Lecco: Angelo Corbo, agente della scorta di Falcone, racconta alle scuole l'attentato di Capaci
"Il 23 maggio del 1992 mi sono trovato coinvolto in una strage che ha cambiato l'Italia, una strage in cui sono morti Giovanni Falcone, sua moglie e parte della scorta. Io facevo parte di quella scorta, ero nella terza macchina. Avevo 26 anni e sono sopravvissuto, portandomi un fardello sulle spalle fino ad oggi". Così si è presentato Angelo Corbo questa mattina in sala Ticozzi agli studenti di alcune classi terze delle scuole medi lecchesi: è uno degli agenti che faceva "da guardia" al magistrato palermitano il giorno in cui, 26 anni fa a Capaci, Falcone perse la vita insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre membri della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Corbo, ospite del CPL, sarà in città anche questa sera per un incontro pubblico con la cittadinanza alle 21 e domani per parlare nuovamente agli studenti, questa volta delle superiori.
Angelo Corbo
"Voi della mafia che cosa sapete? - ha chiesto il poliziotto (ormai in pensione) ai ragazzi - Io non voglio farvi un trattato, tenervi una lezione, per quello basta un libro. Io vorrei sottolineare un'altra cosa: il comportamento mafioso è quel modo di pensare, agire e fare che è intrinseco in tutti noi, che ci porta a non rispettare la persona che ti sta accanto e che ti è vicino. Il comportamento mafioso in questo senso non c'è solo in Sicilia, ma si trova in tutto il mondo ed è un atteggiamento che può esplicitarsi in tutte le età". Per fare un paragone che fosse vicino alla quotidianità dei ragazzi di 12 o 13 anni Corbo ha detto loro: "Pensate al bullismo, non è altro che una forma di mafia. Che differenza c'è tra il bullo e il capomafia? Nessuna: il capomafia vuole arricchirsi e farsi potente sulle spalle degli altri, si sente forte quando è circondato da tanti soldatini e burattini. Esattamente come il bullo, che senza la complicità dei suoi compagni non avrebbe nessun potere. Il mafioso e i suoi burattini, il bullo e i suoi compagni, hanno bisogno di un altro elemento: l'omertà. Quell'atteggiamento per cui si vede qualcosa, si sente qualcosa, ma si voltano le spalle, facendo finta di non accorgersi di quello che ci succede attorno, per non esserne coinvolti. Questo atteggiamento consente ai mafiosi di continuare a fare i loro sporchi affari. Se tutti ci ribellassimo, i mafiosi la smetterebbero. Così come il bullo".
Per continuare il parallelismo l'ex agente ha portato l'attenzione del suo pubblico su un altro elemento che accomuna le due dinamiche: la vittima. "E' una persona che non vuole fare il prepotente, ma desidera solo trascorrere la sua vita in modo libero. Mentre i prepotenti, se non sei come loro, ti fanno terra bruciata attorno. Essere vittima non significa per forza morire, la vittima è quella che perde la propria dignità, che si colpevolizza, anche a me è successo". Corbo ha raccontato di essere stato vittima di bullismo da ragazzo, quando frequentava la scuola, un'esperienza che lo ha portato a bigiare le lezioni e a chiudersi in se stesso, fino a quando un giorno, stanco dei soprusi, ha reagito, ma ha avuto la peggio ed è finito in ospedale con un'emorragia interna: "Ho sbagliato, rispondere alla violenza con la violenza non serve a nulla. Avrei semplicemente dovuto chiedere aiuto. Io persi l'anno per le troppe assenze e i mesi trascorsi in ospedale. Allo stesso modo il bullo venne bocciato per via del suo comportamento. Entrambi siamo stati rimessi nella stessa classe: abbiamo dimostrato che quel ragazzo levato dal gruppo che lo incitava all'atteggiamento mafioso, è cambiato completamente. Non è nata un'amicizia ma un rispetto reciproco: mi ha chiesto scusa perché aveva capito di aver sbagliato".
Attraverso la condivisione di questa esperienza Corbo ha accompagnato gli studenti nel proprio universo, tra le strade del proprio quartiere popolare di Palermo, mostrando loro come "diventare mafioso" non sia una cosa così complicata: "Mentre tu sei in giro con gli amici, con la bicicletta, dei ragazzi ti avvicinano e ti dicono ‘mentre cammini dai un'occhiata e se c'è qualcuno che non fa parte di noi, se c'è una pattuglia o un gruppo rivale, avvisaci'; in cambio alla fine della settimana quei ragazzi ti davano 5mila lire ai miei tempi, oggi forse 20 euro. E poi ti dicono ‘già che sei in strada tieniti qualche dose in tasca, così la vendi agli amici' e la mancia al termine della settimana aumenta. E quando si entra in questo vortice non se ne esce la più: una sera ti ritroverai ad accompagnare un amico ‘a bagnare le piante fuori da un negozio', non con l'acqua, ma con la benzina e poi ti daranno ‘il ferro' e se ti danno una pistola è perché la devi usare. Ecco qua, avrete fatto carriera da vedetta a mafioso assassino".
