L’ECO DEL SILENZIO/2: Melissa racconta mamma Filomena. Lo 'strappo' del coma, il valore dei sogni e il peso dell’anima

Melissa e mamma Filomena
Sembra trascorsa una vita da quei pranzi in famiglia durante i quali mamma Filomena imbandiva la tavola di casa, con le stesse abili mani da sarta che avevano impresso infinita delicatezza e precisione nel lavoro tanto quanto ora facevano nel "cucire" ogni mezzogiorno dolci ritagli di quotidianità per la sua famiglia. Oggi a dar voce sia a quei ricordi indelebili sia alla stessa Filomena - a oltre 15 mesi di distanza dall'incubo del coma improvviso che l'ha sottratta ai suoi cari -  è la figlia Melissa, che con gli occhi lucidi ed il coraggio annodato in gola racconta come non solo "sembra trascorsa una vita", ma ne sia iniziata una completamente nuova.
Con 70 primavere alle spalle e due interventi al cuore con tanto di sostituzione della valvola mitralica, dal 2003 Filomena aveva iniziato a seguire nella sua casa a Merate un'adeguata terapia farmacologica intervallata da continui controlli di routine con cardiologi ed epatologi: la sua situazione clinica era costantemente sotto stretta osservazione, eppure dai suoi esami si riscontrava sempre un valore altalenante e mai stabile. Che sia stato quello o meno il fattore scatenante dell'emorragia cerebrale verificatasi durante uno dei rituali pranzi in famiglia o piuttosto una serie di cause concomitanti, ormai ha perso importanza: ciò che resta nella memoria sono il repentino dolore al braccio sinistro, il successivo mancamento e la disperata chiamata ai soccorsi mentre Filomena stava lentamente cadendo in quel sonno profondo che ancora la attanaglia.

In quel momento esatto quindi sua madre si è resa conto di cosa le stava succedendo. Melissa, quale è stata invece la sua prima reazione di fronte alla consapevolezza di ciò che era accaduto?
Sarò sincera, all'inizio volevo che mia mamma finisse la sua vita subito. Inizialmente per me questa non era assolutamente vita, l'ho sempre ribadito, e soprattutto è un qualcosa che chi non prova sulla sua pelle non potrà mai capire fino in fondo. L'arrivo qui all'Airoldi e Muzzi - sebbene per me sia stato molto duro - mi ha in un certo senso fatto cambiare idea: prima pregavo il Signore affinché mi portasse via mia madre, adesso invece non lo prego di farla rimanere qua ma sto sicuramente rivalutando la sua vita e la mia. Per me qualsiasi suo atteggiamento e stato d'animo è da vivere quotidianamente e da prendere in maniera positiva e questo è ciò che mi dà la forza per andare avanti, guardando le cose sotto un'altra ottica. Tanti potrebbero considerare le mie azioni come una forma di egoismo, ma nel momento stesso in cui mi dovessi rendere conto che mia mamma sta soffrendo sarò la prima a dire alla dottoressa di non fare più nulla di quanto sta facendo per tenerla in vita.

Lungo tutto questo percorso emotivo, psicologico ma soprattutto tragicamente reale quale parola, sentimento o concetto assocerebbe allo stato vegetativo?
Non penso che sceglierei un aggettivo perché ce ne sono davvero troppi. Piuttosto sceglierei la parola "strappo". Mia madre per me era tutto: non solo un genitore ma anche sorella ed una amica, ecco perché quello che più mi ha fatto soffrire è stato l'avermela strappata via in mezzo secondo. Penso che a differenza di altre malattie, come ad esempio un cancro, quando mi è stata tolta mia madre è stato difficile accettare il fatto che tutto fosse accaduto così bruscamente.

C'è stato qualcuno che le è stato particolarmente vicino?
Ognuno davanti alle situazioni delicate - sia che si tratti di un lutto o di una malattia - reagisce ed agisce in maniera diversa, però credo che questi momenti della nostra vita ci facciano davvero capire quali persone siano realmente accanto a noi e quali no: sebbene ciascuno abbia la propria vita fatta di famiglia, impegni e necessità i nostri parenti sono sempre stati presenti mentre devo ammettere che per quanto riguarda le amicizie non è sempre stato così.

