
Maurizio Castagna e Francesco Sorrentino in una foto d'archivio
scattata il giorno della convalida dell'arresto
Assoluzione perché il fatto non sussiste. In subordine la riqualificazione del reato in "tentata induzione indebita a dare o promettere utilità" oppure in "tentata concussione" oppure ancora in "traffico di influenze illecite", con l'applicazione del minimo della pena e, in ogni caso, il riconoscimento delle attenuanti, compresa il risarcimento del danno. E' quanto chiesto quest'oggi dai difensori dell'odontotecnico Francesco Sorrentino con le conclusioni condivise poi dalla sorelle avvocato Marilena e Patrizia Guglielmana per il geometra Maurizio Castagna, vistesi "tagliare l'erba sotto i piedi" dall'analitica ricostruzione della vicenda tracciata, dividendosi i compiti, poco prima, nel corso della mattinata, dai colleghi Valentina Ramella e Stefano Pelizzari, chiamati non solo a provare l'innocenza del loro assistito ma anche a "salvare" l'ingente patrimonio dello stesso, "in scacco" in relazione ad un'eventuale condanna, come prospettata dalla pubblica accusa, per il reato di concorso in concussione, punito anche con la confisca per equivalente di quanto, riconducibile all'imputato, già posto sotto sequestro preventivo. Da qui l'esigenza dei legali del lecchese, già consigliere comunale a Palazzo Bovara e già candidato sindaco non eletto di Calolziocorte, di far quantomeno "ridefinire" dal collegio giudicante la condotta ascritta al loro assistito, non essendo la confisca prevista per le fattispecie tentate o per il traffico di influenze. Sul piatto, come evidenziato dall'avvocato Pelizzari ci sono quasi 2 milioni di euro, a fronte di un supposto profitto di 500 euro per la presunta mazzetta che lo stesso avrebbe veicolato per sbloccare una pratica edilizia all'amico Castagna, pubblico ufficiale, facendo da tramite per Giovanni Minervini, legale di quel Marco Rota dal quale è originata tutta l'ormai celebre vicenda, sviscerata in Aula in tutte le sue tinte senza tralasciare, quest'oggi, nemmeno quelle osè.

I difensori: gli avvocati Stefano Pelizzari,
Marilena Guglielmana e Patrizia Guglielmana
In relazione al proprietario dei box di via Prà Corvino ad Acquate, edificati "sconfinando" su terreno demaniale, sempre l'avvocato Pelizzari, chiamato a fissare i paletti circa la configurabilità del reato di concorso in concussione addossato a Sorrentino, ha sottolineato: "non è stato né indotto e né tantomeno costretto", con riferimento alla dazione di denaro, ammessa e documentata, in favore di Minervini, uscito di scena patteggiando in udienza preliminare. "Da subito è stato - giustamente - schifato dalla proposta del suo avvocato. Ha resistito e ha denunciato - giustamente - quello che stava succedendo. Non ha detto a Minervini "ok va bene". Da lì in poi ha agito come pedina degli inquirenti...". Inquirenti che, come ricordato dall'avvocato Marilena Guglielmana, citando un'affermazione del maresciallo della Guardia di Finanza Gerardo Fischetti - "adorabile" - non avrebbero riscontrato nel corso dell'attività investigativa alcun contatto diretto tra Castagna e Minervini, con il profilo di quest'ultimo incenerito dal fuoco incrociato di entrambe le difese, capaci di demolire l'immagine del collega, senza il quale "non esisterebbe questo processo" come asserito dall'avvocato Valentina Ramella. "Ne esce - ha sentenziato quest'ultima, in relazione alla toga lecchese, enfant prodige della politica locale, recentemente riammesso ad esercitare dopo uno stop imposto dall'Ordine proprio in relazione alla vicenda oggetto di questo procedimento - come un professionista che agisce contro tutti i principi che regolano la professione: li ha messi in fila e violati uno dopo l'altro".

L'avvocato Giovanni Minervini
Si è così poi calcato la mano sulle difficoltà economiche e sulle "vite parallele" dell'unico degli indagati non a giudizio, sfilato al cospetto dei giudici Enrico Manzi, Maria Chiara Arrighi e Salvatore Catalano, nei panni del teste, "ma con veste processuale particolare" come precisato dalla legale di Sorrentino, determinato a demolire l'attendibilità di colui il quale, finché non è stato messo dinnanzi all'evidenza - le foto scattate dai finanzieri - ha tentato in tutti i modi di dirsi estraneo alla vicenda, salvo poi optare - "per tornaconto personale" - per il patteggiamento, evitando il dibattimento. "Deve ringraziare qualcuno che sta sopra di noi per aver avuto solo 2 anni e 8 mesi" ha rincarato la dose, quando è stato il suo turno, l'avvocato Guglielmana, capace di etichettare Minervini come "uomo da bar", con spunto per tale colorita espressione dato dall'incontro al Crystal di Lecco, "osservato" dalle Fiamme Gialle, fissato con Rota, non risparmiato a sua volta da pungenti stoccate, riservate anche - in sua presenza - al co-imputato Sorrentino, definito, senza mezzi termini dai legali di Castagna, come "un rompi-anima, uno stressone pazzesco, quello stress che ti distrugge" per via delle sue continue richieste di aiuto al geometra, per sé e per conoscenti. E proprio per "ripagare" tali ripetuti piaceri ricevuti, l'odontotecnico, la sera del 14 aprile 2014, si sarebbe portato a Calolzio, a casa dell'amico, per consegnargli, in vista delle festività pasquali, 500 euro, quali "regalo un po' rozzo per lo stillicidio a cui lo aveva sottoposto" come argomentato dall'avvocato Ramella, puntuale nel ricondurre tale passaggio di denaro a una sorta di "risarcimento". "Gli porta i suoi soldi, non quelli ricevuti da Minervini, fotocopiati dalla Finanza" ha altresì sottolineato, andando a dare una spiegazione anche a quei "centoni", a loro volta inquadrati quali acconto sul debito di 8.000 euro maturato dal cognato dell'avvocato per una prestazione erogata dallo studio di Sorrentino mai saldata. Riassumendo, dunque, Rota avrebbe sì dato a Minervini 2.500 euro ma non su iniziativa dell'ex consigliere comunale che, non solo non sarebbe l'ispiratore della condotta finita sotto la lente dei giudici ma di fatto - a detta della difesa - non avrebbe nemmeno fatto da tramite, "incamerando il denaro in casa". Questa in estrema sintesi la tesi sostenuta da entrambe le difese, con i legali impegnati anche nell'evidenziare gli errori commessi nella gestione della pratica Rota e a stigmatizzare le - presunte - incongruenze riscontrate nella deposizione di Minervini e "sottaciute" dal PM, arrivando a consolidare il proprio quadro accusatorio e a chiedere, indistintamente, la condanna di entrambi gli imputati a 6 anni di reclusione. Prima di Natale l'epilogo.
A.M.