Lecco: in sedia a rotelle dai 7 anni, Salifu torna 'in verticale' sulle sue gambette raddrizzate con pazienza da dr.Lovisetti

Il 2016 appena volto al termine resterà indelebilmente segnato di rosso nel "taccuino dell'esistenza" di un giovane originario del Ghana che, a Lecco, ha trovato una nuova speranza di vita. E pensare che tutto, come nelle migliori favole, anche moderne, è cominciato davvero per caso.
Salifu Ibrahim nasce nel 1984, ad un solo anno di distanza dalla sorella Mariama, cuore grande e un concentrato di attenzioni per quel fratellino che, già a due anni, mostra i primi segni della malattia: le sue gambine, che ancora non sono nemmeno state sottoposte alle sollecitazioni dei primi passi, iniziano inspiegabilmente a stortarsi. Intorno ai sette anni, grazie "all'intercessione" di una realtà caritatevole legata alla chiesa cattolica, viene operato per la prima volta nel suo Paese d'origine da un medico italiano, "missionario" in terra d'Africa: gesso, stampelle, un anno di riabilitazione, la "scarpa di ferro"... Una brutta caduta e il progredire inarrestabile della patologia vanificano però lo sforzo: camminare per Salifu diventa impossibile, inchiodato - giovanissimo - ad una sedia a rotelle, con difficoltà anche semplicemente a rimare seduto visto la conformazione del tutto deforme che, dall'interno, assumono entrambi i suoi arti inferiori.

Salifu in piedi al fianco del dr. Luigi Lovisetti

La causa è da ricercarsi nella displasia fibrosa, una malattia scheletrica benigna, non ereditaria, congenita, per la quale l'osso viene sostituito da un tessuto simil-fibroso con osteogenesi precoce. Alle volte, di tale anomalia, se asintomatica, non ci si accorge nemmeno se non sottoponendosi a delle radiografie. Non è invece questo il caso di Salifù: le sue gambe - ma anche parte della scatola cranica e, quale conseguenza, il bacino - si "curvano" in più punti, con il progredire dalla patologia che raggiunge il proprio picco nell'adolescenza per poi regredire fino a scomparire con il venir meno dello stimolo della crescita, lasciando però i propri tragici effetti.
"Papà ha deciso di portarci apposta in Italia: a Accra - la capitale del Ghana - non c'era possibilità di curare Salifu. Quando ha compiuto 18 anni (io ne avevo 19), siamo partiti. A Bologna avrebbero dovuto chiamarci da un centro specializzato ma l'attesa telefonata non arrivava mai..." ricorda Mariama, divenuta nel frattempo sposa prima e mamma di quattro bimbetti poi ma sempre rimasta accanto al fratello nel suo lungo e articolato percorso di "cura" iniziato dopo un fortuito incontro tra gli scaffali di un supermercato.

Le gambe del ragazzo prima dell'inizio della 'terapia'

A dare una "svolta" all'esistenza di quel ragazzino timido ma intelligente, la cui unica autonomia è data da una carrozzella elettrica con la quale quantomeno riesce a spostarsi da solo, sono state infatti poco parole scambiate... con un impiccione. "Vivevamo, come oggi, a Cassano Magnano, in provincia di Varese. Mio marito aveva portato Salifu con sé a fare la spesa. Un ragazzo, gli si avvicina, è sperando di non disturbare, suggerisce di far visitare mio fratello a Lecco, facendo il nome del dottor Catagni" e riaccendendo allo stesso tempo quella scintilla di speranza che ormai si stava spegnendo in mancanza di riscontri da altre strutture ospedaliere. "Decidiamo di prendere appuntamento ma... alla prima visita al Manzoni Catagni non c'è. E' in quel momento che conosciamo il dottor Luigi Lovisetti". Il responsabile del Centro regionale di riferimento nelle metodiche di Ilizarov presso il nosocomio lariano, "sponsorizzato" dallo sconosciuto incontrato nel grande magazzino varesino, aveva infatti già lasciato la struttura pubblica ma il destino ha messo sulla strada degli Ibrahim un ortopedico, già allievo del dottor, Catagni, specializzato nel medesimo settore, determinato nell'affrontare un caso tutt'altro che semplice. Siamo nell'ottobre del 2013. Riconvocato per una seconda visita preliminare Salifu accetta il trattamento suggerito dal camice bianco, venendo sottoposto dopo sei mesi al primo di una serie di interventi protrattisi fino al 2016. "Abbiamo proceduto lentamente, alternando tutori e gessi. I diversi passaggi sono stati molto lunghi ma i risultati poi, piano piano, ci sono stati" ha ricordato nelle scorse settimane il medico (che nel frattempo ha detto addio anch'egli all'ospedale di Lecco), visitando il giovane paziente, oggi 32enne, rimastogli "fedele", presso l'ambulatorio polispecialistico Artimedica di Monticello.

Una delle gabbie applicate per riposizionare l'osso

Nel corso del tempo, agendo in momenti differenti sui due arti, è stato così prima raddrizzato il femore sinistro, correggendo anche la difformità della medesima tibia per poi metter mano alla gamba destra, la più compromessa, scegliendo su quali deformazioni agire "in un delicato gioco di equilibri".
"La famiglia è stata davvero straordinaria"
ha riconosciuto il dottor Lovisetti, rammentando come dopo ogni intervento Mariama e il marito si siano fatti carico delle lunghe medicazioni giornaliere (con oltre trenta "chiodi" di volta in volta da disinfettare e gestire) nonché dei continui trasferimenti per le visite di controllo.
"Appena arrivata a casa, quando abbiamo capito che toccava davvero noi sistemare la "gabbia", abbiamo avuto paura" ha ammesso la sorella di Salifu. "Anche il nostro medico di famiglia si è spaventato. Ma è andato tutto bene, per mio fratello rifarei tutto questo e altro ancora".

Altre immagini scattate in momenti diversi del percorso di cura

A distanza di due anni, pur con un ginocchio ancora da stabilizzare, il ragazzo da qualche mese, con il supporto di due piccole stampelle (la statura ha risentito degli effetti della patologia e dei correttivi adottati), ora cammina. La "pratica" gli consentirà di acquisire forza - anche nelle braccia - e di tornare ad abituarsi ad una vita... in verticale. 
E Mariama, incontenibile quanto a entusiasmo e voglia di far del bene, già pensa a come aiutare, nel proprio Paese natio, altri giovanotti come il fratello. Vorrebbe creare un'associazione ad hoc, portando magari il dottor Lovisetti direttamente a Accra per dare una mano al fato nel "rivoltare" anche qualche altra esistenza. Del resto il destino ha già messo lo zampino nella storia di Salifù, facendolo arrivare "magicamente" a Lecco. Perché non sperare in qualche altra fortuna?
Alice Mandelli
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