Uno dei temi più sensibili di cui abbiamo parlato è proprio il contatto ed il dialogo con l'ambiente esterno. Quella dello stato vegetativo è una condizione fisica - ma anche mentale - che appare inconsapevole e poco definita per tutti coloro che non la vivono, rischiando quindi di cadere in una disinformazione che genera luoghi comuni. Da questo punto di vista, come è stato per lei dover spiegare quello che stava succedendo a sua madre a coloro che la vivevano "da fuori"?  
Quello che vedo è sempre troppa ignoranza: non nel senso dispregiativo del termine, ma semplicemente la maggior parte delle persone "ignora" questo problema, da un lato sicuramente perché non c'è abbastanza conoscenza in merito ma dall'altro forse anche per una buona dose di menefreghismo.
A volte basterebbe una telefonata, non solo per chiedere come sta mia mamma ma anche per interessarsi di come sto io. Invece la gente ha il timore di fare queste domande, spesso per paura della risposta o anche solo di una mia reazione. Io posso dire di avere solo un'amica che mi fa questa domanda, sempre nel rispetto del mio dolore e di quello di mio padre. E quando al contrario mi capita di trovarmi davanti una persona falsa, che mi pone certe domande esclusivamente per curiosità, mi chiudo totalmente, per proteggere me stessa ma soprattutto la mamma.

Tra gli stereotipi dell'immaginario collettivo di cui parlavamo uno è sicuramente quello che ritrae i pazienti in coma immobili ed inermi, attaccati a molte macchine nonché a flebo e tubi. Ma l'esperienza di Filomena e degli altri ospiti dell'IRAM dimostra che non è così e che, anzi, spesso questi si lasciano scappare espressioni e gesti che rimandano alle persone che erano prima, e che (non così) in fondo sono ancora. Lei, Melissa, ha vissuto la stessa cosa con sua madre?
Sì, certo. All'inizio quando lei era in un'altra struttura riabilitativa mi è capitato di vederla piangere, mentre ieri invece - quando sono venuta a trovarla dopo qualche giorno di assenza - ha sentito la mia voce ed ho proprio visto la sua fisionomia e i suoi occhi rattristarsi e guardarmi, come se avesse sentito la mia mancanza. Ovviamente non è un "guardare" inteso nel modo in cui ci stiamo guardando io e te mentre parliamo: il suo è piuttosto come un penetrarmi dentro, che mi permette di riconoscere sia la sua serenità sia i momenti in di tensione e tristezza. La cosa importante secondo me è sfatare il mito che queste persone non sentano dolore: io stessa non ero sicura di questa cosa, ma l'ho vissuta proprio con mia mamma settimana scorsa quando sono andata a cambiarle la PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea, tecnica per la nutrizione enterale, ndr.) e nel momento in cui l'infermiera le ha fatto l'anestesia locale lei ha avuto un sussulto e si è subito girata verso la donna, osservandola come per farle capire che le stava facendo male.

Il parco degli Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi
In merito a questo, le andrebbe di raccontare un momento della vostra "giornata tipo"? 
Io e lei abbiamo un nostro posto nel giardino degli Istituti dove ascoltiamo la musica e chiacchieriamo. Ovviamente io parlo e lei ascolta, ma mi è molto utile per andare avanti. A casa invece faccio di tutto per sdrammatizzare e ripercorrere tutti i bei ricordi che abbiamo trascorso insieme: questo aiuta soprattutto mio padre, che insieme alla mamma quest'anno a casa avrebbe festeggiato 50 anni di matrimonio. Ricordare i momenti belli così come le arrabbiature, i momenti importanti che abbiamo passato: questo è ciò che ci sta facendo andare avanti.

C'è stato un momento che ha rappresentato una svolta nel suo modo di considerare la disabilità di sua madre?
Si è trattato più che altro di un sogno. Per me i sogni sono importanti perché hanno sempre segnato qualcosa di importante nella mia vita: ci metto un po' prima di capirli, ma quando accade riesco a collegare tutto. Dopo poco tempo dall'accaduto, ho sognato me e mia madre mentre andavamo in bicicletta insieme: quello che più mi ha colpito è stato che io stavo seduta davanti e tenevo il manubrio mentre lei era dietro con le braccia attorno alla mia vita, come se io avessi il ruolo della sorella maggiore e lei quello della bambina. Era come se in quell'esatto momento io avessi realizzato che i nostri ruoli si sarebbero invertiti e che da quel giorno io avrei dovuto iniziare a prendermi cura di lei.

Visto che fino ad ora ci siamo concentrate soprattutto sulla vita all'interno dell'Istituto, se invece dovesse trovare un messaggio da trasmettere a chi leggerà queste righe, cosa pensa che sarebbe importante far conoscere alle persone come spunto di riflessione?
La gente "fuori" - compresi tutti noi che fino poco tempo fa non siamo mai stati dentro una situazione simile - pensa che queste persone siano solo dei corpi. Mia madre non è morta, né tantomeno è un corpo vuoto: è un'anima dentro un corpo che non gli appartiene più.

Continua/3
Francesca Amato
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