Lecco: Andrea Gobetti scrittore e maestro della montagna, ospite del Gruppo Gamma

Sfuggendo dalle fatiche dei monti, Andrea Gobetti ha raggiunto giovedì sera il presidente del Gruppo Gamma di Lecco Marco Corti in vetta al palco della Sala Ticozzi.
Protagonista e presentatore d’occasione della pellicola “Cannabis Rock” diretta da Andrea Frigerio, Gobetti ha trascinato i suoi spettatori in un viaggio alla riscoperta di quella “cometa caduta nell’oscurantismo, bella da veder tornare nonostante alcuni errori di prospettiva”. In questo penultimo appuntamento del ciclo di conferenze “Lecco, Autunno d’Alpe”, egli si è dimostrato straordinariamente acuto nel raccontare le contraddizioni, i divertimenti, i fari conduttori della Valle dell’Orco, patria e maestra indiscussa del suo originale pensiero alpinistico.

Da sinistra Andrea Gobetti e Marco Corti

Gobetti è un cantastorie dalle eccezionali capacità di intrattenimento che non tradisce le aspettative: dall’ imitazione della corrente dei climbers “Californiani tutti fratelli” è rimasto irriverente, irritante, ironico e pungente. L’evento è riuscito perfettamente, grazie anche all’accompagnamento culinario e alle meditazioni musicali di Flavio Mattioli e Andrea Venturini.
Nato a Torino, Andrea Gobetti “arrampicava per arrampicare, per puro piacere e non per chissà quale conquista”. Scrittore piemontese, egli ha curato per alcuni anni la rubrica “Roc” della Rivista della Montagna e ha collaborato con la rivista Alp.  Ancora imberbe, inizia con la Speleologia per poi finire nel “Circo Volante” di Giampiero Motti, suo amico e mentore, “un Ulisse che arriva sulla spiaggia e trova dei disperati da salvare”, come è stato definito. La passione per l’arrampicata è frutto di una “purificazione spirituale”, nata dalla necessità di realizzare la propria libertà interiore. A seguito delle prime esperienze in parete, Gobetti affronta la scuola in un modo tutto suo: “Dopo che rischi la vita una, due, tre volte, ma per davvero, la scuola cosa vuoi che sia? Ha persino il pavimento piatto”.

Fin dalla prima adolescenza, egli si è dichiarato alla ricerca di “uno spazio dove poter essere idealista senza nessun castigo”, che con la scuola ha poco a che fare. E’ proprio il rifiuto verso un’istruzione convenzionale e dogmatica a permettere l’amore per quel “mondo in sviluppo che non puniva gli idealisti, poichè a comandare erano i piedi e non la testa”.  Vicino ai 18 anni intraprende la sua avventura di “matto dell’arrampicata”, affiancato da Giancarlo Grassi, Danilo Galante, Max Demichela, Roberto Bonelli, Paolo Lenzi e Giancarlo Grassi, in una lotta “contro i simboli del grande alpinismo”. Le scarpette utilizzate dal “Mucchio Selvaggio” di giovani infuocati dal rischio furono “la pietra dello scandalo”: le loro suole di gomma si inserivano in una “prospettiva molto più viva”, arricchendo le potenzialità della scalata. Ciò nonostante, queste ultime rimasero le antagoniste per eccellenza degli scarponi, tesoro del “vero alpinismo”.
A seguito della morte di Danilo Galante, la “prima morte all’interno del gruppo”, il triste stupore spinge quel movimento di amici a rompere l’insieme delle esperienze, ponendo per certi versi fine ai suoi sviluppi. Andrea Gobetti torna quindi allo studio di quegli antri sotterranei lontano dal sole, che ancora lo accompagnano. La sua vita è la speleologia, simbolo di un “mondo fatto come è fatto, dove cerchi di passare dove il buco è più largo”.
M.Mi.
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