Le bellezze di Olginate in mostra grazie al FAI: un viaggio tra storia e cultura della ‘Corte’ di Capiate e Santa Maria la Vite

Il “borgo” di Olginate ha aperto le proprie porte al FAI (Fondo Ambiente Italiano), per mostrare al pubblico le bellezze dei suoi quattro luoghi più caratteristici, in tutto il loro splendore: in migliaia, nelle due giornate di sabato 24 e domenica 25 marzo, hanno raggiunto il paese sulle rive dell’Adda per lasciarsi rapire e incantare dalla splendida Villa Schiatti, che nasconde i resti dell’affascinante Ponte Romano, e da Villa Sirtori con la sua pressoché sconosciuta cappellina, nonché dalla Corte Medievale di Capiate e dal Convento di Santa Maria la Vite nell’omonima località.

Il portale di accesso alla Corte Medievale di Capiate

In tutte le tappe sono state organizzate delle visite guidate grazie ai volontari della delegazione lecchese del FAI, ma anche agli studenti del Liceo Artistico “Medardo Rosso” e ai tanti olginatesi che, ancora una volta, sono scesi in campo – chi per allestire un punto ristoro, chi per garantire la sicurezza dei tanti avventori – per far sì che le due giornate fossero un grande successo. In moto anche un bus-navetta, per trasportare i visitatori dalle due ville centrali alle altre due tappe in “periferia”. Anche noi ci siamo accodati a un gruppo di “turisti” – molti dei quali provenienti anche da fuori regione – per fare un tuffo nel passato e scoprire tutti i segreti della Corte Medievale di Capiate, tuttora al centro di importanti studi storici e di lavori di restauro a cura dell’Associazione “Radici nel Futuro” Onlus, per poi spostarci nella suggestiva frazione di Santa Maria, dove il tour è stato condotto proprio dai ragazzi del Liceo Artistico di Lecco.

Ecco che cosa abbiamo scoperto… Il “castello” di Capiate, già noto come “corte di Sant’Ambrogio” in quanto parte dei possedimenti dell’omonimo monastero milanese a partire dal IX secolo, fu un importante luogo di controllo del territorio durante tutto l’Alto Medioevo, quando iniziò ad essere fortificato per ragioni difensive, con l’aggiunta di un ulteriore edificio protetto da una muratura di almeno 80 centimetri di spessore.

Una parte della necropoli di Capiate

In epoca romana, il complesso si presentava invece come una villa rustica circondata da un ampio portico. Dall’anno 1000 in poi, dopo la partenza dei monaci, il castello sarebbe stato abitato unicamente dal gastaldo, una sorta di amministratore delle proprietà feudali, che di fatto andavano a costituire – ed è stato così fino agli albori del ‘900 – una “casa tributaria”, ovvero un’azienda agricola destinata a rifornire il re e la sua corte.

Capiate era infatti famosa per i suoi vini, ma non altrettanto – come spesso si credeva erroneamente – per l’olio, che arrivava nel borgo alle porte di Olginate direttamente da Limonta, per poi essere trasportato fino a Milano. Tutti i prodotti della terra venivano depositati in appositi “magazzini” all’interno del “castrum”, testimone palese del processo di “incastellamento” difensivo che nell’Alto Medioevo riguardò evidentemente anche il nostro territorio.

In generale, il complesso ha mantenuto le diverse fasi costruttive che lo hanno progressivamente trasformato, conservando però quanto edificato in precedenza: attorno all’antica “corte”, per esempio, si riconosce ancora la cosiddetta “torre” (in realtà un semplice edificio di pietra), dimora signorile delle famiglie Spini e Mornico a partire dalla seconda metà del Cinquecento.

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Sorprendente anche la recente scoperta della vasta necropoli circostante: gli ultimi scavi hanno infatti consentito di rinvenire un’antica tomba (forse contenente i resti dell’abate del monastero) e numerose “sepolture privilegiate” risalenti all’Alto Medioevo sia nell’atrio, sia intorno a quella che un tempo era una basilica.

