In viaggio a tempo indeterminato/23: in famiglia a Quy Nhon

A Quy Nhon non c’è molto da vedere. La spiaggia è bella, ma nulla di superlativo. La città carina ma non memorabile. Qualche monumento o tempio qua e là che si vedono al massimo in 2 giorni. Allora perchè ci siamo fermati quasi due settimane proprio qui? Il motivo è solo uno... abbiamo trovato una famiglia. Ma partiamo dall’inizio. Arriviamo a Quy Nhon dopo una nottata in treno. Siamo talmente stanchi e accaldati che neanche il forte e dolce caffè vietnamita riesce a darci un po’ di energia. “Ma che ci facciamo qua? Non c’è niente... due giorni e ce ne andiamo!”. Abbiamo prenotato una stanza in una homestay vicino al centro. Le homestay sono una specie di bed & breakfast gestito da famiglie locali. In Vietnam ce ne sono davvero moltissime e in genere hanno prezzi molto bassi. Appena arriviamo, ci corre incontro abbaiando Boo, un cagnetto arrabbiato seguito da Nii, un piccolo meticcio tutto peloso. A zittirli però interviene subito la signora Suòn che ci guarda, fa un enorme sorriso e in due minuti ci ritroviamo seduti al tavolo con davanti un bel bicchiere d’acqua fresca... Meno male, con 30 gradi e lo zaino ci stavamo sciogliendo! “I’m learning English!” (“sto imparando l’inglese!”), ci urla la signora Suòn, con quella voce stridula e dolce allo stesso tempo, tipica delle donne in Vietnam. É una signora piccola e magra, sulla sessantina, con un sorriso contagioso e un’energia che sprizza da tutti i pori.


Proprio in quel momento entra nella stanza Den, il figlio, un ragazzo sulla trentina che con una chitarra in mano ci dà il benvenuto. Mentre ci accompagna al piano di sopra dove si trova la stanza ci dice “C’è un altro ragazzo italiano che dorme qui!”. Mmmm ecco, pensiamo... quando incontriamo un altro italiano in viaggio siamo sempre un po’ scettici. Con Marco, invece, va alla grande fin dal primo momento. Sarà l’accento romano o il sorriso sincero, fatto sta che passiamo quasi un’ora a chiacchierare. Zaino in spalla, autostop e pochi programmi, Marco, un po’ come noi, sta cercando la sua strada viaggiando ed è capitato per caso a Quy Nhon. E così quelli che dovevano essere due giorni, diventano cinque, poi sette, poi dieci. Ogni mattinata inizia con la signora Suòn che canta e suona il pianoforte e finisce con una “family dinner” (cena in famiglia). La signora mette tutti in riga, Angela ad aiutare in cucina, Marco a tagliare la frutta e Paolo ad apparecchiare. A tavola noi italiani non facciamo complimenti e, una ciotola di riso dopo l’altra, assaggiamo moltissimi piatti deliziosi.


La fortuna più grande che abbiamo, però, è quella di vedere da vicino come vive una famiglia in Vietnam. E così scopriamo che tutti, ma proprio tutti amano la musica. In casa si suona la chitarra, ci si improvvisa batteristi o si strimpella al piano e poi si canta, non importa se si è intonati o no. La seconda cosa che impariamo è che gli uomini non aiutano molto nelle faccende domestiche. Mentre la signora Suòn pulisce le camere, cucina, accudisce i cani, il marito gioca a carte e il figlio Den si esercita nel Kung Fu (meglio lasciarlo tranquillo dato che, a quanto pare, ha vinto vari premi in questa disciplina!). E poi scopriamo che tre italiani che provano a parlare vietnamita possono far ridere davvero di gusto un’intera famiglia, vicinato compreso. Alla fine dei dieci giorni, tra un “Paolo same same Mr Bean” (Paolo assomiglia a Mr Bean) e “Angelii cooking” (Angela aiuta in cucina), tra abbracci, baci e cuoricini fatti con le mani, ci siamo sentiti davvero parte di questa stupenda famiglia. Rimettersi lo zaino in spalla non è stato semplice, ma se c’è una cosa che stiamo imparando in questo viaggio è che solo lasciandoci andare e non forzando gli eventi le cose belle succedono.

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Angela e Paolo
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