Lecco perduta/64: c’era la strada di Santo Stefano

C'era la strada di Santo Stefano, importantissimo tracciato stradale di circonvallazione della città di Lecco, che scavalcava a monte, lungo le prime pendici del Monte San Martino, scendendo poi verso la sponda del lago in località Pradello, non ancora Orsa Maggiore. Era un lembo della grande arteria da Milano alla Valtellina, voluta dagli austriaci, chiamata dagli stessi "la strada del cielo", perché portava al mitico passo dello Stelvio.


La strada di Santo Stefano ha avuto primaria importanza nella viabilità generale, sino al 1932/1933, quando sul lungolago, al Brick Caviate, si è andato oltre il tratto costiero che in quella zona terminava, tagliando la punta rocciosa ed ottenendo un nuovo "peduncolo" stradale, appena sotto la linea ferroviaria. La Santo Stefano è stata, comunque, percorribile sino alla tragica frana del febbraio 1969, con sette morti, presso le case dette "del sole", lungo via Stelvio. La gigantesca frana che precipitò quella notte, dalla sovrastante parete, ha sepolto e cancellato un pezzo di strada in un tratto mediano di vitale importanza presso il valico tra fenditure di roccia, detto di "villa Dubini". Il traffico da Milano verso il Lario e la Valtellina, prima del 1932/1933, entrato in Lecco dal ponte Azzone Visconti, imboccava la via omonima, passava in piazza Manzoni e si infilava in via Roma, nel tratto verso piazza Garibaldi. Il movimento veicolare, giunto davanti all'Hotel Croce di Malta, piegava a destra, salendo lungo la via Cavour, detta anche Contrada Larga, e proseguiva per via Volta, via Grassi, sino al piazzale sopra il cimitero monumentale di via Parini. Continuava poi a destra lungo via Col di Lana, imboccando poi l'attuale via Pasubio sino all'ingresso verso via Stelvio, nel verde ancora di prati e di insediamenti rurali, con sparse abitazioni. Percorrendo la Santo Stefano in salita, quindi provenienti dal lago, si può ancora oggi notare il rudere di una vecchia osteria, una vera "carrettiera", punto di sosta di viandanti e conducenti di carri per una cucina di ispirazione popolare, sana e robusta, con salsicce, polenta, frittata, patate e fagioli. Un rudere che rammenta "il respiro del silenzio", gli edifici abbandonati e cadenti, sperduti in zone isolate, "bucati" dal tempo e dalle intemperie. Può sembrare ancora di sentire le voci degli avventori, nei momenti di riposo di faticosi viaggi, quando un rombo lontano di motori rompeva la quiete della Santo Stefano, con le poche autovetture che allora affrontavano il polveroso, ma tanto panoramico tracciato.
A.B.
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