Il chiostro nel Convento di Santa Maria la Vite

Pare che, con il passare del tempo, tutte le fosse siano state utilizzate più volte dagli abitanti del posto, soprattutto a seguito dello scatenarsi di epidemie fortemente letali come la peste nera del 1348: il risultato fu un progressivo e continuo accumulo di corpi, uno sopra l’altro, emersi come mucchietti di ossa dello spessore non indifferente di oltre 20 centimetri. A completare la cornice, anche un piccolo oratorio di origini ottocentesche, attualmente inagibile perché interessato da studi archeologici. Immancabile, infine, una breve tappa tra i rustici trattori in bella mostra nell’aia, simboli della tradizione più recente della corte.

In una zona fortemente strategica, almeno fino all’anno 1000, anche il Convento di Santa Maria la Vite, che prenderebbe il suo nome da un’antica leggenda secondo la quale nel Medioevo, quando era ancora un castello, era abitato da briganti ghibellini scacciati “all’inferno” grazie a un provvidenziale intervento della Madonna proprio con una pianta di vite; una seconda ipotesi etimologica ruota invece intorno all’esistenza, in passato, di parecchie coltivazioni di uva nei paraggi.

Al di là degli appellativi, pare che la chiesetta esistesse già nel XII secolo, quando era affidata ai monaci dell’ordine di Sant’Ambrogio, come si evince dagli scritti di Goffredo da Bussero: inizialmente composta da una sola navata, a partire dal 1448 iniziò ad essere sottoposta a una serie di lavori di ampliamento fino a diventare, nel 1472, un monastero a tutti gli effetti, in cui quotidianamente venivano celebrate funzioni eucaristiche. Il punto di forza dell’intero complesso – oltre al suggestivo chiostro – è indubbiamente rappresentato dai numerosi affreschi ancora ben visibili all’interno dell’edificio religioso, sui lati e dietro all’altare, nonché nel piccolo oratorio adiacente: tra le scene rappresentate e tra le figure di santi non perfettamente identificabili, anche l’Ultima Cena – con tanto di gamberetti di fiume e di amarene sulla tavola – e l’Assunzione di Maria, oltre a una simbolica lotta di Cristo con il peccato: singolare il fatto che, in quest’ultimo dipinto, sia scomparsa proprio la figura del Signore, “caduta” con il tempo insieme a parte dello strato protettivo di calce spalmato sul muro della chiesa.

Due studentesse del Liceo Artistico di Lecco nei panni di “guide”

Dopo la chiusura definitiva, nel 1792 l’intero compendio fu acquistato da privati che lo trasformarono in casa rurale, adattando l’edificio religioso a opificio serico. Attualmente è gestito dall’Associazione Giuditta Podestà. Come anticipato, la delegazione lecchese del FAI ha accompagnato i visitatori anche alla scoperta di Villa Sirtori e Villa Schiatti, entrambe affacciate sul lungolago: attuale sede della Biblioteca di Olginate, la prima è sorta come “casa-fortezza” all’inizio del XIV secolo, intorno a una torre appartenuta alla famiglia dei feudatari d’Adda, che successivamente l’ha ceduta alla casata di imprenditori serici dei Crippa prima e ai Sirtori poi.

Alcuni volontari del FAI

Risale invece alla prima metà del ‘900 Villa Schiatti, collocata a pochi passi dalla diga: circondata da un immenso giardino, contiene anche i resti di un antico ponte romano che un tempo univa le due sponde di Olginate e Calolzio. Costruito intorno al III-IV secolo, si pensa che facesse parte del complesso di opere militari avviate all’epoca dell’Imperatore Aureliano per la difesa del confine settentrionale del territorio di Milano e degli accessi alla rete viaria italica delle Alpi.
Benedetta Panzeri
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