Racconto del viaggio in Serbia con Mir Sada: incontri, emozioni e riflessioni dai Balcani

Dall'1 al 4 giugno abbiamo accompagnato l'associazione "Mir Sada" a Kragujevac, città della Serbia a 120 chilometri da Belgrado, dove sono stati consegnati direttamente a 63 famiglie i contributi raccolti tramite altrettante adozioni a distanza.            
Da oltre 20 anni Mir Sada costruisce ponti tra Lecco e la Serbia. Negli anni Mauro Castelli (sindacalista Fiom e Presidente) e Alberto Anghileri (oggi consigliere comunale a Lecco) hanno lanciato quest'avventura, prima varcando il confine con interi camion di viveri nei campi profughi dei Balcani devastati dalla guerra e poi avviando un progetto diverso  nella città industriale di Kragujevac.
Dal 1999 le adozioni continuano e due volte all'anno una delegazione di Mir Sada parte da Lecco e raggiunge la Serbia per consegnare le somme raccolte nonchè pacchi contenenti vestiti e aiuti per le famiglie più in difficoltà, grazie anche alla collaborazione con il sindacato serbo Salmostalni.

Abbiamo provato a condensare 4 giorni di emozioni, incontri e sorprese in un piccolo resoconto.  

Dopo 13 ore di viaggio, due monumenti accolgono l'ingresso dei nostri pulmini a Kraguijevac: un'enorme croce ortodossa e - poco più avanti, a qualche centinaia di metri - una sorta di maxi "rondella" in metallo posizionata al centro di una rotonda dalla Fiat che da una decina di anni produce in città la 500 L.
Due simboli che raccontano più di mille parole Kragujevac, la sua storia e le sue tradizioni ma anche il presente di una realtà che si affaccia verso le Europa, con un bagaglio di pesanti contraddizioni.

La croce ortodossa all’ingresso di Kragujevac

Il monumento della Fiat

L’abbraccio con Dusan e la sua famiglia

Il primo incontro del viaggio è stato - non appena sbarcati - con la famiglia di Dusan, un ragazzo che se oggi può studiare, ridere e respirare lo deve a Mir Sada.   
Aveva un urgente bisogno di trapianto e l'associazione, incontrando persino il Ministro serbo per il lavoro, è riuscita a superare gli ostacoli di una burocrazia impietosa anche di fronte a un bimbo malato. Lo ha portato  a Bergamo dove i medici gli hanno salvato la vita. Senza quell'intervento non ce l'avrebbe fatta. Sono bastati pochi attimi per renderci conto dell'amicizia che si è venuta a creare tra i "lecchesi" e la famiglia di Dusan: i sorrisi e gli abbracci hanno scacciato la stanchezza del viaggio.

La famiglia di Dusan e la “delegazione” di Mir Sada al completo

Al centro, il presidente di Mir Sada Mauro Castelli

L’incontro con Peter, un ragazzo disabile

Da soli, sarebbero bastati per "giustificare" i 1.200 chilometri percorsi. Quello con il giovane, i suoi genitori, le sorelle e la nonna è stato il primo di una lunga serie di emozionanti incontri con le famiglie di Kragujevac.            
Il giorno successivo (il 2 giugno) abbiamo visitato alcuni dei bambini adottati dai lecchesi.
Tra di loro anche Petar, un ragazzo gravemente disabile che vive con il papà in una minuscola casetta nei sobborghi della città. Va matto per la musica e per questo Tino e Sara gli hanno portato in regalo delle cuffie: il suo sorriso quando ha premuto play e ha iniziato ad ascoltare le canzoni è stato qualcosa di semplicemente indescrivibile. Peter - dopo gli immancabili abbracci - lo abbiamo lasciato seduto sulla sdraio nel suo piccolo cortile alle prese con le sue nuove cuffie e ci siamo spostai a casa di Tara.          

L’incontro con Tara

E' una bimba di 11 anni che vive in un appartamento popolare, in uno dei tanti casermoni dal sapore "sovietico" che costellano la città. Abita con la nonna e con la madre, resa cieca dall'esplosione di una bomba, in una situazioni famigliare particolarmente tesa e complessa.        
Ci hanno accolti nel salottino che fa anche da camera da letto. Un'intera parete ospitava icone e Santi ortodossi. La vista dalle finestre si affaccia su gli altri palazzoni grigi del quartiere, tutti tristemente uguali.
E' stata la fotografia delle difficoltà quotidiane che le famiglie serbe devono affrontare, complicate in questo caso dalle conseguenze di una guerra che abbiamo dimenticato ma le cui ferite non si sono ancora rimarginate. Il 3 giugno abbiamo incontrato le 63 famiglie adottate a distanza da nostri concittadini.               

L’ingresso della Zastava

L’incontro con Zoran Markovic, segretario generale del sindacato Samostalni

La fabbrica della Fiat a Kragujevac

"Ci chiedono spesso perché continuiamo a venire in Serbia, dove non c'è più la guerra. Perché non andiamo in altre parti del mondo. Noi rispondiamo che qui c'è un popolo che ha bisogno di una mano e che qui abbiamo stretto amicizia profonde" ha commentato Anghileri. "In un Europa che costruisce muri noi vogliamo costruire ponti, abbiamo l'ambizione di costruire l'Europa dei Popoli nella convinzione che, come recita l'articolo 1 della Dichiarazione Universale tutti gli uomini nascono liberi e uguali". La consegna delle donazioni è avvenuta in quella che una volta era della direzione della Zastava, la più grande ed importante industria dell'ex Jugoslavia: dava a lavoro a 35.000 operai. 
La fabbrica produceva sia automobili (soprattutto versioni jugoslave dei modelli Fiat, come la 128, che ancora oggi circolano numerose per le vie di Kragujevac) che armi.               

La consegna delle adozioni alle famiglie serbe

Per colpire questi ultimi impianti, nel 1999 per 3 volte la Zastava venne bombardata dai missili della Nato: la fabbrica di fucili e simili - che sarebbe dovuta essere l'obiettivo strategico - non venne colpita ma fu invece distrutta quella delle vetture.              
Ancora oggi la Zastava Arms continua la produzione. Le auto serbe non vengono invece più assemblate: al suo posto è arrivata FCA che a Kragujevac costruisce le 500 L in un moderno impianto alle porte della città. Lo stipendio di un operaio non supera i 350 euro al mese.               
Più di 20 anni fa la guerra lacerava i Balcani. "Ma come è stato possibile che da un giorno all'altro scoppiasse una guerra così assurda? Come è stato possibile che gli insegnanti arrivassero a uccidere i propri alunni? Che i vicini di casa di colpo si trasformassero in nemici da ammazzare?" sono domande che non hanno trovato risposta.

Al monumento delle “Ali spezzate” in ricordo delle vittime del massacro nazifascista del 21 ottobre 1941

A Mostar, città della Bosnia, è stato ricostruito l'antico ponte ottomano la cui distruzione - nel 1993 - era stata uno dei simboli della guerra.     
Ma i ponti da costruire sono ancora tanti, nell'ex Jugoslavia, in Europa e nel Mondo.   
Domenica mattina ci ha raggiunti la notizia che a Londra, proprio su di un ponte, si è consumato l'ennesimo attentato che ha causato la morte di 8 persone.  
La risposta non può che continuare a essere "Mir sada", ovvero "Pace ora".    
Paolo Valsecchi
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.