ci devi soffiare dentro per risvegliare la loro anima. Con il sassofono ancora di più perché fa parte della famiglia dei legni, nonostante sia realizzato di ottone. Il suono viene prodotto dall’ancia che è fissata al bocchino. E l’ancia viene ricavata dalla canna che è un’erba selvatica che si può sentire risuonare nel vento quando si passa in un campo. Secondo me è decisamente suggestivo il fatto che il suono venga prodotto da un’erba che lo può fare già naturalmente. Mi piace pensare alla mia voce come quel soffio di vento capace di far risuonare la natura, l’erba selvatica.

La tua crescita personale e musicale è gravitata intorno a Lecco. Com’è la vita di un giovane musicista, determinato a essere musicista, in questa città? Com’è la scena musicale qui? Ci sono locali adatti, quali sono i punti di forza?
La vita musicale a Lecco è difficile perché è difficile trovare serate musicali di generi diversi in città. Anche le istituzioni non sembrano avere intenzione di sostenere tanto questo settore. Ci vuole coraggio per dare spazio a un genere come il jazz in questa città: ogni giovedì continua a farlo il Libero Pensiero che mantiene una serata a settimana dedicata a questo genere, nonostante non sia proprio la scelta più remunerativa.  Artisticamente rimane però un faro nella scena musicale.


A tuo parere, cosa manca in una città come Lecco? Come potrebbe migliorare?
Mancano festival come quelli organizzati in città come Torino per pensare in grande ma anche più in piccolo come Como o Bergamo: occasioni in cui la musica risuoni in vari luoghi della città. E in questo senso a pagarne le conseguenze sono spesso i più giovani che vedono le proposte dedicate a loro messe ai margini. Le alternative invece, ci sono: basti pensare a Bergamo dove si tiene il Bergamo Jazz Festival, capace di dimostrare la vitalità di questo genere. Se si vuole investire, si può riempire anche un teatro, lasciando spazio e dando l’occasione anche ai giovani musicisti di suonare e di trovare un momento di visibilità.

Per chiudere, da giovane a giovane, cosa ti senti di consigliare a un ragazzo o una ragazza all’inizio della propria carriera?
Il mercato sembra saturo e bisogna riconoscere che ci sono poche etichette decise a scommettere sulle nuove proposte. L’alternativa è l’autoproduzione: bisogna essere determinati e investire nel marketing, soprattutto nei sociali network. E’ importate essere capaci di proporre e di trovare qualcosa di qualità che spesso richiede però, una ricerca ulteriore e più approfondita. E’ importante anche non sottovalutare l’educazione musicale, a partire dalle scuole così da educare i giovani a saper apprezzare la musica.

In che senso?
La musica deve diventare protagonista: non ha senso partecipare a un concerto in cui la musica sia solo un sottofondo. Io anzi, la abolirei la musica di sottofondo. Parlarci sopra durante un’esibizione musicale, mi sembra un po’ come svalutare la musica e renderla fastidiosa.
A.P.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.