Valgreghentino, la difesa dei Ripamonti: Angelo Frigerio morì per il salto sul silos

Angelo Frigerio, l’elettricista che il 15 settembre 2006 ha perso la vita a seguito dell’infortunio sul lavoro nella ditta di Valgreghentino “Fratelli Ripamonti Snc” avvenuto il 30 maggio di quell’anno, cadde nel silos della ditta contenente acido cloridrico perché vi saltò sopra.
Questa la conclusione cui è giunto l’ingegnere Luca Redaelli, incaricato dagli avvocati Riccardo e Andrea Spreafico di redigere una perizia tecnica sull’accaduto che ha determinato l’imputazione per  omicidio colposo presso il Tribunale di Lecco dei cugini Francesco e Massimo Ripamonti.
Proprio sulle rilevanze della perizia tecnica dell’ingegnere che ha testimoniato in aula, gli avvocati difensori hanno chiesto l’assoluzione per i due imputati. In primis perché il capo di imputazione, che si basava sul fatto che la caduta fosse avvenuta da una scala, non sarebbe a loro dire corretto. In secondo luogo perché l’incidente è derivato da un fatto non prevedibile e anomalo per l’esperienza dell’uomo in mansioni di quel tipo, un gesto umano che nessuna documentazione atta a prevenire infortuni avrebbe potuto evitare.
È stato l’ingegnere Redaelli a spiegare in aula, nella mattina di oggi, le sue conclusioni.
“Ho verificato gli atti ed effettuato un sopralluogo presso la ditta tra febbraio e marzo 2013. Il silos contenente l’acido in cui è caduto il signor Frigerio era stato sostituito, era identico a quello della soda caustica tuttora presente. C’erano 5 silos quando si è verificato l’infortunio: due con acqua collegati tra loro, uno con la soda, uno con l’acido e uno vuoto. Quello in cui lui è caduto presentava sulla sommità una frattura circolare del diametro di 50 cm, in prossimità del coperchio. Il materiale con cui è fatto il silos ha una determinata resistenza, avrebbe retto il suo peso e lo dimostra il fatto che quando i cugini Ripamonti si sono appoggiati per ripescarlo ha sostenuto un peso di circa 250 Kg totali, senza rompersi ulteriormente. Il signor Frigerio è caduto in piedi, e questo lo dimostrano le ustioni dell’acido presenti solo nella parte inferiore del corpo”.
 L’uomo si è ritrovato in circa 40 cm di liquido, ma sono state le esalazioni tossiche del pericoloso materiale a determinarne, dopo tre mesi e mezzo, la morte. “Il suo compito era quello di sostituire la sonde di livello del silos dell’acqua, ed era stato dotato di una apposita scala a norma di legge per raggiungere l’altezza necessaria” ha spiegato l’ingegnere. “La sonda però non era nel contenitore dove aveva appoggiato la scala, ma sull’altro. Con ogni probabilità egli, dalla sommità del silos dell’acqua, è saltato su quello dell’acido che si trova circa un metro al di sotto. La frattura circolare provocata è compatibile con l’energia cinetica di un salto volontario, mentre escludo che possa essersi verificata passando dalla scala come è stato ipotizzato”.
Il pubblico ministero ha chiesto per i due imputati la pena di 11 mesi e 20 giorni di reclusione, considerate le attenuanti generiche e il fatto che il danno è stato risarcito e la documentazione mancante integrata. La richiesta è motivata dal fatto che il signor Frigerio non sarebbe stato adeguatamente informato sulle modalità di svolgimento del lavoro e i rischi ad esso connessi.
Un aspetto illustrato in aula da Ermanno Bertoletti, allora dirigente della sezione lecchese della Tecno Habitat. “Ho visionato il DVR, documento di valutazione dei rischi, e vi era una carenza sulla prevenzione del rischio connessa con la manutenzione dei silos esterni” ha spiegato. “Non è un compito dei dipendenti, ma un lavoro che deve essere fatto da terzi, persone specializzate. Abbiamo integrato il DVR inserendo indicazioni sulla prevenzione della caduta dall’alto, sul contenuto dei silos (già indicato all’esterno degli stessi) e sulle protezioni da utilizzare”. L’impiegata amministrativa della ditta di Valgreghentino ha accertato che Frigerio indossava pantaloni antiacido, scarpe infortunistiche e guanti al momento dell’infortunio.
L’elettricista era comunque ampiamente conscio dei rischi del lavoro che stava svolgendo, hanno spiegato i testimoni ascoltati oggi, lavoro che peraltro aveva già effettuato altre volte. Egli infatti lavorava nella ditta dei cugini Ripamonti da 15 anni, ed era uno di famiglia.
Il processo è stato aggiornato al prossimo 7 luglio per le repliche e la lettura della sentenza.


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