Corbo ha spiegato che questi suoi vissuti, insieme ai valori e agli ideali che gli ha trasmesso la sua famiglia lo hanno potato a prendere la scelta di diventare un poliziotto, oltre ad un episodio determinante: l'uccisione di Claudio Domino, un bambino di undici anni. "Ancora non sono chiare le ragioni della sua morte. Claudio era un ragazzino che conoscevo perché la sua famiglia aveva una cartolibreria vicino alla scuola che frequentavo. Un giorno, un gruppo di mafiosi gli ha scaricato un caricatore della pistola addosso. Secondo una ricostruzione dei fatti il bambino il giorno prima avrebbe visto un movimento illegale tra ragazzi che conosceva molto bene che si sarebbero scambiati armi o droga e sarebbe stato così ucciso per paura che potesse riconoscere e denunciare qualcuno. Un'altra versione dei fatti racconta che questa sia stata una vendetta nei confronti dei genitori, i quali avevano vinto l'appalto per la pulizia dell'aula bunker del Tribunale di Palermo dove dal 1986 al 1988 si celebrò un maxi-processo che ha visto alla sbarra 535 imputati e al termine del quale sono state emesse 340 condanne. Un gruppo di mafiosi, secondo quest'altra ipotesi, avrebbe chiesto la complicità ai genitori di Claudio per fare un attentato all'interno dell'aula bunker e davanti al loro diniego si sarebbero vendicati assassinando il figlio".
E così Angelo Corbo sceglie di diventare un poliziotto, un poliziotto che a soli 24 anni sarà assegnato alla scorta di Giovanni Falcone. "Era un palermitano che credeva nella sua missione e credeva nella sua terra bersagliata dalla mafia e per questo aveva scelto di diventare un magistrato, un magistrato di strada, in prima linea per lottare contro la mafia. Per questa causa Falcone ha rinunciato a tutto nella vita e ha deciso di passare la sua vita in una condizione di quasi solitudine: lui sapeva di essere un ‘morto che cammina' e sapeva che stare con altre persone le avrebbe messe in pericolo. Io non ho scelto di diventare membro della scorta. Nei miei primi anni di servizio ho fatto la classica gavetta, ma dopo due anni e mezzo sono stato scelto per fare la scorta di Falcone, non perché ero bravo o atletico ma perché nessuno voleva fare la scorta a Falcone. Quindi vengo scelto io a 24 anni, con due anni e mezzo di servizio perché decido di accettare questa vita, facendola accettare anche a mia moglie, che per tutti quegli anni è stata la mia complice e la mia unica confidente".
Per due anni Corbo fece parte della scorta di Giovanni Falcone, fino al 23 maggio del 1992: "Era una giornata di lavoro come un'altra. Falcone in quel periodo viveva a Roma e tornava a Palermo nel fine settimana per vedere la famiglia. Avevamo già il programma di quei giorni: sarebbe arrivato in aeroporto, la sera sarebbe stato a cena da amici e l'indomani sarebbe andato a Trapani ad assistere ad una pesca folkloristica. Noi avevamo preso servizio alle 13 e tutto si era svolto normalmente fino alle 17.58 quando, dopo aver preso il giudice e la moglie in aeroporto, viaggiavamo in autostrada e arrivati all'altezza di Capaci, ricordo che ero sul sedile posteriore, voltato a guardare fuori dal lunotto, ho sentito un boato e la sensazione di volare. 500 chili di tritolo posizionati sotto l'autostrada ci avevano fatto saltare in aria per sei metri, per poi farci atterrare su quello che rimaneva dell'asfalto. Ricordo il frastuono, il dolore fisico e il sangue che mi colava addosso, non appena uscito dall'auto ho capito che si era trattato di un attentato e sono andato vero la macchina di Falcone. Per ammazzarlo non hanno avuto il coraggio di avvicinarlo a Roma, dove girava senza scorta, non hanno avuto il coraggio di fargli agguato e aprire un conflitto a fuoco. Hanno voluto distruggere un'autostrada, dove c'erano tante altre persone: ricordo una Uno rosso nella corsia opposta, dove c'erano due turistici austriaci, qualche chilometro prima di quel boato abbiamo superato un pullman con a bordo una cinquantina di ragazzi. La mafia è stato il braccio armato di qualcun altro: c'è una parte di Stato che preferisce fare accordi con loro per convenienza, per soldi, per potere e chi poteva non ha fatto nulla per salvare Falcone. Io sono sopravvissuto, ma quando sopravvivi muori in ogni momento perché non trovi una spiegazione della tua esistenza in vita".
Corbo ha provato a dare un nuovo senso alla sua vita, rendendosi disponibile ad incontrare ragazzi e cittadini per portare loro la propria testimonianza di quel giorno drammatico e per non lasciare cadere nell'oblio una pagina odiosa della nostra storia.
Manuela Valsecchi