Lecco, Fiocchi Munizioni: primo bilancio a un anno dall'operazione con Montezemolo

In primo piano Stefano Fiocchi
Alla Fiocchi munizioni, a poco più di un anno dall’annunciata “rivoluzione” societaria, è tempo di bilanci. Risale infatti all’ottobre del 2017 la decisione del Consiglio dei ministri di approvare la cessione di parte delle quote della storica azienda lecchese al fondo Charme Capital Partners Sgr Spa, legato a Luca Cordero di Montezemolo. Il fondo, attraverso un veicolo societario ha poi creato nel dicembre dello stesso anno la Fcc Spa - acronimo di “Fiocchi con Charme” - divenuta così unico socio della Fiocchi. “L’operazione in sé e per sé si è conclusa all’inizio di quest’anno - spiega il presidente Stefano Fiocchi - adesso c’è una fase diversa nella gestione che con il fondo stiamo portando avanti. Il problema principale è il mercato del munizionamento che a livello globale è molto in tensione: non è un periodo dei migliori, c’è stagnazione con prezzi estremamente bassi e compressi, che non rispecchia il periodo favorevole degli anni passati”. Sulla prospettiva di quotare la nuova azienda in Borsa, Fiocchi aggiunge: “È sicuramente uno degli sbocchi che potrà avere questa operazione in futuro, stiamo facendo delle azioni preparatorie ma non necessariamente propedeutiche. Ci vorrà qualche anno, non è assolutamente una cosa immediata, ammesso che si faccia, è una delle prospettive ma non l’unica. Il problema adesso è l’andamento aziendale che non è certo quello che ci si aspettava”.
Partiamo dal 2017, anno in cui la Fiocchi ha realizzato un fatturato di oltre 143 milioni euro e un utile superiore ai quattro milioni. Inoltre l’autorità nazionale che fa capo al ministero degli Affari esteri e che controlla l’autorizzazione all’esportazione di materiali d’armamento (Uama), lo scorso anno ha autorizzato la Fiocchi per oltre 217 milioni di euro, dieci volte il valore del 2016, ponendo così l’azienda lecchese al quinto posto per export autorizzato. “Il nostro mercato è per l’80 per cento all’estero - precisa ancora il presidente del gruppo - e quindi passiamo per l’Uama per le maggior parte delle nostre trattative. Quando facciamo una gara stiamo sempre alti, perché se poi il valore effettivo della commessa supera anche di un euro quello che avevamo dichiarato è un grosso problema e noi dobbiamo essere sempre in grado di garantire al cliente l’ordine richiesto. A questo si aggiunge poi il fatto che uno partecipa ad una gara ma non è detto che la vinca”. Dunque, stando alle autorizzazioni ma anche al fatturato, nel 2017 la Fiocchi è stata sicuramente un’azienda molto attiva sul mercato. Quest’anno però qualcosa è cambiato. Secondo i dati Istat sulle esportazioni se confrontiamo il primo semestre di quest’anno con quello dell’anno scorso, le commesse statunitensi, che rappresentano per l’azienda il principale business, sono calate di otto milioni (da oltre 22 a 14 milioni). “Il mercato americano ha rallentato bruscamente e noi che esportiamo lì per il 50 per cento ne risentiamo molto, riscontrando anche una compressione notevole dei margini per l’abbassamento dei prezzi - continua Fiocchi -. Questo fenomeno è dovuto alle elezioni presidenziali. Ci si aspettava che gli americani eleggessero Hillary Clinton, che aveva paventato restrizioni sul mercato civile delle armi e delle munizioni e la gente aveva ‘fatto scorta’. L’elezione inaspettata di Trump che aveva dichiarato fin da subito che non ci sarebbe stata nessuna restrizione ha calmierato il mercato dalla sera alla mattina. Sia l’utente finale sia il canale distributivo avevano fatto scorta in previsione dell’elezione della Clinton e il mercato è crollato. Speriamo si riprenda il prossimo anno”.
Anche gli affari di Fiocchi in Asia, Africa ed Europa, sono in sofferenza. Continuando a confrontare il primo semestre 17-18, il (ristretto) mercato africano è passato dai 613mila euro dello scorso anno ai 505mila attuali, quello europeo ha perso quattro milioni (da circa 19 a 14,5) e quello asiatico un milione e mezzo (da 5,5 a 4). “Il mercato americano detta legge sul mercato mondiale - riflette il presidente -, se quello rallenta, rallenta dappertutto. Si era creato un eccesso di offerta rispetto alla domanda a livello mondiale e questo ha portato a questa crisi. Il mercato europeo alla fine è abbastanza costante e quello asiatico dipende da parecchi fattori, mentre sul mercato africano non siamo molto presenti. Sicuramente è un momento di contrazione”.
Dove invece non si è contratto il giro di affari dell’azienda lecchese è il Medio Oriente. Non è un mercato significativo come quello statunitense o quello europeo, ma le esportazioni di Fiocchi in quell’area sono aumentate di un milione e mezzo: dai 2.260.647 di euro dei primi sei mesi del 2017 ai 3.636.483 del primo semestre 2018. “Abbiamo messo in atto un fenomeno di sostituzione, dove si riesce, anche se l’esportazione dei nostri prodotti va analizzata Paese per Paese e sul lungo termine. In questi Stati il nostro cliente è generalmente il governo, ma in Egitto ad esempio vendiamo anche ai privati, dipende dall’articolo” spiega Fiocchi. I Paesi di cui stiamo parlando sono l’Arabia Saudita, dove Fiocchi ha venduto fino a giugno commesse per 251mila euro, l’Egitto (103mila euro), gli Emirati Arabi Uniti (poco meno di un milione), la Giordania (1.768.957 di euro), Israele (poco più di 200mila euro), il Kuwait (mezzo milione) e il Libano per 120mila euro. Si tratta di Paesi “sensibili”, dove la sicurezza personale e i diritti fondamentali dell’uomo non sono sempre rispettati. Basti pensare ai tragici fatti di cronaca che hanno riguardato il giornalista Kashooggi, assassinato al consolato saudita in Turchia, o al ricercatore italiano Giulio Regeni torturato e ucciso in Egitto. Rispetto a questi Paesi “noi ci atteniamo ai criteri della legge italiana che sono già molto restrittivi, non abbiamo una politica diversa salvo casi eccezionali in cui io decido di non esportare, siamo nel pieno rispetto della Legge”  afferma Stefano Fiocchi, che sull’ipotesi di abbandonare questi mercati aggiunge: “In questo momento non possiamo neanche permetterci di fare delle scelte perché impatterebbe eccessivamente sui livelli occupazionali. Non abbiamo dei canoni, si va a prendere dove si riesce a vendere, non possiamo permetterci il lusso di scegliere, io ho un’azienda da mandare avanti. Del resto noi facciamo munizionamento di piccolo calibro”.
M.V.
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